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Dic 04

Quell’urlo silenzioso che non vogliamo ascoltare, di Alessandro Bertirotti

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Alessandro Bertirotti

È tutta questione di… aprire le orecchie e il cuore. Avere sedici anni e non riuscire a immaginare un futuro, soffrire in silenzio nascondendo il tormento con un apparente anticonformismo, mentre ogni giorno che passa ci si sente più soli. Ho pensato che fosse importante scrivere qualche riflessione in proposito, confrontandomi anche con una cara amica e collega, Laura Lesévre, della quale ricordo, rispetto al mio riferimento a questa notizia, il silenzio telefonico prolungato. Mancano le parole, anche se occorre trovarle affinché la mente cominci almeno a ragionare sul potere a volte distruttivo che le situazioni della vita e quello che ci accade esercitano sulle nostre decisioni. In tutti i manuali di psicologia generale, come in quelli dedicati alla psicologia dell’arco della vita, una volta definita evolutiva, si legge chiaramente che l’adolescenza è un momento assai critico per lo sviluppo personale, all’interno del quale le relazioni con l’ambiente esterno e con i propri pari e quello interiore diventano luoghi di incontro e di scontro, di amore ed odio, di giustificazioni e intolleranze inaudite. E poi, vi sono i genitori che si trovano spesso in situazioni in cui non sanno come agire, specialmente quando notano che il loro figlio soffre per qualcosa che non riescono a recepire, e verso il quale non hanno strumenti cognitivi, ancorché possiedano tutti quelli affettivi. Ma a sedici anni le domande sono molte sul futuro, sull’amore, sull’amicizia e sulla professione, secondo un processo mentale che pone al centro l’accettazione e l’accoglienza di se stessi all’interno della famiglia (che fa spesso tutto quello che può), del gruppo di amici e dei compagni di scuola. Molte le domande, spesso tragiche le risposte. Alla luce di avvenimenti di questo genere, verso i quali, appunto, anche le mie parole sono inutili e servono, se servono, solo per coloro che rimangono, sarebbe auspicabile preparare tanto i genitori quanto gli adolescenti stessi a sviluppare una maggiore attenzione verso i silenzi, gli improvvisi cambi di umore, la necessità di sentirsi amati ed accolti, la vita in gruppo e le prime delusioni d’amore. Se riusciamo a parlare con i giovani, condividendo con loro tanto le loro fragili emozioni quanto le soluzioni totalitarie che propongono, il loro modo di vedere il mondo senza equilibri, ma nella tempesta quotidiana che rispecchia quella ormonale di cui sono vittime, riusciremo certamente a diventare consapevoli della loro fragilità esistenziale. Non esistono persone forti o meno forti, mentre esistono persone potenti e meno potenti. La forza è la capacità evidente di vincere, credendo che sia possibile esistere sottomettendo situazioni e persone alla propria volontà, mentre la potenza è la capacità di cedere per primi, sapendo che l’attesa e la sua sana gestione rappresentano la costruzione della propria volontà e determinazione. Ma tutto questo va raccontato ai giovani adolescenti, perché rispetto ai tempi passati, in cui potevamo permetterci di non affrontare questi temi perché la vita ci si proponeva possibile, oggi, di fronte agli stimoli negativi che i nostri giovani ricevono rispetto al futuro, del tutto improbabile, i conflitti interiori sono aumentati e la solitudine e il non essere compresi e accettati diventano sempre più insopportabili. Di Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della Mente
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