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Dic 18

Il nuovo DSM-5 …Alcune prossime menti, di Alessandro Bertirotti

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Il nuovo DSM-5 ...Alcune prossime menti

Nel 1951, l'APA, l'Associazione Americana degli Psichiatri, pubblica il suo prima DSM, il Diagnostic and Statistical Manual of MentalDisorders, la "Bibbia americana" (e non solo americana) dei disturbi mentali, classificati scientificamente affinché ognuno di essi sia riconosciuto dai sintomi e diagnosticabile tanto per la clinica quanto per la ricerca in questo campo del sapere. Questo primo volume, il fondamentale per una successiva e lunga serie di altri, è, in realtà, una descrizione generica di alcune patologie, senza addentrarsi più di tanto nella loro analisi.

Nel 1968, esce la seconda edizione, migliore della prima e alla sua settima ristampa; in quella del 1978, l'omosessualità viene depennata dal manuale, perché non può essere considerata come una malattia con istanze geneticamente determinate, biologicamente sviluppate e culturalmente indotte.

Nel periodo che va dal 1980 al 1987, esce il DSM-III, nel quale si introducono ampliamenti dei criteri diagnostici relativi ai disturbi dell'umore, specialmente secondo un approccio per la prima volta non-causale e dunque decisamente descrittivo della malattia mentale, con il conseguente abbandono di termini come "nevrosi" ed "isteria".

Il DSM-IV, del 1994, amplia la componente relativa alle analisi differenziali della malattia mentale, introduce il concetto di comorbilità ed espone la presenza di 370 malattie mentali catalogate sulla base delle loro diverse sintomatologie.

Il DSM-IV (TR) del 2000, introduce nuovi criteri diagnostici rispetto ad alcune patologie precise, come la Sindrome di Tourette, la demenza conseguente la presenza del morbo di Alzheimer, ed altri disturbi della personalità come il voyeurismo, la pedofilia, l'esibizionismo e il sadismo.

Esce ora, il DSM-5, con alcune novità che andremo a considerare e commentare assieme, perché presenta innanzi tutto, a livello formale, la presenza nel titolo del numero scritto in cifra araba e non in numero romano, e come contenuto la collaborazione di oltre 1500 esperti dei diversi disturbi mentali. La prima edizione è stata pubblicata on-line, ed ha ricevuto oltre 13.000 commenti, utilizzati per la versione definitiva, nella quale si considera la mente umana nell'arco del suo sviluppo generale, dall'infanzia, all'età adulta, per terminare con l'anzianità.

I timori crescenti che questa pubblicazione continua a suscitare sono quelli, oramai chiari ed esistenzialmente legittimi, secondo cui si tende a medicalizzare la vita mentale quotidiana, oppure persino a psichiatrizzare azioni, atteggiamenti e pensieri che potrebbero essere invece considerati come l'immenso patrimonio delle individualità umane, più o meno disadattate o inadeguate allo stile di vita della apparente maggioranza di persone. Con questo non si vuole certamente negare la presenza della patologia psichiatrica, ma qui si vuole collocarla all'interno di variabili molto più strette secondo la biologia e decisamente più larghe in riferimento alla cultura.

Per meglio spiegare la mia posizione teorico-critica, vi faccio qualche esempio.

Con il DSM-5, la perdita di una persona cara, e la conseguente elaborazione del lutto, conducono molto facilmente alla diagnosi di Depressione maggiore. Oppure, le piccole, e finora normali dimenticanze, che spesso affliggono le persone anziane, potranno essere considerate e catalogate come Disturbo Neurocognitivo Lieve. Ancora più significativa, e forse preoccupante, è però la nuova diagnosi di Disturbo di Disregolazione Dirompente dell'Umore, ossia quegli scatti di rabbia ripetuti nel tempo, che potranno essere diagnosticati come disturbo mentale. La preoccupazione per questa classificazione è subito verso i bambini, ai quali, proprio in nome di tale diagnosi, potrebbero essere prescritti psicofarmaci, come è già accaduto quando furono identificati il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD), o il Disturbo Bipolare Infantile.

Esistono anche aspetti positivi in questa edizione del DSM-5, perché, in effetti e per la prima volta, si evidenzia il reale legame che esiste tra sintomi psichiatrici e le alterazioni di funzionamento cerebrale, dal punto di vista prettamente neurofisiologico. In effetti, il DSM-5 tenta di costruire ampie categorie diagnostiche, utilizzando gruppi di sintomi affidabili, ossia fondati su dati empirici affidabili, laddove siano ovviamente presenti. Purtroppo, ancora oggi non esistono per le malattie mentali test biogenetici, oppure marcatori ematici che permettano di diagnosticare con certezza le malattie della mente e così la diagnosi si basa sulla descrizione soggettiva dei sintomi da parte del paziente. All'interno di questo contesto, l'esperienza dei singoli psichiatri, unitamente all'utilizzo di strumenti come il DSM-5, diventano fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici.

Nonostante però questi aspetti di indubbio miglioramento, resta sempre aperta la questione del limite tra il comportamento patologico e quello normale, proprio perché la sua portata investe non solo i campi della medicina, ma, direi soprattutto, la società intera occidentale. Sono circa il 38% i cittadini europei a soffrire di disturbi mentali, e si prevede, sulla base di una stima dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 2020 questi disturbi saranno determinanti nel causare disabilità mentali permanenti e suicidi.

La prevenzione diventa dunque fondamentale, visto che il 75% dei disturbi psichiatrici emergono entro i 25 anni di età, specialmente in uno Stato Nazionale come l'Italia che continua a tagliare i fondi per questo tipo di azioni sul territorio, il luogo in cui il disagio mentale si esplica con tutte le sue forze, aiutato da situazioni socio-culturali che hanno spesso origine in disagi di altro tipo.

 Di Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della Mente

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