È stata inaugurata a Berlino, il 10 di questo mese, un'interessante esposizione con le fotografie di Kai Wiedenhöfer, nella quale l'autore presenta le immagini di 8 muri del mondo, ossia di 8 città e luoghi del mondo.
Al di là del fatto che ci sembra interessante il numero scelto, perché ci ricorda in verticale il simbolo dell'infinito e del nastro di Moebius, l'idea di fotografare alcuni significativi muri che gli uomini hanno eretto per dividersi, allontanarsi e trincerarsi da altri uomini è decisamente ottima.
Non voglio qui discutere su questioni estetiche, che comunque esulano dalla mia consueta chiave interpretativa,quanto riflettere assieme a voi sul significato e la funzione che i muri del mondo svolgono nella nostra mente.
Cominciamo con il considerare alcune parti della costruzione del muro, ad esempio una facciata e predisponiamoci a camminare in qualsiasi direzione, ma sempre seguendo il percorso radente la facciata del muro. Ebbene, durante il cammino nulla di questo muro potrà cambiare, proprio perché generalmente le facciate dei muri sono tutte uguali. In sostanza, percepiremo il muro come sempre identico a se stesso, nonostante il nostro movimento, come se ogni cambiamento, anche umorale ed interiore nostro, durante questa passeggiata in compagnia del muro, non producesse nessun effetto. Il nostro camminare assieme ad un muro diventa così talmente uguale a se stesso, talmente monotono che alla fine si immagina di oltrepassarlo con la vista e vedere quello che il senso stesso non può vedere.
Con i muri tutto si ferma, ogni cambiamento, ogni prospettiva.
Eppure, senza prospettiva la nostra mente non è nelle condizioni di valutare o raccontare la realtà, perché quello che le sta di fronte non è che un muro, senza nessuna via di fuga, nemmeno uno spiraglio…
Proprio per questo motivo, nel muro del pianto in Israele (centro e limite del mondo Occidentale, dove si incontrano le tre più importanti religioni monoteista, il cristianesimo, l'ebraismo e l'islamismo) si lasciano foglietti con alcune preghiere tra una fessura e l'altra, come a voler impiantare qualche cosa che possa rimanere altrettanto fermo e possente come l’antico muro del Tempio.
Il muro è utile se contiene e favorisce la formazione di una propria identità, come è nel caso delle pareti dell'utero materno, che custodiscono lo sviluppo del feto. Ma il feto diventa neonato quando esce dalle pareti uterine che, verso la fine della gestazione cominciano a costringerlo in uno spazio angusto e più che contenerlo lo opprimono. Il muro, ogni muro che costringe, annulla nella mente la speranza del cambiamento e del movimento, perché le due cose vivono nella nostra mente associate fra loro.
Il muro protegge, difende, identifica un perimetro anche mentale, ma elimina ogni spazio esplorativo, efavorisce l'idea di una proprietà stabile, come lo spazio che contiene. In realtà, in questo mondo possiamo utilizzare tutto ciò che esso contiene senza possedere nulla di quello che utilizziamo.
Eppure, la nostra stessa identità è circondata da un muro, a volte impenetrabile, che è il corpo. Ed è per questo che facciamo l'amore: per abbattere le barriere della nostra identità fisica, entrando in sintonia con un corpo che può unire al posto di separare.
Infine, in presenza dei muri non nasce la parola, perché non si racconta nulla a nessuno, se non le novità che chiediamo quando dopo molto tempo non vediamo una persona, o quando ci separa il muro invisibile delsilenzio, oppure della lontananza.
Infine, oltre a perdere la parole, il muro ci fa perdere anche la vista, perché non riusciamo a trafiggerlo per andare a vedere quel possibile oltre in grado, forse, persino di affascinarci.
È anche vero che il muro difende, come accadeva per le mura delle città medievali, ma è altrettanto vero che i muri ci isolano a tal punto da farci credere di essere, per tutta la vita che ci resta, degli uomini soli, pur sapendo che non siamo soli affatto.
Di Alessandro Bertirotti, l Antropologo della mente