Menenio Agrippa e il processo
Non si tratta ne’ di errore di digitazione, ne’ – tanto meno – di un qualche episodio storico meno noto nella vita del grande console romano.
Abbiamo voluto citare distintamente due parole che ci pare possano venire davvero utili per una visione non partigiana e non utilitaristica di una vicenda che – ad avviso della Cisl Medici – non dovrebbe neppure esser posta, tanto scomoda appare in qualsiasi lato la si voglia prendere.
La presenza di un medico negli interventi di emergenza è tanto più opportuna quanto più – appunto – l’intervento sia dovuto ad un caso di gravità. Nella descrizione della fattispecie che fa sempre seguito alla richiesta di intervento è del tutto ovvio che si possa cogliere, nella maggior parte dei casi, la necessità della presenza di un medico oppure l’opportunità che sia personale non medico (ma ugualmente ben preparato, sia chiaro) ad intervenire, ad occuparsi delle persone in stato di necessità.
E qui si apre la parentesi: stiamo parlando di necessità delle persone, non dei bilanci. Non dobbiamo mai alimentare il sospetto che anziché valorizzare davvero una categoria …ci se ne voglia far paladini per risparmiare su un’altra.
Chiusa la parentesi.
A Livorno, alcuni giorni or sono, si è ventilata anche la possibilità che fosse prefigurato il grave reato dell’esercizio abusivo della professione medica. Non lasciamoci trasportare dall’emotività, dato che non dobbiamo neppure lasciarci influenzare dalla smania politica di una parte o dell’altra.
Qui si parla di diritto alla salute, di emergenze, di cura delle persone. E le persone sono curate da medici e non medici, tutti sperabilmente ben preparati, coordinati, equipaggiati. E retribuiti.
Ed allora il riferimento al nobile tribuno non è ozioso, se ancora a 2500 anni circa dalla sua vita occorre riflettere sul fatto che tutti gli operatori della sanità sono utili per le persone e la loro cura. Non occorrerà certo che la Cisl Medici citi il famoso apologo, no?
Diverso, però, è il caso del “processo”, e qui dobbiamo volutamente citare il termine per evocare due diversi aspetti: non si può condannare una persona per le proprie azioni compiute in perfetta buona fede e nell’adempimento di un mandato politico, sia pure in contrasto (ma non professionale) con la propria appartenenza ad una categoria. Il collega Venturi ha –come chiunque – pieno diritto a veder valutato il proprio operato soltanto nell’ottica della propria deontologia professionale e negli atti che ha compiuto nello svolgimento della sua opera da medico. Il resto è politica.
E – tanto per rifletterci su ancora un momento – il termine “processo” ci torna utile anche per significare il ns. punto di vista contro qualsiasi confusione che artatamente si produca cercando di separare la causa dall’effetto. Ci sono moltissimi lavoratori della giustizia (un esempio solo? I cancellieri) che uniscono spesso fior di lauree e una cultura approfondita delle cose giurisprudenziali ad una consolidata esperienza. Senza di essi, di fatto, i processi non si possono tenere, per tutta l’attività che svolgono prima, durante e dopo.
Però non possono esser loro ad emettere una sentenza. Non confondiamo la preparazione con la qualifica. Non si tratta di “concezione castale”, non scherziamo. Qui la parola “casta” è solo l’aggettivo più appropriato per difendere la buona fede di alcuni dalla strumentalizzazione della manovra politica di altri.
E a questo gioco non giochiamo.
di Biagio Papotto
Segretario Generale della Cisl Medici