Ago 13
Quando lo sport diventa un incubo
Voleva tutto e ha perso tutto Alex Schwarzer.. Ma era solo lui che voleva tutto? Perché dopo aver visto l’intervista integrale dell’atleta, due giorni dopo l’esplosione del caso e l’averne sentite di tutti i colori su di lui, ho subito pensato che gli interessi intorno ad un campione, sono miliardari ed oltre allo stesso c’è una famiglia, una compagna, una sfilza di allenatori e preparatori, più o meno in buona fede, anche di amici (andiamo!), di sponsors che guadagnano su questo, e per anni mettono una pressione che non ha limiti, trasformando il piacere dello sport, quindi una passione, in un vero incubo.
Non tutti reggono evidentemente. Non tutti gli sportivi hanno capacità imprenditoriali. Se uno qualsiasi si mettesse a dirigere l’Harry’s Bar di Via Veneto probabilmente fallirebbe nell’arco di una settimana, specie di questi tempi. Per ogni cosa ci vuole stoffa e non tutti ce l’hanno. Si può averla per correre i 50 Km, allenarsi duramente, ma non per reggere in eterno il carico di non vedere la famiglia per mesi o gli amici, la propria ragazza se non una volta al mese.
Quando certi sacrifici li fai poi per 20 anni è come se avessi fatto vent’ anni di galera. Se lui, Schwazer, l’ha vissuto così ad un certo punto, non possiamo farci niente. Non si può ignorare l’SOS che un figlio ti lancia ad un certo punto e Alex dopo Pechino lo aveva fatto, aveva detto a sua madre disperatamente e più volte che non ce la faceva più. Sicuramente lo aveva detto anche ad altri. Ma nessuno lo ha ascoltato.
Questo ragazzo è felice di essersi levato un peso. L’ho visto con la testa bassa e piangere nella prima mezz’ora della sua intervista, sembrava più una deposizione. Si vergognava. Ha usato proprio questa parola con fare liberatorio. Ha distrutto consapevolmente una vita di sacrifici. Ha cancellato agli occhi del mondo anni di rinunce personali. Ha scagionato persone che non c’entravano niente, dando solo a se stesso la colpa della scelta dell’assunzione delle sostanze che sono state rilevate, poi finalmente ha alzato la testa e ha cominciato a respirare, sembrava pensasse che da quel momento poteva sopportare qualunque cosa. Era finalmente libero dai suoi aguzzini, da chi lo aveva tormentato, costretto, non compreso e convinto ogni volta lui volesse rinunciare ad aspettare ancora un po. Finalmente libero da chi se n’è fregato di fare di lui una macchina per i soldi.
Mi viene in mente un articolo letto su La Repubblica di alcuni giorni fa: riguardava il più grande nuotatore della storia olimpica, Michael Phelps. 22 medaglie. Una stella che dopo aver vinto la sua ultima gara l’altro giorno, la staffetta mista, ha lasciato per sempre la carriera sportiva. Ha detto “adesso devo cominciare a vivere”. Phelps ha solo 27 anni e ha cominciato a 7 anni ad essere accompagnato dal padre e dalla madre, separatamente perché divorziati, in piscina. Ogni giorno dopo la scuola. Anche per lui, quindi, niente vita. Aveva paura di nuotare da piccolo, fino a quando non l’ha superata (iniziando con il dorso) ed è diventato il più grande di tutti. Ma esserlo diventato è stata una condanna, perché i coetanei lo trovavano antipatico, pertanto Michael non aveva amici. Uno che vince non sempre ha amici. Aveva i brufoli sulla faccia quando ha cominciato a vincere medaglie pesanti, quindi lo prendevano anche in giro. Quante invidie e quanti sospetti su di lui, sui suoi allenatori, sui preparatori.
Adesso tutti tengono gli occhi puntati sui cinesi e sull’altra stella nascente, l’americana Katie Ledecky.
Non abbiamo più molto per cui sognare noi comuni mortali, ci stanno rubando ogni cosa, il futuro, il lavoro, abbiamo solo incubi. Ogni nazione ha i suoi, quindi lo sport e questi giovani dei dell’olimpo ci aiutano a superare qualche tensione, a sciogliere i turbamenti della quotidianità di questa estate così lunga e calda. Ma quanto costa a questi ragazzi! Come ha detto Alex, ci si prepara tutto l’anno, ogni giorno per ore, ripetendo sempre le stesse azioni, per fare una sola gara. Se questa va bene allora il merito è di tutta la squadra. Se questa va male allora il problema è dell’atleta che è “debole di testa”. E tutti i sacrifici di una persona che si dedica e mette in gioco la sua vita non sono serviti a niente. Quanto vale la vita di una persona?
Alex spera di avere una vita e un lavoro normale, di essere giudicato senza sconti di pena e di liberarsi di un “peso” terribile. Sa di aver commesso un errore fatale che ha rovinato tutta la sua carriera.
Vanessa Seffer
Da Palermomania.it
del 9/8/2012