Se vi capita di ascoltare qualche viaggiatore che ha visitato i luoghi più disparati del mondo e vi fate raccontare ciò che maggiormente lo ha colpito di questi incontri, magari con quelle popolazioni che ancora oggi non hanno un linguaggio parlato e scritto, ma solo orale, rimarrete stupiti, voi come il viaggiatore, dalla grande importanza che questi poli attribuiscono alla memoria umana.
Tutti voi ricorderete le fiabe e le novelle, che avevano un personaggio principale, collocato fuori dalla scena, col ruolo appunto di raccontare, anche con minuzia di particolari, a memoria le gesta di eroi immaginari che compiono imprese quasi impossibili in terre lontane. Ebbene, a narrare non erano solo le nonne, ma anche il Cantastorie, in grado appunto tener contezza delle diverse storie di un gruppo di persone, garantendone tanto il rispetto delle parti essenziali quanto rinnovandole di volta in volta.
Proprio sulla base di questa capacità cognitiva, molti studiosi hanno per lungo tempo creduto che all'interno di una società alfabetizzata, dove tutti cioè, sanno leggere e scrivere, sia pure a livello elementare, la ritenzione mnemonica dovesse essere qualitativamente inferiore. Si credeva, in sostanza, che in una società priva di scrittura le persone fossero motivate a rievocare le immagini del passato con maggiore accuratezza e precisione, in particolare quelle che avevano un contenuto importante da essere tramandato, ossia quelle che potevano mantenere il sentimento di unione nel gruppo.
In realtà, con le nuove indagini sul funzionamento della memoria, e il suo potenziamento, oltre che attraverso le valutazioni etnologiche che molti studiosi hanno compiuto, si è scoperto che questo presunto primato della memoria non è direttamente legato alla scrittura e alla lettura. Vi sono, in effetti, situazioni nelle quali alcune persone riescono a memorizzare intere pagine di testo, senza commettere errori e tramandarne oralmente il senso e i simboli. Si pensi ai rabbini ebraici, alla loro capacità di rimembrare perfettamente alla lettera intere pagine della propria tradizione religiosa, e alla memoria visiva che consente loro di ricordare anche la posizione, all'interno della pagina, che un certo concetto occupa.
Le eventuali differenze sono allora di tipo strumentale, ossia riguardano quanta importanza quella precisa cultura attribuisce allo scrivere e al ricordare.
La divisione fra scrittura e lettura, sebbene anticamente presente, è una questione di atteggiamento mentale rivolto o meno alla comunicazione empatica. In effetti, vi è per tutti noi una notevole differenza ascoltare una storia avvincente raccontata dal suo stesso autore, oppure leggerla nelle lettere stampate. Si tratta di una dimensione che purtroppo non traspare sempre dal testo, tranne quando i romanzieri sono persone assai problematiche, quasi patologiche, e riescono nella loro "malattia" a superare il significato stesso di quello che hanno scritto per entrare in tacita comunicazione con il lettore. È una situazione rara, perché si deve essere davvero bravi, sia nello scrivere che nel fare vibrare le stesse emozioni che si provano scrivendo in colui che leggerà poi il testo. In genere, questo avviene nella poesia, ma solo quando ci troviamo di fronte a grandi capacità poetiche che sanno sintetizzare in un verso un forte sentire, altrimenti, nella maggioranza dei casi, avviene solo raramente.
Infatti, le ricerche oggi dimostrano che le strutture cerebrali adibite alla memoria a breve termine e quelle per la memoria a medio-lungo termine sono praticamente universali per l'intera specie, e le differenze si basano sull'utilizzazione più o meno ampia di questi due tipi di memoria. Le differenze culturali si rilevano invece per quello che riguarda il modo in cui i dati sono immagazzinati nella memoria e dunque recuperati al momento opportuno. Ecco dunque che le strategie riguardano il modo con cui si rievocano i ricordi, come questi vengono utilizzati e il perché alcuni elementi del passato rimangono parte della memoria collettiva, mentre altri, anche importanti da molti punti di vista, non sono mai recuperati e considerati validi.
Ebbene, anche oggi, nel nostro mondo Occidentale così tecnologizzato, non è vero che abbiamo perso memoria, mentre sembra piuttosto vero che non venga riconosciuta, la memoria a breve e lungo termine, come utile ed importante, visto che vi sono gli strumenti con i quali queste capacità umane possono essere vicariate, visto che queste capacità possono essere sostituite con tutti quegli strumenti che la nuova tecnologia ci offre.
Ecco perché, forse, dovremmo soffermarci a comprendere meglio cosa significa per l'evoluzione della specie, ma anche per i rapporti umani e personali, abdicare con troppa facilità ad alcune abilità cognitive, che abbiamo conquistato a fatica nel corso dell'evoluzione, e che stiamo abbandonando perché ritenute ora "troppo faticose".
Ma, siamo sicuri che senza fatica la mente sappia apprezzare quello che ha conquistato?
Di Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della mente