Giorni fa, ho deciso di fare un “uno-due” imperdibile, per leggere in due modi diversi la storia e la vita di Frida Khalo. Il mattino, visitando la bellissima mostra dedicata all’artista, ospitata nello spazio di immortale bellezza delle Scuderie del Quirinale. La sera, assistendo allo spettacolo “Frida Khalo, il ritratto di una donna”, in scena al Piccolo dell’Eliseo di Roma, per la regia di Alessandro Prete. Malgrado l’ausilio degli audiovisivi, lo spettacolo teatrale, per la parte emozionale, è ben al di sotto del tema, completo e affascinante (ottimo il supporto testuale, all’inizio di ogni sala e ai piedi di ogni singola opera), che si ricava vedendo dal vero i quadri di Frida. Prete, infatti, ha scelto di ignorare la parte sociale e politica della vita della Khalo, mettendo in primo piano -con un impatto visivo lacerante e drammatico- i contorni più crudi della sua visione artistica. Lo dimostra l’articolazione spoglia di scene come quella sull’auto-parto, o sull’uxoricidio cruento, per pugnalamento, con sanguinamento spaziale a tutto tondo. Trascurato del tutto, pertanto, quel quadro emblematico, in cui Frida denuncia i “poteri forti” americani, che prima commissionano al suo compagno, Diego Rivera, un affresco gigante, e poi li espellono entrambi, senza compenso alcuno, smurando, per di più, la parte già compiuta dell’affresco, solo perché Rivera si era rifiutato di togliere dal murales il volto di Lenin.
Osservando da vicino il quadro della Khalo, si scorgono una serie impressionante di allegorie, e di chiara denuncia politica (Frida e Rivera avevano esplicite simpatie per il comunismo anticapitalista), contenute nei simboli massonici, posti in bell’evidenza in primo piano, sovrastati da oggetti di scherno, come un water bianco smagliante, posto in cima al capitello dorico della colonna massonica. Idem, per i templi della finanza, invasi dal sacro fuoco distruttore della Storia, da cui defluiscono le folle-formicaio, massa di manovra oscura e anonima per il capitalismo rapace. Al colmo dello scherno, troneggia, sul lato destro, un enorme secchio metallico della spazzatura, (ricolmo di oggetti simbolici di scarto), che rivaleggia in volume -e in primissimo piano- con le colonne stesse. Per finire a quel tempio dorico di epoca ellenica, che sovrasta per cultura e maestosità i giganteschi grattacieli americani, sorta di enormi alveari anonimi e impazziti, al cui interno si svolge una vita senza senso.
Al contrario di quanto ribadito “serialmente” in molti quadri di Frida, in cui emerge con prepotenza, soprattutto nei numerosi ritratti, il ruolo fondamentale di Rivera (rivoluzionario appassionato e profondo cultore, innamoratissimo della cultura india, dipinta con una massività cromatica espressiva, che richiama i quadri esotici di Gaugin), sul palcoscenico, la sua presenza, muta e goffa, di marito-amante, ne fa un personaggio minore, del tutto irrilevante. Eppure, la lancinante, insopportabilmente dolorosa separazione tra i due è raccontata, come una straziante resezione chirurgica, in varie opere della Khalo, nelle quali il volto e l’immagine (talvolta fantasmatica) di Rivera fanno da arco di volta dell’intero discorso artistico, in cui la Khalo richiama a sé le forze orientali dello Yin (la parte ombrosa della collina) e dello Yang (la parte soleggiata), del Sole e della Luna, per ricongiungersi idealmente con il suo amato, in una perfezione assoluta amorosa, carnale e spirituale, ormai irrimediabilmente perduta.
Nulla che ci suggerisca, nello spettacolo omonimo (in scena al Piccolo Eliseo, fino al 13 aprile), le ragioni profonde di questa passione smodata, quasi insana, di Frida per un uomo non certo bello, pingue, dai tratti del viso un po’ larghi e cadenti, eppure grande amatore, grandissimo fedifrago che, più tradisce, più, come un elastico inchiodato a un punto fisso, torna sempre da lei. Rivera sulla scena è perennemente muto, silenziato. Come tanti, troppi personaggi sentimentali (soprattutto donne), che hanno avuto un ruolo e un impatto sovrastante nella vita di Frida, che fu un’artista autenticamente dissacrante, anche nella sua ostentata bisessualità.
Ad esempio, un’accurata, non superficiale prospezione freudiana del personaggio, avrebbe riportato queste pulsioni sessuali profonde al suo stato fondamentale vitale (vi ricordate di John Kennedy e la sua smodata fame sessuale, a seguito delle ferite alla colonna, riportate in guerra?), sfrontatamente rivendicativo, rispetto a una qualità della vita che la vedeva camminare, o stare in piedi, ingabbiata in angusti corsetti di gesso, o contenenti al loro interno solide armature metalliche, per consentirle di conservare un minimo di posizione eretta. Pochissima attenzione, inoltre, offre lo spazio teatrale al dramma del dolore fisico tremendo di Frida, che subì ben 32 operazioni ricostruttive, a seguito di un devastante incidente -il mezzo pubblico su cui viaggiava si schiantò contro un muro-, che la vide fratturata in più punti, e infilzata da una barra metallica che le aveva perforato perfino la vagina! Frida fu costretta a mantenere per anni, ingessata in tutto il corpo, la posizione orizzontale, dipingendo innumerevoli suoi autoritratti distesa, guardandosi in un grande specchio, che i suoi cari avevano sistemato sopra il suo letto.
Né, tantomeno, trovano spazio le sue profonde riflessioni allegoriche, che vanno dalla pratica buddista, a quella surrealista della più famosa corrente francese, ai suoi viaggi, ai contatti con le correnti artistiche più stimolanti e dissacranti dell’epoca. Prete, va detto senza riserve, ha preferito porre l’accento sulla sessualità contorta di Frida, addensando le scene lesbo, del tutto esplicite, cui fanno corona le scenografie di un corpo di ballo, dove i caratteri bisessuali sono nettamente marcati, attraverso i costumi bisex delle ballerine (mezzo leggins a sinistra, metà gonna merlettata corta sulla destra). Stride, in particolare, l’uso della musica tecno a tutto decibel, che viola, francamente, le atmosfere ovattate, intimistiche, che si respirano nella maggior parte dai quadri di Frida. Penso, in particolare, a quelli che la ritraggono in posizione seduta, mano nella mano, cuori fuori dal petto, con altre compagne, fedeli amiche ed esegete, che l’assistono nel viaggio sentimentale e complesso della sua vita di donna e di artista.
L’attrice protagonista, la brava Alessia Navarro, è lasciata un po’ troppo sola, disegnata e realizzata come mattatrice “intimista” dello spettacolo, in cui viene a mancare del tutto la cornice relativa al formidabile portato della rivoluzione artistica, del contesto epocale e delle passioni civili e politiche, che fanno di Frida Khalo uno dei personaggi femminili più inquietanti e dissacranti della moderna storia dell’arte. Comunque, a Pino Insegno va un caldo ringraziamento per la sensibilità e il coraggio dimostrati, nel voler portare in scena e far conoscere a un gran numero di spettatori lo straordinario personaggio, umano e artistico, di Frida Khalo.