Annegati. Participio passato del verbo “annegare”. Termine che in materia di immigrazione è, come dire, “double-use”. Come quei componenti per uso civile che, nel caso dell’Iraq di Saddam e poi dell’Iran post-Khomeini, potevano servire ad alimentare la costruzione della bomba nucleare aggirando l’embargo occidentale. Annegano in migliaia quelli che affrontano in mare aperto il Mediterraneo e annegano, metaforicamente, a decine di milioni (nel malumore, nella paranoia e nella crescente xenofobia) i cittadini delle comunità autoctone italiane che accolgono a centinaia di migliaia i sopravvissuti, profughi veri (pochi) ed economici (perlopiù). Un’immagine, per chiarire il tutto: avete presente quante volte la superficie in chilometri quadrati dell’Italia sta nel Continente africano? Ebbene, come volete che sussista il principio dell’accoglienza indiscriminata? Eppure la nostra collettività politica annega nel buonismo irenico che, in tal senso, nulla sia umanamente impossibile. Ovviamente, quando il problema da politico si stempera nella più comoda gestione amministrativa dell’accoglienza, ecco allora sorgere strani indotti, dove onlus improvvisate si atteggiano a buon samaritano per svuotare il pozzo senza fondo del business dell’accoglienza.
Non solo: funzionari di altissimo profilo come i prefetti si vedono costretti a fare le veci delle agenzie di viaggio per il prelievo, trasporto e collocamento di improbabili turisti per necessità. E, di conseguenza, sono i prefetti a scontrarsi (divenendo così il capro espiatorio di uno Stato inefficiente) con le comunità locali, che non ne vogliono sapere di farsi carico pro-quota dell’accoglienza. Anche perché, siamo sinceri, il giochino l’hanno capito tutti: tu Stato ti dai strumenti operativi farraginosi e anacronistici, come le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, che hanno tempi biblici per l’esame delle richieste di asilo, consentendo così lo stazionamento “legale” in territorio italiano di un numero molto elevato di immigrati irregolari, ai quali viene rilasciato “indiscriminatamente” un permesso di soggiorno provvisorio fino alla conclusione del procedimento stesso. La stragrande maggioranza dei richiedenti, pur non avendo il diritto al riconoscimento della protezione, fa automaticamente domanda d’asilo, ben sapendo che noi siamo il ventre molle dell’Europa: qui si entra anche se non si ha diritto e si resta, perché lo Stato italiano non ha i mezzi per rimandarti indietro nel Paese di origine.
Così da tempo si sente ripetere il mantra delle espulsioni e dei rimpatri come se, per incanto, le parole potessero tramutarsi in fatti compiuti. Addirittura, per i foreign fighters, si chiedono a gran voce nuove Guantanamo, oltre alla riesumazione dei famigerati Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Tutto ciò perché la follia europea e occidentale (e onusiana, ancora peggio) consiste nel non voler correre nessun rischio per mettere in sicurezza le coste libiche da dove operano impuniti i nuovi trafficanti di schiavi. Lì, e soltanto lì, bisognerebbe insediare gli hotspot internazionali con équipe europee specializzate per l’esame delle richieste di asilo, creando campi ben attrezzati e confortevoli, protetti e vigilati da un possente cordone sanitario di truppe Onu con regole di ingaggio di un fronte caldo di guerra, perimetrando una vasta area rossa in cui nessuno possa transitare armato. Non potendolo o volendolo fare, si potrebbe ragionare in alternativa nel seguente modo.
Visto che, obiettivamente (anche se, ripeto, non lo si può dire), le mafie meridionali rappresentano un invisibile e impenetrabile cordone sanitario che contribuisce ad impedire alla “armada invisibile” del Califfo di introdurre armi ed esplosivi per condurre stragi e attentati in Italia, si potrebbe partire da lì per un ragionamento da Nuova Frontiera. Avete mai pensato a quanto renda il traffico dei migranti e all’indubbia collaborazione tra le mafie delle due sponde del Mediterraneo? Volete che i negrieri libici non sappiano chi stanno imbarcando, soprattutto qualora siano foreign fighters o combattenti siriani dell’Isis, e non li segnalino ai loro corrispondenti siculi? Ora, basterebbe mettere una “taglia” per ogni potenziale terrorista denunciato, da pagare presso una sorta di “Sportello ombra” a chi abbia presentato denuncia, una volta che le verifiche di sicurezza ed, eventualmente, la giurisdizione penale abbiano dato un riscontro fattuale positivo. Dopodiché, sarebbe sufficiente elaborare per questi nuovi “nemici non combattenti” un originale “41-bis” (surrogato di Guantanamo) per tenerli un tempo sufficientemente lungo nelle patrie galere e in isolamento. Qualcuno avrebbe un pensiero ancora più originale?
Gen 10