Cosa potrebbe accadere se, di fronte alle immagini, trasmesse dalle televisioni italiane ed europee, che ci raccontano "visivamente" cosa significa navigare nella speranza di un approdo italiano, assieme ai propri cuccioli umani, in una barcone che affonderà quasi certamente, e qualcuno dicesse che tutto questo è frutto di fantasia, oppure di propaganda?Molto probabilmente nessuno crederebbe a simili parole, perché esprimerebbero la mente distorta e faziosa di qualcuno che non vuole vedere ciò che tutti vedono, e che è sotto gli occhi di tutti.Negare l'evidenza è una funzione di una mente ai margini della cultura, e che per questo viene giudicata dalla scienza come espressione di uno stato "border line". In effetti, quando siamo di fronte ad estremi, sia di tipo storico che di tipo esistenziale personale, dobbiamo attenderci, secondo i principi dell'Antropologia della mente, che prima o poi le due cose si avvicinino ad un punto tale da sovrapporsi e diventare identiche. È quello che è accaduto in questi giorni, e che ho potuto constatare quando ho letto che c’è ancora qualcuno che non nega la storia, ma nega, cosa decisamente ed antropologicamente più grave, le testimonianze di migliaia di sopravvissuti. Quando la storia di un territorio, in questo caso l'Europa, porta con sé ancora delle ferite aperte, che sanguinano al solo ricordo di quelle atrocità che oggi in altri luoghi si continuano a perpetrare, penso che il silenzio del rispetto dei propri simili sia quantomeno civile, anche se non strettamente scientifico. Eppure, essere troppo spesso chiamati ad esprimere opinioni spesso lontane dal semplice buonsenso comune, qualsiasi atteggiamento che miri alla ricerca della giusta misura, come mi permetto di suggerire nel mio ultimo libro, conduce ad una latente alterazione dello stato di coscienza personale che può sfociare nella megalomania mediatica. E, in questa nostra nazione, non siamo certamente esenti da personaggi che, complice una certa televisione poco incline tanto alla scienza quanto alla serietà esistenziale che ogni ricercatore (oltretutto pagato con i soldi di tutti noi…) dovrebbe dimostrare nella propria vita quotidiana, vengono invitati a Festival e programmi televisivi che favoriscono confusione nelle menti umane. Quello che personalmente ho imparato dalla storiografia, non certo dalla storia che nessuno di noi, se non le persone che in carne ed ossa sono state coinvolte negli eventi, può effettivamente conoscere, è l'espressione di cautela, attenzione e studio serrato di fronte ai documenti che testimoniano atti. E qui, in questo caso e purtroppo, i documenti sono filmati, fotografie e tracce di sangue ancora vivo e rosso che escono dalla memoria di uomini, donne, omosessuali, artisti, bambine e bambine uccisi ancora una volta da coloro che continuano a negare i propri simili. Dopo quanto letto in questi giorni, non posso, ora, che restare desolatamente silenzioso, perché se vogliamo rispettare la vita dobbiamo imparare a rispettare non soltanto la morte in sé, ma il come si muore. Di Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della mente
Ott 29