Nov 14
PARIGI BRUCIA. Di Maurizio Bonanni
Parlare a vanvera. Questa la missione di tutti i media nostrani e internazionali, quando si tratta di narrare in diretta avvenimenti drammatici, come quelli della terribile notte parigina, con gli attentati a sangue freddo del 13 novembre. Nota di colore: allora è proprio vero che il venerdì 13 porta sfiga! Qualcuno, però, deve chiarirmi che cosa significhi "Guerra a Daesh-Isi", con gente come questa che non è firmataria di Trattati "minimi" come la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra e sul diritto di asilo, e non ha uno Stato riconosciuto e confini nazionali certi. Infatti, io non credo si possa combattere una guerra ferocemente "non ortodossa" con l'ortodossia militare occidentale! La minaccia vera di Daesh-Isi è psicologica, adatta a recidere la giugulare della globalizzazione, poiché ne destabilizza i sistemi vitali della comunicazione e della libera circolazione di persone e beni. Per questo gli sono sufficienti commandos ben addestrati (i "foreign fighters" di ritorno, in particolare) per azioni di guerra o suicide, all'interno di Paesi occidentali come Francia, Inghilterra e Italia che hanno al loro interno forti minoranze musulmane. La Francia, in particolare, ha una gioventù islamica (figli e nipoti dei primi immigrati magrebini e africani) ribollente di odio e di rancore, a causa della propria marginalizzazione ed esclusione. Ma davvero crediamo che per arginare analoghi rischi qui da noi, quando decine di milioni di pellegrini convergeranno su Roma per il Giubileo della Misericordia, basteranno le rassicurazioni del Governo?
Dal mio punto di vista occorre combattere lo Stato islamico con le sue stesse armi: intelligence e commandos; ricorso alla propaganda orwelliana, per immunizzare gli occidentali dal terrorismo psicologico. Serve molto più educare al "coraggio" tutte le sue potenziali vittime, rifuggendo dalla demagogia della propaganda anti islamica. C'è poco altro da fare con gente che ha nessun timore di mandare al macero centinaia di migliaia di esseri umani, loro e di altri. Non evochiamo e, tanto meno, riproduciamo, vi prego, altri Afganistan e Iraq, dove siamo andati al guinzaglio della più potente armata del mondo, per ritirarci senza gloria, dopo migliaia di morti e colossali spese per sostenere quelle spedizioni. Ma anche l'ipotesi di "vietnamizzare" il conflitto in Siria, Irak e Libia è già andato in onda più volte, da alcuni decenni a questa parte. E ne abbiamo visto i risultati disastrosi a consuntivo. Ricordate i considerevoli finanziamenti in armi e denaro, che gli Usa fecero ai "mujaheddin" del popolo, durante l'occupazione sovietica dell'Afganistan? Caduta l'Urss vennero Bin Laden e i talebani. Idem in Iraq, dove dopo il 2003 la guerriglia sunnita si è impossessata degli arsenali di Saddam e ha costretto gli Usa al ritiro nel 2014.
Il cuore della risposta al "Che fare?" dopo questo 13 novembre 2015 è semplice: fortificare al massimo la.. resistenza interna (interiore) degli individui sotto attacco. Peraltro, la probabilità di essere coinvolti in un atto di guerra, come quello di Parigi, è praticamente nulla, se calcolata su centinaia di milioni di cittadini europei. Dopo di che, non dovremmo temere il numero di nostre perdite, qualunque esso sia. Questo principio deve essere controbilanciato dall'assoluta certezza -da instillare nell'Avversario- che ogni sua azione avrà, puntualmente una reazione almeno pari e contraria. Esecutori e mandanti, cioè, saranno perseguiti "alla israeliana" e neutralizzati con ogni mezzo, ovunque essi si trovino, senza riconoscere loro nessun "safe-place". Gli israeliani, in questo, sono degli specialisti, con memoria d'elefante. Poi, se riuscissimo a catturane un po' di infiltrati, qui in Occidente, non sarebbe male estradarli immediatamente in quei Paesi di origine, in cui la pena capitale è garantita, per costoro. Certo, in tal caso, resta l'ostacolo da superare dei Trattati internazionali, che proibiscono l'estradizione in Paesi dove vige la pena di morte.. Ma è un dettaglio..
Sul piano strategico internazionale dovremmo recuperare l'Iran come nostro interlocutore e alleato "tattico", perché sia Teheran a usare il proprio esercito per battere sul terreno i loro più odiati nemici: lo Stato islamico di Daesh-Isi. È chiaro che, per farlo, dovremmo mettere sui due piatti della bilancia della trattativa tra noi e l'Iran le garanzie per la sua sicurezza e, come contropartita, chiedere la rinuncia alla sua folle propaganda per la cancellazione dello Stato di Israele dalla carta del Medio Oriente. Secondariamente, occorre rafforzare in ogni modo la resistenza curda, facendo la faccia truce con Erdogan e affrontando a muso duro Arabia Saudita, Emirati e Turchia fondamentalista, facendoli fallire economicamente, se necessario! Ultima cosa: basta, vi prego, con le storielle dell'integrazione "politically-correct"! Il "melting-pot" Usa ha avuto (parzialmente) successo, perché "tutti" i suoi cittadini si inchinano davanti allo stendardo a Stelle e Strisce e si riconoscono nella Unità della Patria. Proviamo a partire da qui, privilegiando l'individuo anziché lo Stato-Leviatano e le sue ideologie... Altro non c'è, come la vedo io...
Di Maurizio Bonanni