Ott 29
Gli “ismi” della seconda repubblica, di Enzo Palumbo
Nella generale e forse prematura convinzione che l’era di Berlusconi stia volgendo al tramonto, si è acceso il dibattito se gli sopravvivrà il c.d. “berlusconismo”, e cioè quel “meltingpot” piuttosto sgradevole –originato dalla mescolanza di interessi personali e politici, vizi privati e pubblici, messaggi demagogici e contradditori, sguaiatezza comportamentale, ruberie generalizzate, approssimazione intellettuale, incapacità operativa– che ha crescentemente caratterizzato la seconda repubblica e che induce a fare dell’attualità italiana una sconfortante diagnosi.
Francamente, penso che la domanda sia mal posta, e che siano quindi sostanzialmente inutili le tante dotte risposte che da ogni parte si tenta di darvi.
Credo infatti che all’origine delle mutazioni genetiche della c.d. seconda repubblica non ci sia tanto il “berlusconismo”, che semmai ne è una conseguenza, quanto piuttosto il suo sistema elettorale, il bipolarismo per l’appunto, che nasce dalle macerie della prima Repubblica,nella convinzione che fosse necessario individuare una sbrigativa scorciatoia per transitare velocemente alla terra promessa della democrazia dell’alternanza, ormai resa possibile anche in Italia, non più terra di frontiera rispetto al blocco orientale egemonizzato dall’URSS.
L’ipotesi posta a base della riforma elettorale del 1993 era che, sotto la spinta di una legge bipolare e tendenzialmente bipartitica, i protagonisti della prima repubblica si sarebbero via via accorpati in ragione della loro pregressa affinità ideologica e della prospettiva di comuni obiettivi; e così, per stare al caso che qui più interessa, i liberali si sarebbero uniti ai repubblicani, e poi ai radicali ed ai laici in genere; analogamente si sarebbero comportati fatto a loro volta i socialisti delle varie confessioni, unendosi prima tra di loro e poi coi postcomunisti divenuti anch’essi socialisti; ed a quel punto anche i postdemocristiani avrebbero per necessità subìto un processo di forte omologazione tra le tante correnti del passato, magari collegandosi a quelle aree cattoliche, attive nell’impegno sociale, che si erano sin lì sottratte ad ogni impegno politico.
Alla luce dei fatti, oggi possiamo constatare che quel progetto era sbagliato o comunque è fallito, il che poi è la stessa cosa: piuttosto che l’unione di ciascuna cultura politica, il bipolarismo ne ha provocato la divisione ed addirittura la frammentazione, mentre la ricomposizione necessitata dal nuovo sistema elettorale è avvenuta secondo una logica che non era più quella della rappresentanza degli interessi di ciascuna area politica, quanto piuttosto quella dell’ostilità verso gli altri, e, nell’un campo come nell’altro, sotto l’alibi costituito dal “programmismo”, quasi sempre fantasioso e velleitario, in un crescendo di promesse a cui ciascun soggetto politico si faceva lecito di lasciarsi andare, senza porsi neppure il problema della loro intima coerenza e concreta praticabilità.
Ciò che prima era unito sulla base di una comune concezione della società, si è andato così scomponendo per le più diverse ragioni (talvolta politiche, più spesso personali), e si è poi ricomposto secondo una logica che non era più quella della rappresentanza (con le sue regole naturali, alle quali ciascun elettore prestava quasi naturale consenso in ragione delle convinzioni che nascevano dalla sua personale formazione culturale), ma piuttosto secondo la logica del “programmismo” (con l’unica regola della cattura occasionale del consenso per la conquista del potere, e, ancora di più, per impedirne la conquista agli avversari divenuti nemici): in breve, al voto “per” qualcosa e “per” qualcuno si è sostituito il voto “contro” qualcos’altro e qualcun altro.
La proposta politica è quindi totalmente cambiata: all’affermazione “io sono” (che consentiva una valutazione sulla credibilità e coerenza rispetto ai comportamenti del passato ed alla affidabilità per il futuro), si è sostituita l’affermazione “io propongo” (che obbliga ad una scommessa al buio sul futuro anche prescindendo dal passato), e su questo nuovo scenario si è costruita la cattedrale delle aspettative, quasi sempre andate deluse proprio perché basate su promesse impossibili da realizzare..
Sulla scia del “programmismo”, a seguire, sono venuti gli altri “ismi” tipici della seconda repubblica, che hanno malamente sostituito quelli ideologici della prima: in primo luogo il leaderismo (con compiti di supplenza rispetto alla mancanza di idealità), ed a seguire, il populismo (che ne è il naturale corollario), il trasformismo (prima assolutamente residuale), il bellicismo (con l’avversario trasformato in nemico), l’estremismo (per restare sempre in sovraesposizione), il giustificazionismo per i propri sodali (sulla base del noto aforisma di Roosevelt riferito al dittatore nicaraguense Noriega: “sarà pure un figlio di p……., ma è il nostro figlio di p…..”); mentre ogni comportamento politico ha finito per essere deciso e valutato con lo strumento improbabile del “sondaggismo”, divenuto di casa su giornali e televisioni.
I talk shaw, anche nella loro versione più seriosa e castigata, hanno fatto il resto.
Berlusconi è stato il più lesto di tutti a capire ciò che stava accadendo, e si è subito sintonizzato sul nuovo spartito, mentre gli altri ci hanno messo un po’ di più, ma senza riuscirci del tutto, perché quelle nuove caratteristiche, che in Italia sono sempre state connaturali alla destra, hanno trovato una sinistra ontologicamente più refrattaria, sino al punto da favorire la nascita, proprio nella sua area, dell’ennesimo “ismo” che tutti li riassume: il “grillismo”, al quale la sinistra tenta ora di porre rimedio inventandosi l’ennesimo “ismo”, il “renzismo”, che è il massimo del leaderismo populistico che la sinistra sembra possa permettersi, e che si avvia a diventare il pane quotidiano della prossima stagione politica.
Se il bipolarismo, come io credo, è all’origine della malattia della nostra democrazia, è qui, sulla causa e non sui suoi effetti, che si deve intervenire per imboccare la strada della guarigione.
Il fatto si è che ogni mutazione del sistema elettorale provoca una corrispondente mutazione nel comportamento degli elettori e quindi nella strutturazione del sistema politico: la stessa persona, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, vota in maniera diversa a seconda che ci sia un sistema elettorale piuttosto che un altro.
E trovo abbastanza naturale che gli attuali protagonisti della politica, che sono nati dal bipolarismo e che senza di esso non sarebbero nemmeno esistiti, siano naturalmente portati a preservarlo, in una forma o nell’altra, in ciò coadiuvati dai principali commentatori di stampa e televisione, che si rifiutano di ammettere i disastri ai quali il bipolarismo (beninteso, quello italiano, e non quello altrui, che non ci riguarda); e, se così sarà, resterà anche un pio desiderio ogni ottimismo sulla prospettiva delle convergenze ideologiche che dovrebbero logicamente vedere i liberali coi liberali, i popolari coi popolari ed i socialisti coi socialisti, lasciando che altri, sul prolungamento del “continuum destra-sinistra”, si dividano il resto.
A meno che la Corte Costituzionale, che lo scorso anno ha improvvidamente salvato questa vergognosa legge elettorale dalla tagliola referendaria, cessi di mandare l’ennesimo segnale di fumo con le ormai consunte ammonizioni alla politica, ed invece si decida una buona volta a fare il suo lavoro, accogliendo la questione sollevata dalla Cassazione su istanza di un gruppo di cittadini, il cui primo firmatario, non per niente, porta il nome di Aldo Bozzi, omonimo del suo avo tanto caro ai liberali d’antan come me, e così mandando al macero il premio di maggioranza dell’attuale legge elettorale, se non anche la vergogna delle liste bloccate, come pure sarebbe auspicabile.
Ne risulterebbe in tal caso un sistema proporzionale con soglia al 4%, un po’ come in Germania (soglia al 5%) o in Austria (soglia al 4%), che per i liberali è obiettivo difficile ma non impossibile, talvolta centrato (come per il NEOS in Austria), talaltra no (come da ultimo per la FDP in Germania), e così anche propiziando ciò che anche in Italia l’ALDE sta tentando di fare.
Solo a quel punto, tutto sarà possibile, anche che i liberali, quelli nuovi più facilmente che quelli della diaspora, si ritrovino insieme, e che la stessa cosa facciano i popolari ed i socialisti.
E, se così non sarà, il sogno del ritorno alla politica resterà tale, e ci risveglieremo nel mondo di ieri e di oggi, magari ritrovandoci con qualche “ismo” in più!
© Rivoluzione Liberale
Di Enzo Palumbo