Ogni imprenditore è costretto a mantenere un numero spropositato di consulenti (commercialista, legali etc.) senza che neppure il consulente del lavoro sappia dirgli con certezza quanto gli costa annualmente un impiegato e il suo stipendio netto o quale sia l’ammontare delle tasse o il costo dell’assicurazione. Eppure non una voce si leva per protestare contro questa tassa che cittadini e imprese sono costretti a corrispondere ad iscritti agli albi per adempimenti imposti solo per giustificare una parcella. I servizi professionali toccano bisogni primari (salute, sicurezza, ambiente, giustizia), costituiscono una cerniera tra Stato e Mercato e, collocandosi al centro ed intermediando tra i due, producono una rendita e non un reddito.
Infatti, ogni titolare di partita Iva, artigiani e imprese, per compensare i liberi professionisti ha affrontato, nel 2011, una spesa di euro 5.979, pari a 14,9 miliardi, tanto che in Italia la gestione del personale costa ad una PMI, 10 volte più che in Germania. Così, ad esempio, un terzo dei contribuenti, pur non dovendo corrispondere nulla al fisco, è tenuto, comunque, a pagare il commercialista. Al quale è costretto a rivolgersi per la tenuta dei libri contabile o per il semplice invio della dichiarazione dei redditi. Non si può mettere piede in una cantiere o dialogare con l’assessorato all’urbanistica senza essere accompagnati da un iscritto all’albo. Inoltre, mentre avanti il Tribunale Penale Internazionale de L’Aia è possibile farsi patrocinare anche da chi non sia in possesso di alcun titolo in Italia, è obbligatoria l’assistenza di un legale iscritto all’albo anche per controversie di modesta entità e persino avanti il mediatore. Così, “non si muove foglia senza l’avallo del notaio, del commercialista o dell’avvocato” che difendono le loro rendite parassitarie con la connivenza della politica che cede pezzi di economia in cambio di consenso.
Di Riccardo Cappello, Il Cappio
Set 28