Cosa devo fare oggi? Devo andare a trovare mia nonna e mi devo ricordare di portare via l’immondizia che ho lasciato nel terrazzo ieri sera… Si tratta di piccoli impegni di vita comune, ma come ci comportiamo di fronte ad obiettivi più importanti, e impegnativi, del tipo comprare una casa, oppure sposarsi e avere dei figli?
L’essere umano, affermano tanto la psicologia quanto l’antropologia, è un essere progettuale, ossia è un animale dotato di coscienzaproiettata al futuro, all’organizzazione di azioni che producano, in certa misura e significato, un cambiamento. In effetti, siamo nati per cambiare e scoprire, grazie a questo, come possiamo adattarci a ciò che noi stessi desideriamo accada in futuro
I cambiamenti che ricerchiamo sono il frutto di spinte psicologiche verso la propria trasformazione, ossia verso la realizzazione di quello che attualmente crediamo di poter diventare, cambiando ciò che crediamo di essere oggi. Negli anni Venti, il sociologo statunitense Luther Lee Bernanrd individuò circa 14.000 motivazion che regolano l’agire umano, mentre oggi se ne individuano almeno 20 essenziali, tra le qualiHenry Alexander Murray Jr., della Harvard University di Boston, inserisce il bisogno di successo, di considerazione e riconoscimento sociale, di conoscenza, di resistenza e di dominio.
In realtà, è quasi impossibile stilare un elenco universalmente adatto a tutti i bisogni umani e alle condizioni esistenziali in cui ogni singolo individuo può venirsi a trovare. Né si può credere che alcune motivazioni/spinte vengano prima ed altre dopo, come ad esempio che le persone abbisognano di sentirsi soddisfatte sessualmente prima di potersi innamorare. Abraham Maslow, nella sua famosa piramide motivazionale degli anni Cinquanta, inserisce la sessualità allo stesso livello dell’istinto alla fame e alla sete.
Dal mio punto di vista, quello antropologico-mentale, la dimensione affettiva umana è, per esempio, fondamentale e la inserisco accanto a qualsiasi altro bisogno esistenziale primigenio. In effetti, nella nostra vita, la qualità del tempo che impieghiamo per svolgere le nostre azioni e realizzare i nostri desideri è strettamente legata al grado di soddisfazione affettiva che proviamo.
Gli studiosi concordano nell’attribuire al successo, al potere e all’affiliazione la funzione di bisogni primitivi, ossia primigeni, gli antecedenti evolutivi di qualsiasi altra motivazione. Inoltre, questi tre elementi del vivere costituiscono nel loro insieme la base motivazionale implicita e generale dell’intera umanità. Si tratta di tre spinte che possono attivarsi se le circostanze esistenziali lo richiedono, oppure se le necessità di adattamento lo favoriscono. In linea generale, gli individui che sono motivati dal successo hanno la tendenza a perfezionarsi, quelli motivati dal potere esprimono la tendenza ad essere superiori agli altri, mentre coloro che agiscono motivati dalla affiliazione desiderano amare ed essere amati.
L’importanza antropologica di queste tre motivazioni risiede nel fatto che posseggono tutte e tre una forte connotazione emozionale, anche se il bisogno di potere, nello specifico, e quello di successo risultano essere predominanti in persone rispettivamente desiderose di forza e tendenzialmente orgogliose.
L’epoca mediatica nella quale viviamo immersi tuttii giorni, il nostro rapporto con la telematica e la realtà virtuale ci ha condotto a realizzare queste tre spinte motivazionali con una velocità decisamente anomala, rispetto alla possibilità che la mente riesca effettivamente gestire i comportamenti che le motivazioni esprimono. In altri termini, la velocità con la quale si riesce a diventare famosi attraverso la televisione, internet e la radio determina la nostra capacità di gestire nel futuro questa immagine che i media creano della persona, influendo fortemente sul comportamento di tutti noi: attori e spettatori.
Per esempio, è proprio quello che sta accadendo alla nostra classe politica che, convinta di aver raggiunto il successo in base alle proprie capacità intellettuali e creative, confonde l’espressione del potere ed esercita così forme di autoritarismo per dimostrare la propria superiorità.
Stare troppo tempo nel ruolo, ossia vivere per troppi anni esercitando sempre le stesse funzioni, in questo caso politiche, comporta il convincimento mentale, lento ma costante, che l’unica identità possibile sia quella esercitata per anni in quel ruolo. Proprio in nome di queste considerazioni, il comportamento diattaccamento spasmodico al potere, enfatizzato dai media, diventa l’unica modalità espressiva dei politici, i quali si convincono di potere essere solo quello che appaiono.
Ecco perché sono decisamente molti i responsabili di questa situazione incancrenita della politica e della evoluzione sociale italiana, ed è ora difficile trovare un unico capro espiatorio per il quale sia giusto rottamare ciò che è in sostanza, evolutivamente, già morto.
Da AffariItaliani.it