“Togliamo l’Italia ai soliti noti che vanno nei salotti buoni” afferma con sicurezza il premier. Ma per darla a chi ? Questa è la domanda inevasa. Guardando alla prima tornata di nomine (Eni, Finmeccanica, Enel…) verrebbe da pensare che, l’incremento al femminile, nasconda la provenienza dei fortunati dagli stessi salotti e dallo stesso mazzo. Nel quale si è colta, come sempre, l’occasione per introdurre qualche nuovo elemento distintosi per meriti clientelari. Si tratta del solito, gattopardesco gioco delle tre carte: la scelta avviene, come di consueto, tenendo conto del potere che la lobby di appartenenza del candidato è in grado di esercitare o della contiguità con il leader di turno alla faccia della capacità. E i competenti ? Se non trovano un padrino e non sono capaci di strisciare hanno un’unica alternativa: andarsene. Quindi, al di là delle chiacchiere, neppure i nuovi arrivati si sognano di introdurre criteri oggettivi di selezione per non sottrarre le nomine alla discrezionalità ed al gioco dello scambio politico. Forse il nuovo premier vuole sostituire i salotti “buoni” con le balere di periferia ? Vuole entrare nei salotti romani per conquistarne la benevolenza ? O forse, più semplicemente, intende facilitare l’ascesa di persone affidabili o indicati dalle lobby che lo sostengono ? Il problema non è la qualità dei manager ma che sia la politica a nominarli e l’assoluta discrezionalità nel farlo. Così non c’è cambiamento ma solo una turnazione nel beneficiare degli stessi privilegi.
Cambiamento significa scomporre i poteri consolidati, annidati sia nel settore pubblico che nel privato, e riaggregarli, rimettendo al centro l’individuo liberandolo dall’obbligo di cercarsi un acriteri oggettivi all’accesso, alle carriere ed agli incarichi può far emergere i migliori e restituire fiducia alla collettività. La quale ha capito benissimo che ognuno si nomina i suoi controllori consolidando la catena delle connivenze e dell’impunità. Se Renzi vuol davvero cambiare il Paese, e non impossessarsene, separi nettamente la politica dagli affari, e dalle nomine di chi è chiamato a gestirli, altrimenti toglie l’Italia dalle mani dei soliti noti per metterla in quelle degli amici suoi.
Di Riccardo Cappello, Il Cappio
Ago 26