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Nov 12

LA SICILIA AUTONOMA HA I VIZI DELLO STATO

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L ' Autonomia regionale siciliana è da cancellare? Le vicende degradanti degli ultimi tempi, che per la verità sembrano essere male diffuso e non solo siciliano, e il bilancio non certo esaltante degli oltre sessantacinque anni di autonomia indurrebbero a dare una risposta positiva alla domanda che in tanti ci poniamo. Tuttavia sono convinto che non è tanto il regime di autonomia che crea quel malcostume, ancor più insopportabile in un momento di crisi come il presente, ma che il malcostume è da addebitare al modesto ceto politico che esprime la rappresentanza politica. Ragioni culturali ed economiche inducono una risposta che va al di là del dilemma Autonomia sì, Autonomia no. Preso atto che l' autonomia regionale, come disegnata dallo Statuto del 1946, salvo in particolari stagioni, che sarebbe ingiusto dimenticare - la stagione della riforma agraria e quella che ha visto protagonista Piersanti Mattarella - non ha prodotto gli effetti positivi auspicati, la soluzione, a mio avviso, dovrebbe passare da un ripensamento della stessa Autonomia e, quindi, dalla conseguente necessaria rivisitazione dello Statuto siciliano. L' Autonomia regionale del ' 46, come nei fatti si è costruita, ha infatti realizzato una istituzione Regione che in sedicesimo ha ripetuto, esaltandone i vizi piuttosto che le virtù, la struttura dello Stato centrale nel territorio dell' Isola. «La pantomima dell' amministrazione centrale» l' ha acutamente definita don Luigi Sturzo. L' Autonomia si è infatti contraddistinta per la forte attenzione all' apparato, a scapito degli interventi destinati allo sviluppo, e per l' altrettanto forte valore antagonistico, il cosiddetto rivendicazionismo riparazionista, rispetto allo Stato centrale. Questi vizi di fondo, che in presenza di classi politiche responsabili quali quelle che hanno contraddistinto i primi anni dell' Autonomia, sarebbero potuti essere depotenziati della loro carica eversiva, hanno purtroppo prodotto nel tempo, e soprattutto in questi anni, un' istituzione che si manifesta come un mero contenitore di provvidenze e un elefantiaco apparato pubblico regionale, in gran parte autoreferenziale, lontano dalle finalità per le quali è stato creato e quasi sempre indifferente rispetto alle esigenze di governo e di sviluppo del territorio. Occorre allora - e questo dovrebbe essere il compito della nuova Assemblea, visto che il saccheggio delle risorse pubbliche non permetterà, almeno nel breve periodo, di mettere in campo provvedimenti che comportino ulteriori impegni finanziari - superare i vincoli istituzionali e mettere mano con urgenza alla riforma dello Statuto. Una riforma che dovrebbe puntare a realizzare un impianto collaborativo fra Stato e Regione, modificandone l' impostazione attuale, passando da una visione statica protesa alla costruzione di uno Stato in sedicesimo a una visione dinamica di Regione come ente di programmazione e strumento propulsore di sviluppo, sensibile alle vocazioni del territorio, che si muova in coerenza con le politiche nazionali. È evidente che per raggiungere questo obiettivo è necessario convincersi della sostanziale impraticabilità della permanenza dell' attuale regime di specialità che contraddistingue le competenze statutarie e della conseguente opportunità di riportare l' Autonomia, con le necessarie garanzie, nel contesto di un quadro di ordinarietà. Pasquale Hamel
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