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Mag 19

Serve più o meno Europa? Di Maurizio Bonanni

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“Europa macht frei”? Ovvero: l’Europa alla tedesca, ci rende più o “meno” liberi? Siamo prigionieri di un inedito campo di concentramento valutario germanico, a dispetto della nostra volontà o, effettivamente, sarebbe meglio per noi fare un dignitoso “mea culpa”? Ha ragione Grillo, con il suo doppio “No” a Ue ed Euro o, al contrario, occorre dare ascolto a coloro che lo deridono (e io mi riconosco tra questi ultimi), sostenendo che la nuova autarchia monetaria ci costerebbe, come minimo, una svalutazione del 30-40%, al momento del ritorno alla Lira? Facciamoci due conti. Oggi, con 1.500 euro netti al mese, una famiglia di 4 persone riesce con notevoli sacrifici ad arrivare alla fine del mese. Nel 2001, con l’equivalente in lire (tre milioni), quella stessa famiglia viveva molto decorosamente. Domani, tornando nuovamente alla lira (con cambio iniziale paritario: “una Lira = un Euro”), quel suo potere d’acquisto sarebbe ridotto almeno della metà. Quindi, quale scenario “greco” (fallimenti a catena, licenziamenti di massa, povertà dilagante, crollo del welfare) ci attenderebbe dietro l’angolo della nostra uscita dalla moneta unica? Certo, il vocabolario di Grillo, la sua straordinaria capacità di coagulare il rancore collettivo in un’incontenibile spinta antisistema, sono destinati ad allontanare i moderati dalle urne (il finto modernismo di Renzi non servirà a convincerli del contrario), e l’astensione record farà di M5S il secondo partito a livello nazionale, in ossequio al sentimento antieuropeista dilagante.

    Dopo di che, come si comporteranno Pd e Fi? Di certo, a quel punto, il “Patto del Nazareno” (ovvero, l’accordo Renzi-Berlusconi sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale, in particolare) non avrebbe più alcun valore, e il sistema politico si troverebbe nuovamente confinato all’interno dell’unica prospettiva di un Governo di Grande Coalizione (affidato a Chi?), per arginare la spinta eversiva del comune nemico pentastellato. Ma, dando per scontata la vittoria di M5S alle prossime europee, che senso avrebbe per Napolitano mettere mano a un ennesimo “Governo del Presidente”, senza passare per nuove elezioni? Le sue eventuali dimissioni, poi, aggraverebbero notevolmente la crisi politica italiana, senza garantire un vero ricambio istituzionale. Per cui, alla fine, comunque vada, converrà a tutti dare più tempo a Renzi per la realizzazione del suo programma, avvalendosi dell’appoggio esterno di Fi. Di elezioni anticipate se ne riparlerebbe per la primavera del 2015, con un accordo condiviso sul ripristino del “Mattarellum”, in modo da affidare al nuovo Parlamento l’onere di procedere alle necessarie riforme costituzionali.

I guai strutturali del nostro Paese sono quelli individuati dalle attuali forze politiche, o c’è sotto ben altro? Come si fa a rilanciare l’occupazione, in un mercato del lavoro rigido e iper protetto, come quello italiano, dovendo competere sui mercati mondiali con i nostri prodotti a basso tasso d’innovazione tecnologica, rispetto ai quali esiste una concorrenza asiatica agguerrita e imbattibile? Senza un’Università a livello delle migliori facoltà scientifiche di America, Cina e India, com’è possibile avere una ricerca fondamentale e avanzata, tale da garantire il rilancio di produzioni fortemente innovative, all’interno del nostro sistema industriale? Nessuno che parli, ormai, di grandi progetti e opere infrastrutturali, come quella della creazione di dorsali ferroviarie, longitudinali e trasversali, ad alta velocità, per unire Sud e Nord del Paese, nonché i vari mari che circondano la nostra penisola! Nessuno che rivendichi l’assoluta priorità di dotare della banda larga l’intero territorio italiano, favorendo così, attraverso la digitalizzazione, il lavoro a distanza, la formazione avanzata e lo snellimento burocratico!

A partire  dalla tragedia del livello di cambio lira/euro, chiediamoci se sia stata colpa della Germania, o nostra, quella di aver lasciato svalutare del 50% il potere di acquisto delle famiglie italiane, a partire dal 2002! Io direi che i tedeschi dispotici siano stati, in realtà, i nostri commercianti, le banche, gli speculatori di ogni risma, l’intermediazione immobiliare e dell’agroalimentare (quella che allunga a dismisura le filiere, pagando “uno” al produttore, per rivenderlo a “cento” al consumatore finale), etc.. Tutti costoro rappresentano il boia collettivo responsabile delle nuove povertà, per aver distrutto milioni di posti di lavoro ed eroso parecchi punti di Pil, attraverso gigantesche manovre speculative sulla nuova moneta, nell’inerzia colpevole dei poteri pubblici di allora. Paradossalmente, se volessimo davvero salvare questo Paese, dovremmo riportare indietro il contatore del costo della vita, abbassando gradualmente i prezzi all’ingrosso e al dettaglio, in modo che il rapporto tra salari e potere di acquisto torni a essere dell’ordine di grandezza di quello esistente nell’ultimo anno di vita della lira italiana. Ma i prezzi non bastano a spiegare tutto.. Dietro la decadenza economica, sociale e politica dell’Italia c’è molto di più.

Il primo fattore di declino è rappresentato dalla scomparsa progressiva del manifatturiero e dell’artigianato di qualità. Il suo assassino si chiama “Globalizzazione”, responsabile dell’apertura indiscriminata delle frontiere e dei mercati nazionali ai prodotti a bassissimo costo e di scadente qualità, provenienti dall’Asia. Fate caso ai marciapiedi delle strade del centro e di periferia delle nostre città: le troverete ingombre di una miriade di bancarelle, gestite da extracomunitari, che vendono ogni tipo di merce di bassa qualità proveniente da Cina, India, Vietnam, Cambogia. E più si allungano quelle file del commercio precario, volgare, contraffatto e privo di gusto, più aumenta la mortalità dei pochi negozi e botteghe artigianali superstiti (rimasti aperti, a dispetto dei santi, su quelle stesse strade), che si ostinano a produrre beni di qualità, acquistati o acquistabili da una sempre più ristretta cerchia di facoltosi intenditori. Una volta, parecchi secoli fa, scambiammo le nostre perline di vetro con oro e merci preziose, ingannando le popolazioni indigene dei Nuovi Continenti. Oggi, ci colpisce la legge del contrappasso, con monili e pietre di nessun valore, venduti in ogni angolo delle nostre strade da venditori ambulanti “invasori”, spesso privi di un titolo valido di soggiorno. Del resto, noi, allora, andammo e depredammo, senza chiedere il permesso a nessuno, forti della nostra arroganza e della superiorità delle armi. Oggi, soccombiamo alla marea colorata di coloro che, in ogni modo e a ogni costo, vogliono venire a vivere nel nostro degradato paradiso terrestre!

Uno degli strumenti possibili di rinascita, per noi, consiste proprio nel ricostruire quella sapienza manuale (per la trasformazione dei prodotti della terra; la lavorazione del cuoio, del legno e dei metalli; la tessitura e il ricamo a mano, etc.) e l’apprendistato relativo, facendo tesoro dei saperi residui, in modo da ricompattarli, riorganizzarli e rivitalizzarli in circoli di qualità, coordinati da mastri di bottega anziani ed esperti. Tuttavia, affinché una simile iniziativa possa aspirare a un minimo di successo, occorre riconvertire, con campagne di educazione collettiva, la propensione all’acquisto del consumatore italiano verso beni certamente più costosi, ma di gran lunga più affidabili, per qualità, pregio e durata nel tempo. Oggi, le cose non si riparano, ma si eliminano in discarica, per il semplice fatto che il costo orario della manodopera artigianale (sartoria, falegnameria, etc.) è ben più elevato di quello del singolo bene deperito.

In sintesi, le soluzioni per noi non passano per la buona volontà della Merkel, ma attraverso una rivoluzione culturale che ci riguarda tutti, in prima persona!

Di Maurizio Bonanni

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