Il 24 gennaio del 1943, a pochi giorni dalla caduta di Stalingrado e mentre ormai la fortuna aveva voltato le spalle alle forze dell'Asse, a Casablanca si incontrarono il presidente americano
Franklin Delano Roosevelt e il primo ministro inglese sir
Winston Churchill ( presente anche il generale
De Gaulle) per discutere, fra l'altro, la richiesta pressante di Stalin di apertura di un secondo fronte in Europa che consentisse di alleggerire la pressione tedesca sul quello russo. I sovietici avrebbero voluto che le forze alleate puntassero sul territorio francese, pensavano ad uno sbarco in Normandia, ma soprattutto su insistenza del premier inglese, fu presa la decisione di sbarcare in territorio italiano.
L'Italia, come affermava Churchill, costituiva "il ventre molle" dell'Asse, le popolazioni erano, infatti, demoralizzate e aspettavano con ansia solo la fine della guerra. Inoltre, gli inglesi erano al corrente dei dissensi che emergevano fra i vari gerarchi fascisti, qualcuno aveva segretamente avviato trattative con emissari di S.M. Britannica, molti dei quali insofferenti nei confronti dello stesso Duce sempre più appiattito sulle posizioni tedesche. Presa la decisione di puntare sull'Italia, si pose un altro problema: dove sbarcare? Dopo una lunga discussione, le opzioni sul tavolo si ridussero a due: la Sicilia e la Sardegna. Per il premier britannico la Sicilia costituiva la piattaforma ideale per lo sbarco, era invece da escludere la Sardegna per la sua lontananza dal territorio metropolitano. C'è anche da aggiungere che gli inglesi avevano abbastanza chiare le idee sulle difese dell'isola sia perché gli inglesi di Sicilia avevano fornito informazioni molto attendibili sia perché se ne erano resi conto nel corso di quelle "grandi manovre del 1937", cioè la simulazione della invasione della Sicilia, definita da Mussolini "porta d'Italia" da parte di un fantomatico nemico, a cui avevano assistito in presa diretta. Erano inoltre a conoscenza del basso morale delle popolazioni civili stanche di una guerra che sentivano estranea. Ancora una volta fu Churchill ad averla vinta. Presa la decisione, gli alleati diedero un'accelerazione alle azioni offensive contro l'isola avviando una serie di micidiali bombardamenti. Fra i più terribili si ricorda quello del 9 maggio 1943 che ridusse in polvere gran parte del centro storico di Palermo facendo migliaia di vittime, che colpivano soprattutto obiettivi civili. L'operazione cominciò già l'11 giugno, quando furono occupate le isole di Lampedusa e Linosa, e
il 13 giugno quando fu occupata Pantelleria, base particolarmente importante per la presenza di un aeroporto dal quale potevano partire aerei incursori contro la Sicilia. Proprio l'occupazione delle isole Mediterranee mise in allarme il comandante delle forze armate italiane, il generale Alfredo Guzzoni. Un allarme che trasmise sia agli alleati tedeschi, che avevano dislocato in Sicilia un buon numero di effettivi, sia le autorità italiane ed il Duce. I tedeschi erano però convinti che l'occupazione delle isole italiane fosse un'azione di depistaggio perché, a loro modo di vedere, il vero obiettivo degli alleati piuttosto che l'Italia fosse la Grecia. A dar forza a questo convincimento fu la beffa ordita dai servizi inglesi con il ripescaggio in mare del cadavere del presunto colonnello William Martin nella cui borsa furono trovati falsi documenti su un fantomatico piano d'invasione della penisola ellenica. A Roma, il delirio di onnipotenza di Mussolini lo portava a respingere come velleitaria ogni idea su una possibile invasione della Sicilia perché, se putacaso si fosse verificata, gli aggressori, affermava lui, sarebbero stati respinti sul "bagnasciuga".
Difese deboli, popolazione non collaborativa, comandi militari non sempre concordi sulle scelte da fare, questa era la situazione in cui si trovava la Sicilia nella notte 9 luglio 1943 quando una enorme flotta militare raggiunse le coste della Sicilia sud orientale, una potenza di fuoco che vomitò sulla terraferma tonnellate e tonnellate di devastanti proiettili.
Iniziava, così, l' "Operazione Husky", questo era stato il nome in codice assegnatogli a Casablanca. Il comando supremo dell'operazione fu assunto dal generale Dwight David Eisnhower, un alto ufficiale americano che sarebbe stato destinato ad una grande carriera politica. "Ike ", come familiarmente veniva indicato, era un cinquantatreenne dotato di buona cultura che, tuttavia, non si fece scrupolo di scrivere, in un passaggio del suo proclama alle truppe, questo terribile passaggio: « Stiamo per invadere un Paese ricco di storia, di cultura e d'arte come pochissimi altri. Ma se la distruzione di un bellissimo monumento può significare la salvezza di un solo G.I., ebbene, si distrugga quel bellissimo monumento. » Alle sue dipendenze, il generale americano George Patton, un soldato impulsivo e roccioso che sarebbe stato gratificato del nomignolo "generale d'acciaio", che comandava la VII armata statunitense e il generale inglese Bernard Law Montgomery, - grande stratega inviso a Patton, cui si intestavano i brillanti successi inglesi in nord Africa - che comandava l'VIII armata britannica, composta da sudditi del Regno Unito e da soldati canadesi.
Di Pasquale Hamel