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Mar 12

Processo a Shindler, al Piccolo Eliseo fino al 30 marzo. Di Maurizio Bonanni

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 Foto Teatro Eliseo

Come salvare (dai campi di concentramento nazisti) migliaia di ebrei e.. sentirsi in colpa! Fino al 30 Marzo prossimo, va in scena al Piccolo Eliseo, il maestoso, emozionante e lacerante spettacolo di Carlo Giuffré: “La Lista di Shindler”, meglio nota al grande pubblico con il titolo del film omonimo “Shindler’s List”. Eppure, come solo il teatro sa fare, per chi come me ha visto entrambi da spettatore (e più di una volta ha assistito alla proiezione della pellicola di Spielberg, anche se con grandissima sofferenza e tormento), mai come stavolta la grande Signora Nera della Non-Ragione mi è apparsa così nitida, così onnipresente, nella stessa aria che respiro, attorno a me. L’abilità di un attore e drammaturgo consumato come Carlo Giuffré (diretto, per l’occasione, da suo figlio Francesco), ha operato una finta inversione dell’Eroe dei Giusti, sottoponendolo a un processo immaginario, da parte di una rediviva setta nazionalsocialista, riemersa, in qualche modo, dal suo inferno storico. Già, perché l’anonimo procuratore, rigorosamente in nero, con la fascia rossa uncinata al braccio, continua chiedere (e a chiedersi) al suo imputato “Com’è stato possibile?”, cioè, che il Nazismo non abbia saputo spegnere anche l’ultima scintilla di Umanità negli aderenti al Partito!

 

Perché, infatti, insiste l’inquisitore, la gigantesca falce ideologica del nazismo antiebraico ha potuto lasciare in vita una testa “umana”, pensante e autonoma, come quella di Shindler? Proprio lui, ricco industriale degli Anni ’30 del secolo scorso, autorevole membro del Partito Nazista, che ha tradito i suoi amici uncinati, salvando, con la sua Lista, migliaia di ebrei, sottratti con l’inganno e la corruzione, ai campi di concentramento, per adibirli a una falsa produzione bellica? Come ha potuto, Shindler, fingersi compagno di bevute, con il folle Amon Göth, per ottenere manodopera a buon mercato, sottraendo migliaia di persone “inferiori” alla sorte loro riservata dal Führer? Göth, un semplice tenente delle SS, autore dell’eccidio di migliaia di ebrei -giovani, donne, uomini e bambini- del Ghetto di Varsavia, nonché responsabile del campo di sterminio nazista di Kraków-Plaszów, nella Polonia occupata dai nazisti, e famoso per giocare al tiro a segno con le teste degli internati occupati nel campo!

 

Dietro un doppio sipario, formato da sottili strisce verticali azzurrognole, Giuffré Shindler subisce l’assalto del neo-procuratore nazista, mentre sulla scena in primo piano si sviluppa, con la sua umanità dolente (collettivamente interpretata da una triade straordinaria di attori multiruolo), la tragedia del Ghetto di Varsavia, dal 1939 al 1945, quando l’Armata Rossa liberò la Polonia hitleriana. Cadenzata dall’ennesima, atroce follia di un guardiano nazista, la via crucis degli ebrei polacchi procede nella sua trista cadenza, a iniziare dalla spoliazione di tutti i loro beni, alla muratura del ghetto, all’avvilimento per fame e, infine, alla deportazione nei campi di concentramento, per i sopravvissuti. Di qui, si giunge all’amore impossibile nel campo, alle fatali docce con il gas nervino, dove i corpi nudi che non siano già stati straziati da percosse e consunzione, trovano la loro definitiva fine, disintegrandosi nei fumi dei camini di Auschwitz.

 

Un filo rosso lega tra di loro le varie scene, con l’apparizione miracolosa di un fiore (l’ultimo è di filo di ferro), nella mano della sconosciuta protagonista femminile (impersonata da Marta Nuti, che si trasforma, nel finale, in Emile Shindler). Sono lei e il suo compagno, a descrivere magnificamente l’orrore di un amore recluso, reso impossibile da una guerra e da uno sterminio assurdi. Lui, il fidanzato, poeta e scrittore, sarà deportato con lei, e riuscirà a sposarla di nascosto, in una scena dalla bellezza straziante, dopo essersi, per molto tempo, travestito da donna, per rimanerle accanto, nella lurida baracca riservata alle ebree.

 

Nel fluire delle scene, Shindler (che più volte si chiede, in realtà, il “Perché” di quel suo gesto eroico) incontra, come in un sogno iper-reale, i personaggi storici della sua vicenda, come il contabile ebreo, Itzhak Stern, già impiegato presso lo Judenrat Cracovia, il Consiglio ebraico, ma in passato amministratore di una fabbrica. Sarà proprio Stern, irresistibilmente ammaliato dal fascino di Shindler, a incaricarsi di reperire le somme necessarie, per impiantare -con capitali ebrei, interessati al fiorente mercato nero- la prima attività industriale di Shindler in Polonia (produzione di pentolame per l’esercito tedesco) . E sarà sempre Stern, una volta che il feroce Amon Göth ha raso al suolo il Ghetto, a compilare -con uno sforzo prodigioso di memoria- la famosa Shindler’s List, che consentirà a migliaia di polacchi ebrei di sfuggire allo sterminio, a seguito della riconversione delle fabbrica di Shindler, da civile a militare, per la produzione di munizioni “fallate” (quelle vere, Shindler, le ricomprava di nascosto al mercato nero, spendendo una fortuna).

 

Affascinante l’interrogativo sul libertinismo di Shindler (che, in realtà, non è mai riuscito a riconciliarsi con la moglie, tranne che nel periodo d’oro dell’avvio della prima fabbrica) che, in modo amletico, gli autori avvicinano a quello di Amon Göth, suo compagno di libagioni, nel campo di Kraków-Plaszów. Ed è proprio in uno di questi faccia-a-faccia immaginari, che irrompe sulla scena la tragedia del tabù imperativo nazista, che imponeva ai suoi seguaci di non avere rapporti sessuali con il corpo, impuro e immondo, delle donne ebree. Amon Göth, infatti, responsabile dell’uccisione diretta di molte decine di internati (Giuffré-Shindler ne rievoca, tra l’altro, in modo straziante, le orribili gesta, durate la distruzione del Ghetto di Varsavia), detiene come schiava, riservandole l’usuale trattamento disumano, un’ebrea del campo, della quale è segretamente innamorato e che, per salvarla, “venderà” a caro prezzo al suo “amico” Shindler.

 

Spettacolo utilissimo, soprattutto per i più giovani. E da non perdere, per quelli che hanno vissuto, visto, letto, commentato l’Orrore, nelle scuole e nella vita!

Di Maurizio Bonanni

 

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