“Italicum”, chi era costui? Secondo Matteo (Renzi) è il succedaneo del Mattarellum e del Porcellum, due tizi impresentabili, creati come altrettanti Frankenstein nei laboratori delle Segreterie di Partito, per rovinare, sostanzialmente, la vita agli Italiani. Il “latinorum”, tra l’altro, è imperdonabile e deprecabile, in un Paese che si vuole erede di Cicerone e di Tacito. Ma, Matteo li ha superati tutti. Infatti, "Italicum" ha assonanze sinistre con "Italicus", il treno maledetto, sul quale il terrorista neofascista Nico Azzi mise una bomba devastante, negli anni '70.. Però, in senso figurativo, se l’accordo B./R. (oddio, anche qui, quale terribile assonanza!) dovesse tenere, allora soglie di sbarramento e obbligo di scegliere tra Fi Pd e M5S (gli unici che possono sperare di arrivare a un premio di maggioranza), non lasceranno spazio alcuno al sogno “terzopolista”, inseguito dalla galassia liberal-democratica ed ex popolare. Sul versante del liberalismo storico, infatti, non c’è nessun “Venditore di sogni”, che possa attrarre il voto di opinione, per la conquista di milioni di consensi, come oggi sono in grado di fare Berlusconi, Renzi e Grillo.
Probabilmente, conoscendo un po’ quel campo, i liberali marceranno orgogliosamente divisi, portando le loro mille insegne da una parte e dall’altra, o rimanendo solitari nell’arco-liberalismo, o nella miniarchia. Come tenersi addosso la pelle di leone e la clava in mano, per andare a bastonare laddove ce n'è bisogno. Di belve feroci (politicamente parlando..) ce ne sono davvero tante in giro. Allora, viva comunque i coraggiosi che non taceranno, e continueranno ad affrontarle! Poi, ripeto ancora, tutti conosciamo questo Parlamento (non c'è nulla di diverso, da quelli che si sono succeduti dal 1948, in poi!): facile che riducano a brandelli l’accordo tra il Cav. e Renzi.. Per conto mio, analizzerò attentamente il testo di legge quando sarà pubblicato in G.U.! Per il momento, affronterei la prospettiva del bipartitismo (almeno, questa è l’impressione che si ricava, stando alle prime dichiarazioni dei protagonisti del neo-accordo elettorale) che, per molti (soprattutto in campo liberale), rappresenterebbe l’anticamera del totalitarismo, destinata a tenere fuori dal Parlamento i piccoli Partiti che, però, sommati tra di loro, fanno sempre qualche milione di voti.
Se l’Italia è una Repubblica Parlamentare, e non governativa, allora, in effetti, puntare tutto sulla stabilità di governo può significare non avere più un certo numero di “Grilli parlanti” in Parlamento, che sappiano contrastare e denunciare decisioni poco trasparenti e dubbie, prese in conclave nelle direzioni dei partiti. Sarebbe meglio, molto meglio, un sistema presidenziale, in cui il Premier, scelto direttamente dai cittadini, governa per l’intero mandato. Questo, grazie a una solida maggioranza parlamentare (ottenuta con metodi che massimizzano il potere dei cittadini), e a uno statuto dell’opposizione che, ad es., ammetta minoranze di blocco su determinate decisioni e provvedimenti, che non possano e non debbano essere presi a maggioranza semplice. La legge elettorale, ovviamente, dovrebbe far parte di queste convergenze “bipartisan” obbligatorie.
La politica, però, corre come il vento sulle percentuali elettorali (“quanto potresti avere tu, quanto potrei ottenere io”..) ma dimentica di decidere un aspetto fondamentale, che sta a monte delle attuali scelte. Ovvero: “Quale Italia vogliamo nel futuro?”. Centralista, dominata da maggioranze relative di elettori, o autenticamente federale, in cui si rappresentano i territori? Nel primo caso ci sarebbe bisogno di un sistema proporzionale (come quello che residua dalla sentenza della Corte Cost., senza sbarramenti), per rappresentare pienamente tutto l'elettorato; nel secondo, di un sistema uninominale in collegi ridotti, con contestuale decentralizzazione del potere.
Non pochi, in campo liberale, sostengono che sarebbe stato meglio scendere a compromessi di larghe intese sulla stesura delle regole, piuttosto che dover sottostare alle larghe intese stesse, per sopravvivere politicamente, “diluendosi” in un contenitore “senza carattere”, tanto per sperare di portare a casa un manipolo di eletti. Altra polemica infinita, riguarda le liste bloccate, che rendono impossibile per il cittadino scegliere i propri rappresentanti, continuando così a fare del Parlamento una sorta di “mandarinato”. Purtroppo, l’alternativa ben nota, e sperimentata in mezzo secolo di “Prima Repubblica” (vigente, allora, la proporzionale pura e le preferenze), è quella dei quadri/penta Partito, in cui la governabilità diventa un’avventura quotidiana, una sorta di percorso di guerra, tra veti e estenuanti compromessi. Poi, va ricordato, che sono stati proprio gli Italiani a volerne il superamento, con referendum, dando ragione a Mario Segni, che andava predicando la riforma elettorale, con lo slogan “Eleggiamo il Sindaco d’Italia!”.
In verità, ciò che dovrebbe interessare molto di più i cittadini è quella parte dell’accordo che riguarda le riforme costituzionali, come l’introduzione del monocameralismo (preferirei l’abolizione tout-court del Senato, altrimenti gli sprechi restano, e la farraginosità del sistema non diminuisce di certo, con l’elezione di secondo grado) e, sopratutto, la revisione in profondità del famigerato e scellerato Titolo V. La riforma cruciale, a mio avviso, è la proibizione di riconoscere autonomia finanziaria e statutaria, ad es., a comuni che non superino la soglia critica dei 15.000 abitanti, corroborata dalla soppressione delle attuali regioni, da accorpare al massimo in tre/quattro macroaree omogenee. Poi, per tutti, contabilità unica, con conseguente presentazione di bilanci consolidati (anche per stare dentro al Fiscal Compact!), coniugando autonomia fiscale alla responsabilità politica. Così, forse, l’Italia potrebbe davvero cambiare!
Di Maurizio Bonanni