«

»

Mar 11

Renzi, “Quo Vadis?” di Maurizio Bonanni

Share

modificata

 

Ci risiamo, con i conti che non tornano! Per forza: Cottarelli, il gran maestro della “Spending Review”, riesce -a malapena- a racimolare risparmi equivalenti a qualche millesimo della spesa pubblica complessiva (pari a circa 800 miliardi/anno), quando ne servirebbero almeno venti volte tanto, per favorire lavoro e imprese, attraverso una robusta defiscalizzazione per entrambi! E, invece, oggi si gioca salomonicamente su pari riduzione di piccole aliquote di Irap e Irpef, per la quadratura del cerchio, senza mai affrontare il vero nodo dell’Italia che va in frantumi. Ovvero: l’alleggerimento drastico, su questo sistema-Paese, del folle peso esercitato dalla sua (inutile  e costosissima) burocrazia! Per l’ennesima volta, torno su questo nodo politico, vitale e nodale, senza sciogliere il quale non si andrà da nessuna parte. Da anni, ci si interroga come introdurre le regole della concorrenza di mercato, nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni, senza venire a capo di nulla, per le fortissime resistenze corporative e sindacali degli interessi costituiti, che non potrebbero mai sopravvivere, senza le robuste dosi di spesa pubblica di cui, attualmente, godono.

Per esemplificare il passaggio a un modello d’interazione tra lavoro pubblico e privato, prendo a esempio due comparti nevralgici dei servizi pubblici, come la Scuola e la Sanità. Con un’indispensabile premessa. Ovvero, in costanza della Costituzione vigente, occorre fare in modo di attribuire gli impieghi disponibili nel settore pubblico “esclusivamente” in base al merito individuale e alle professionalità acquisite. Per farlo, occorre un meccanismo virtuoso che elimini qualsiasi ingerenza della politica, smantellando la sua fabbrica di.. “raccomandazioni”.  Come? Ad es., alimentando un circuito esterno di garanzia tra graduatorie e impieghi disponibili: vince chi vanta un punteggio maggiore, all’interno di Elenchi unici nazionali, distinti per profilo professionale e qualifica. I punteggi (numerici!) sono attribuiti da un’Authority esterna, indipendente dalla PA, sulla base di propri regolamenti. L’accesso e la permanenza negli elenchi sono soggetti a un’abilitazione e alla verifica periodica, da parte dell’Authority stessa, sul mantenimento dei requisiti morali e professionali, da parte degli iscritti. A completamento, un Comitato esterno di garanti (costituito da magistrati amministrativi e contabili, nonché da rappresentanti eletti dei maggiori sindacati nazionali dei lavoratori pubblici e privati e delle associazioni degli imprenditori) giudica per i ricorsi e i reclami, proposti sia da singoli che da categorie di persone.

Si noti che, in questo schema, “anche” i privati datori di lavoro possono avvalersi degli elenchi e delle graduatorie relative, per l’assegnazione di incarichi e di posti di lavoro. Basterà, per questo, omologare, semplicemente, le diverse categorie e profili di impiego. Cosa auspicabile e facilmente fattibile. Prendiamo ora, come accennato, le scuole e le università, di ogni ordine e grado. A bocce ferme, sappiamo in media annua quanto costa  allo Stato, pro/capite  (in base alla fascia d’età) un singolo studente. Diciamo “X” euro/anno. Bene, basterà, allora, per ogni singolo istituto o complesso scolastico fare un ragionamento semplicissimo: io Stato do a ciascuna struttura scolastica autonoma un budget pari a “X” moltiplicato il numero di studenti. I professori sono così equiparati a liberi professionisti, e i loro compensi mensili (ordinari e di risultato) sono decisi dal management, che l’assemblea di istituto avrà scelto e nominato (tenuto conto degli Elenchi unici nazionali). Spese di manutenzione ordinarie e straordinarie sono autonomamente a carico delle singole strutture, che potranno avvalersi di un congruo credito bancario, garantito dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Fine dell’appiattimento egalitario tra insegnanti bravi e incapaci. Inizio di una sana competizione pubblico/privato, perché, a questo punto, di “pubblico” (com’è giusto che sia) non vi sarà che la copertura del costo medio annuo per studente, già pagato -in proporzione al proprio reddito- da tutti i contribuenti italiani. Discorso analogo vale per l’ircocervo della Sanità pubblica. In via prioritaria, è sufficiente che lo Stato fissi, a livello nazionale, i costi standard per prestazione e tipo di cura. Dopo di che, basterà garantire a ogni struttura sanitaria autonoma l’80% dei costi globali per acquisti, manutenzioni e stipendi, sostenuti con la gestione precedente (si ragiona, cioè, sull’esistenza di un minimo del 20% di sprechi, da sottrarre alla cifra iniziale!). Anche qui, sarà l’assemblea del personale a decidere, autonomamente: a) la nomina del proprio management gestionale (tenuto conto degli Elenchi unici nazionali); b) l’organizzazione interna (accorpamento/soppressione di reparti); c) la creazione di nuove articolazioni specializzate interne; d) il ricorso al credito agevolato, garantito dalla CdP, etc., per la modernizzazione dei reparti; e) la distribuzione dei premi di produzione. L’ammontare di questi ultimi, in particolare, sarà individuato dalla somma dei risparmi di gestione e in proporzione all’aumento della produttività, quest’ultima calcolata per differenza, tra le entrate (pagamento dei ticket) dell’anno precedente e della gestione attuale.

In pratica, se una determinata struttura sanitaria incrementa, per efficienza e qualità (e l’indicatore, in questo senso, è rappresentato dall’aumento dei pazienti, dal buon esito delle cure e dalla “customer satisfaction”), la propria offerta di prestazioni, allora è giusto che una parte dei contributi versati dall’utenza vadano a premiarne i guadagni di produttività. La competizione equa tra privato e pubblico, in questo caso, è garantita dal rimborso integrale del costo standard, per cura e prestazione. Pertanto, se un cittadino, assistito dal SSN, decidesse di fare una particolare analisi, esame o cura presso una struttura sanitaria privata, a quest’ultima sono riconosciuti i costi-standard delle prestazioni erogate (degenza, farmaci, interventi chirurgici, etc.), “esattamente” a quanto avverrebbe se quel cittadino avesse deciso di farsi curare presso un presidio sanitario pubblico. Infine, ribadisco (come quei pesci che, per riprodursi, risalgono ostinatamente la corrente) che risparmi vertiginosi si ottengono trasferendo in digitale tutta l’attività burocratica.  Basterà creare milioni di nodi di postazioni virtuali di lavoro, permettendo che gli impiegati lavorino da casa (con stipendio di base ridotto, ma alti premi di produzione, garantiti dai contributi versati direttamente dall’utenza), “on-line” e “on-demand”, per soddisfare le richieste dei cittadini, eliminando così gli immensi sprechi e i costi aggiuntivi, dovuti all’auto sostentamento degli apparati burocratici.

In tutti i casi trattati, come si vede, non si perde un solo posto di lavoro ma, anzi, grazie, ad es., alla digitalizzazione globale della PA, se ne possono creare molte centinaia di migliaia di nuovi per le giovani generazioni, nei settori avanzati dell’informatica, delle sue applicazioni e delle connessioni in banda larga. Invito Renzi a ragionare seriamente su queste cose, invece che fare affidamento su fantomatiche “riforme” che, verosimilmente, non risolveranno uno solo dei mali atavici che ci affliggono!

Di Maurizio Bonanni

 

Share

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Puoi usare i seguenti tag ed attributi HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Questo sito fa uso di cookie tecnici e di terze parti per il suo funzionamento. Per ulteriori informazioni sui cookie e su come eventualmente disabilitarli, leggere la Informativa estesa cookie. Proseguendo la navigazione, ricaricando questa pagina o cliccando sul link Accetta cookie si accetta quanto specificato nella Informativa estesa cookie. Informativa estesa cookie | Accetta cookie