È tutta questione di… sincerità. Avrei potuto scrivere che è tutta questione di onestà, civiltà, rispetto, dignità, intelligenza, e così via. Ma ho deciso, invece, di fare appello alla sincerità delle persone, ossia di quegli esseri umani che, in quanto persone (etimologicamente il termine italiano persona deriva dal latino persona traducibile con maschera) indossano quella facciata che attribuisce a ciascuno il suo ruolo con buona pace di tutti. Eh, sì… perché proprio di facciata e realtà si deve parlare in questo caso, senza fare riferimento a nessun tipo di ideologia: né di quella cattolica (poco cristiana, come spesso accade nel mondo cattolico) né di quella di sinistra, espressione storica di intellettualismi radical-chic che da sempre fa finta di accettare le diversità mentre poi ne sorride se non addirittura ride apertamente, ma dietro le spalle. Di cosa sto parlando? Della tanto dibattuta questione della famiglia italiana, con tanto di sfascio relazionale, (anche quando in apparenza si vive sotto lo stesso tetto) nella quotidiana esasperazione della propria individualità come espressione del proprio successo educativo, con padri assenti e quando presenti senza capacità decisionale e di leadership, e donne impegnate a farsi rispettare per non essere picchiate. Ecco, tutto questo è ben altra cosa rispetto al problema dei Gay. Ovviamente, e per fortuna, non tutte le famiglie sono ridotte così. Eppure sono molte, ed io lo scopro tutti i giorni con il lavoro che faccio, ascoltando i discorsi, spesso accorati, di molti studenti inseriti in “famiglie modello ed insospettabilmente anaffettive”. Si tratta di quelle situazioni in cui la famiglia è solo la maschera esterna e senza sostanza di un fallimento interpersonale, dovuto a molte cause, anche storiche. Ma tutto questo non c’entra nulla con in Gay, che crescono in famiglie identiche a quelle nelle quali crescono gli etero, e la cui legittimazione come persone senza patologie -senza necessità di essere riparati con qualche terapia trendy che vuole salvare ruoli oramai persi – esula dalla famiglia in quanto tale. La questione Gay è e rimane ancora, allo stato attuale della nostra evoluzione, tanto in culture evolute quanto in culture immobili, come per esempio nell’Islam più integralista ed in Cina, un problema di intelligenza umana singolare: la vita sessuale ed affettiva di ogni persona, così come la scelta di esibirla pubblicamente o meno, attiene alla singolarità di ognuno di noi. Secondo questa logica, dunque, nessun atteggiamento diverso può andare a minare ciò che è saldamente ancorato a comportamenti che esprimono un forte attaccamento affettivo, come appunto la famiglia. I Gay non minano la famiglia. Minano l’ipocrisia, sulla quale i catto-comunisti e i sopravvissuti democristiani hanno fondato le loro campagne elettorali, affermando a parole ciò che avrebbero negato nei fatti. Ma quello che non capisco ancora è come alcuni Gay credano di poter essere rappresentati in Parlamento da coloro ai quali danno i voti. Ogni volta che si deve votare a favore di una legittimazione sociale e civile delle loro unioni (che per fortuna non hanno nulla a che vedere con il concetto di famiglia tradizionale) la legge, il disegno di legge, oppure il Decreto Legge si blocca inesorabilmente. Sarebbe forse il caso quindi che i Gay si integrassero nell’ipocrisia della normale vita eterosessuale, per poi denunciare, una volta ottenuta la stima altrettanto ipocrita degli altri, di non essere come tutti pensavano (cioè di avere un comportamento affettivo-sentimentale diverso), dimostrando tuttavia di non aver minato nessuno, né in famiglia né al lavoro. È anche questione di intelligenza, ma i Gay, in questo periodo, sembra ne abbiamo poca, mentre dovrebbero comprendere per primi loro che è la normalità a rendere tutti noi diversi, e non il contrario. Di Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della Mente