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Apr 09

Roma: in scena “Cherry Docs”.. lo stivale chiodato.. al Teatro dè Conciatori, spettacolo gioiello da far conoscere soprattutto ai giovani

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Foto Cherry Docs   Nel piccolo Teatro de’ Conciatori, collocato nella via omonima, va in scena, fino al 14 aprile, lo spettacolo “Cherry doc’s”, di David Gow, per la regia di Antonio Serrano, interpretato con grande intensità espressiva ed emotiva dalla coppia di attori Antonio Buonanotte (nel ruolo di Dan, avvocato ebreo), che difende il naziskin Mike, interpretato dal giovane Pierfrancesco Ceccaneo. In una scenografia spoglia e “destrutturata” (in cui i volumi dell’unica sedia e del giaciglio del carcere subiscono una sorta di ribaltamento sul primo piano, come in un quadro cubista), aprono la scena tre mitologiche figure greche di personaggi femminili, Le Moire (“Parche”, per i latini..), figlie di Zeus e Temi, che tessono nel corso della rappresentazione “Sette fili d’oro”, lunghi sette brevi scene, all’interno delle quali si snoda la narrazione. Per la Grecia classica, le Moire erano la personificazione del destino ineluttabile di ogni uomo, di cui tessevano, svolgevano e recidevano il filo del fato. Più lungo sarebbe stato il loro lavoro, maggiori si sarebbero rivelate le aspettative di vita della persona interessata. I loro nomi erano “Cloto” (“io filo”, in greco antico), incaricata di filare lo stame della vita; Lachesi (“destino”), che avvolgeva sul fuso il filato di Cloto; Atropo (“inevitabile”), che aveva il compito di recidere, inesorabile, con lucide cesoie -in modo che brillassero al chiarore della notte- il filo arrotolato da Lachesi sul suo fuso. Le tre anziane donne erano al servizio del Regno dei Defunti, l'Ade, che ne costituiva la loro dimora (e da cui non si allontanano mai), collocata accanto all'entrata dell'oltretomba. La mentalità fatalista dei greci era sancita, nell’iconografia delle Moire, dalla sensibile sensazione di distacco e di totale indifferenza per la vita degli uomini, che queste tre tetre figure lasciavano trasparire. In scena, appare, all’inizio della rappresentazione, un lugubre trittico velato, che non lascia intravedere nulla del soma delle interpreti, con il volto oscurato e annerito, immerso all’interno di un immenso cappuccio medioevale, da suora di clausura. Sul loro blocco compatto di tessuto bianco, scorrono le immagini raccapriccianti di un immigrato, preso furiosamente a calci da un energumeno tatuato. Così, negli interstizi delle apparizioni fugaci di una Moira alla volta, Dan impatta con il peggiore incubo della sua gente, da quando è stata proclamata la Shoah: la difesa d’ufficio di un erede di quella perversa mitologia nazista della purezza della razza ariana. Ed è Mike, intelligente e ferocemente settario, a innamorarsi a colpo d’occhio di questo suo “nemico” razziale e politico, in quanto coglie in lui il dramma atroce che lo comprime tra disgusto e dovere, tra vendetta e giustizia. Gli stessi sentimenti, d’altronde, in cui nuota disperato anche tutto il resto dell’umanità! Dan accetta, così, una sfida dell’impossibile, ovvero quella di trovare il modo di non fare passare vent’anni in carcere a un ragazzo che potrebbe essere suo figlio! Come? Qui sta il vero aspetto nodale del dramma, già consumato, del resto, con la lenta agonia dell’immigrato selvaggiamente picchiato da Dan, che arriva a perdonare il suo aggressore in una sua lettera ai propri famigliari, scritta prima di morire. La soluzione “non” può venire da chi difende, ma solo dal colpevole, che “deve” cercare all’interno di se stesso i caratteri della propria redenzione, comunicandoli, sottoforma di “dichiarazioni rese dall’imputato”, alla Corte di Assise giudicante. Oggetto-cult, che dà avvio al dramma, sono un paio di scarponi con la suola rinforzata in acciaio, gli “Cherry Doc’s”, appunto, indossati con fierezza e orgoglio (in quanto tratto distintivo della sua tenuta di naziskin) da Mike, che se ne serve come arma impropria per scatenare la sua furia omicida. Perché, come si sa, la rabbia ideologica scioglie tutti i freni inibitori. Anche quelli di Dan che, urlando le sue ragioni e il suo disgusto, in uno dei più virulenti, emozionanti faccia-a-faccia con il suo assistito, ammette, anche nel suo caso, di aver corso il rischio di lasciarsi andare a questa debolezza dell’ira incontrollata, che sa appropriarsi persino, da brava assassina, dell’aplomb anglosassone di un difensore d’ufficio della sua esperienza! Ceccaneo-Mike ha un look a lungo studiato di estremista di destra, con il corpo invaso dai tatuaggi rituali, che ne indicano l’appartenenza al suo gruppo di estremisti. L’opera, nei suoi contenuti, propone la rottura degli schemi nemico-amico, fondendoli in un corpo narrativo unico, in cui il “perseguitato” si tramuta incessantemente nel “persecutore”, perché anch’egli è un “diverso” che si auto-investe della missione irrazionale di colpire la diversità altrui! Davvero, complimenti a tutta la compagnia di Serrano e ai due attori protagonisti, in particolare, per le sane emozioni che ci sanno regalare durante tutta la rappresentazione dell’opera!    Maurizio Guaitoli
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1 comment

  1. receptiveabetto86.deviantart.com

    Bon je n’ai guère terminé de lire cependant je passe
    plus tard

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