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Giu 18

Il concetto di “coppia” negli esseri umani, di Alessandro Bertirotti

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Ogni essere umano nasce per trovare nella sua esistenza un altro essere umano, o più esseri umani, con i quali stare bene, soddisfacendo il proprio bisogno di amore, di accudimento e protezione. Questo è un dato di fatto e da sempre, o almeno da quando il nostro cervello, nella sua funzione interpretativa della realtà, ha sviluppato il primo livello di coscienza. La coscienza è una abilità mentale che rientra nella sfera dell'attenzione, ossia della cognizione del mondo. Nel caso, appunto, della coscienza la cognizione è verso se stessi, come una conseguenza dell'auto-osservazione. L'auto-osservazione inizia nella nostra specie da quando assumiamo la postura eretta, grazie alla quale la testa si trova nella condizioni di ruotare ed osservare, oltre all'ambiente circostante, anche il proprio corpo. Inoltre, grazie a questa posizione, lentamente prendiamo coscienza della presenza degli arti superiori, con i quali, da quel momento in poi, impariamo a modificare il mondo circostante. Grazie all'azione prensile della mano, dovuta alla presenza del pollice in opposizione rispetto alle altre dita, che sono appunto gli arti superiori nella loro funzionalità, inventiamo il concetto di strumento. Come vedete, la formazione della coscienza, grazie alla quale abbiamo successivamente sviluppato la consapevolezza di noi stessi, è strettamente legata alla percezione del proprio corpo, alla sua osservazione a alla postura che esso assume. Ma, oltre a questo, la coscienza è legata all'azione del nostro corpo, secondo un'intenzione che deriva dalla mente. In sostanza, le azioni ci hanno guidato, nel corso dell'evoluzione, affinché sviluppassimo una mente in grado di dirigere successivamente il corpo verso nuove azioni. Il corpo e la mente sono dunque espressione della stessa funzione: la vita. Grazie all'auto-osservazione sviluppiamo il senso di identità, per mezzo del quale impariamo, durante l'abbraccio materno, che dove finisce il nostro corpo può iniziare quello di un'altra persona. Nel caso della madre si tratta, inoltre, di una persona assai importante per la nostra futura serenità esistenziale: lei ci contiene e trattiene con il suo corpo, il suo abbraccio e il suo sguardo. Questa è la funzione antropologico-mentale dell'abbraccio, senza del quale gli esseri umani crescono in profondo deficit relazionale e comunicazionale. Ecco che nasciamo in questo mondo prolungando quella situazione intrauterina in cui siamo stati contenuti, cullati e coccolati dalla e nella pancia materna. Ed ecco perché, una volta usciti da quel nido sicuro, cercheremo di nuovo questo contatto che ci ha iniziati alla vita, e lo troveremo dapprima negli abbracci materni durante l'allattamento e, dopo, cercando la nostra metà che ci faccia sentire protetti. E questa protezione non è cercata dalla femmina umana perché è più debole, o chissà per quali altre astruse ragioni, ma è fortemente cercata da tutti, maschi e femmine. A qualsiasi età. Il modello di vita a due, quello che abbiamo imparato in nove mesi, senza averne coscienza, si trasforma nella ricerca del partner con il quale realizzare lo stesso modello affettivamente significativo. Con questo, non voglio certamente dire che ogni femmina umana diventi nel matrimonio il simulacro della madre del marito, ma certo ne rappresenta un riferimento emozionale. E le femmine, d'altro canto, cercheranno la stessa protezione del maschio, secondo una dinamica contenitiva che non sia aggressiva, ma dolce e comprensiva. Per questo motivo sono molte le donne che amano nel maschio una quota almeno sufficiente di tenerezza e dolcezza. Insomma, siamo nati per stare assieme, con il femminile ed il maschile, al di là di ogni specificazione sessuale genitale, e dunque qualsiasi coppia che si voglia bene è coppia da legittimare e difendere. Una società che non difenda questo principio non solo è antievolutiva, ma è disumana. Di Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della mente  
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