Dopo che nel 1974 apparve sulla stampa la notizia che le compagnie petrolifere avevano versato al quadripartito ingenti somme di denaro, la legge sul finanziamento pubblico dei partiti in soli 16 giorni finì sulla Gazzetta Ufficiale, “per evitare la tentazione di farsi corrompere e poter contare su un contributo alla luce del sole”.
Poi esplose tangentopoli e nel 1993, il 90,3% degli italiani votò al referendum per l’abrogazione del finanziamento pubblico. Il quale, reintrodotto con rapidità con una diversa denominazione, manteneva la sua aggiuntività come ha dimostrato la dilagante corruzione. Ma mentre esiste l’urgenza politica non esiste quella sociale per cui il Governo Letta annuncia trionfalmente l’approvazione di un Ddl che cancella il finanziamento pubblico dei partiti ma……dal 2017. Anche se il Ddl dovrà passare all’esame delle Camere, fin da ora è evidente come la prima preoccupazione dei partiti sia quella di diluire l’entrata in vigore di una legge che, comunque e sia pur con modalità diverse, costringe i cittadini a mantenerli. I provvedimenti che sottraggono risorse a cittadini e imprese sono sempre immediati mentre i tagli alla politica sono sempre sforbiciatine cui si mette mano con calma. Molta calma. Ma non solo. Si enfatizza come epocale la riforma di una legge che avrebbe dovuto essere cancellata fin dal 1993. Ma la volontà popolare non conta niente soprattutto se, non esistendo canali autonomi di accesso al lavoro, è costretto a mendicare al mercato della politica un posto di lavoro, una licenza o un’autorizzazione. Certo Dio no avrebbe creato le pecore se non voleva che le tosassero. Ma si faranno anche scorticare ?
Avv. Riccardo Cappello
Da Il Cappio 1/6/2013
Giu 03