Ha senso parlare di una roulette russa tra i popoli? Per la verità, di pistole alla tempia, puntate alla testa della comunità internazionale, ve ne sono non poche, nel mondo attuale. A ogni passaggio di mano (Kerry, Papa Francesco, Obama, Netanyahu, Abu Mazen, Hamas, Talebani, Putin, ribelli Ucraini, Consiglio di Sicurezza, etc.), il tamburo ruota sempre più velocemente, finché, come al solito, a premere il grilletto ci penserà qualche vittima innocente. Centinaia di migliaia (forse un milione, tra non molto) di civili incolpevoli, di ogni età e sesso, hanno già perso la loro vita, a partire da due anni fa, in questa opera di autodistruzione sistematica dell’umanità, in Libia, Siria, Afganistan, Egitto, Ucraina e, oggi, ancora una volta, a Gaza, in Palestina. Eppure, tutto ciò che non passa per le frontiere del petrolio, sembra cadere in un vuoto pneumatico di idee e di mancati interventismi. L’Isis può permettersi di desertificare Mosul dalla presenza cristiana, con minacce di morte e con l’espulsione in massa dei cristiani irakeni, che vi hanno abitato fin dai primi secoli dopo Cristo, perché l’Occidente si ostina a guardare da un’altra parte. La stessa cosa vale per i massacri perpetrati in Africa (e nello stesso Egitto!) da fanatici musulmani, contro altre comunità e minoranze cristiane locali. Perché il fondamentalismo conosce una e una sola legge: “Convertiti all’Islam, o verrai passato per la spada!”. Gli appelli attuali alla pazienza dei cristiani varranno solo altre stragi impunite, di questo ne sono certo!
Non si reagisce alle condotte sanguinarie del nuovo Califfato con le sole preghiere! Come non è nemmeno possibile, in termini di diritto internazionale, lasciare che siano soltanto le difese antimissile a fare da scudo ai civili israeliani, contro la pioggia di razzi che viene dalla striscia di Gaza e, in tono minore, da altre postazioni fondamentaliste oltre confine. Soltanto una mente diabolica può pensare alla strage d’innocenti, per impedire che si accomodi la pace, in Palestina. Hamas è questa cosa qui! Perché i suoi missili, che cadono a grappoli e indiscriminatamente su Israele, non sono che lampi di odio alla cieca, per fare vittime a caso, tra i civili, e in numero il più elevato possibile. Tecnica, quest’ultima, di esclusiva matrice terroristica, non potendo, in nessun modo, qualificarsi come “un atto di guerra”, in base alle convenzioni internazionali! E non sarebbe possibile qualificare diversamente questi atti di aggressione, visto che Hamas non possiede alcuna superiorità aerea, per poter guidare dall’alto i suoi ordigni, verso bersagli militari israeliani predefiniti. Senza lo scudo antimissile, oggi le contabilità di morti civili in campo israeliano sarebbero drammatiche. Come lo sono, invece, quelle attuali di palestinesi innocenti!
Hamas, tra l’altro, non ha alcun rispetto per il suo popolo, visto che continua a utilizzare le case di civile abitazione, per nascondere i suoi lanciatori, obbligando l’aviazione israeliana a colpire i loro scudi umani, costretti -con la forza e con il ricatto- a restare in quelle stesse case e a salire sui tetti, per resistere “all’aggressore”. La tecnica genocidiaria di Hamas, verso il suo stesso popolo, ricorda quella dei martiri volontari adolescenti di Khomeini, ai tempi della guerra Iran-Irak (1980-1988), mandati a morire come mosche, a centinaia di migliaia, per sminare i campi di battaglia e per opporsi a petto nudo ai cingoli dei carri armati di Saddam. Terrificanti sono rimaste, in tal senso, le testimonianze dell’epoca dei carristi dell’esercito irakeno, che parlano del sinistro rumore delle ossa schiacciate dai cingolati! Siamo sicuri che il folle indottrinamento, al quale sono sottoposti gli alunni delle elementari, a Gaza e nei territori palestinesi, non producano, un giorno, lo stesso, orripilante scenario? Anche ai propri figli giovanissimi, Hamas darà la stessa chiave di plastica del Paradiso di Allah, che Khomeini allacciò al collo di tante giovani vite spezzate?
Sappiamo bene che i fondamentalisti palestinesi mirano allo stesso “martirio” che subirono gli hezbollah, all’epoca di “Piombo fuso”, quando Israele invase militarmente la striscia smilitarizzata che la separa dal Libano, perdendo molti uomini in questo tentativo abortito (malgrado le morti e distruzioni conseguenti, in cui a pagare, guarda caso, sono stati solo e sempre i civili indifesi!) di disfarsi, con un’invasione via terra, della presenza mortale dei fondamentalisti musulmani, protetti e foraggiati dall’Iran di Ahmadinejād. Perché non ci si chiede quante centinaia di milioni di dollari (andati in fumo, grazie alle difese antimissili israeliane!) sono costati quegli arsenali di Hamas? A chi sono state sottratte quelle ricchezze, se non al popolo di Gaza affamato, diseredato, perché rimasto senza casa e senza pace? E che cosa vorrebbe dire arrivare a una nuova tregua, sulla base di quelle precedenti, rivelatesi meramente tattiche, senza che la comunità internazionale abbia mai saputo individuare una soluzione definitiva a questo stillicidio alle frontiere di Israele? Una tregua, alle stesse condizioni del passato, garantirebbe, di nuovo, ad Hamas di guadagnare altro tempo prezioso, per riempire ancora una volta i suoi arsenali, scavando altri tunnel nelle viscere di Gaza che, nella sua visione, rappresenterebbero altrettante spine nel fianco del nemico “sionista”, in modo da consentire ai suoi commandos suicidi di colpire oltre le linee, all’interno degli insediamenti israeliani.
L’Onu stessa, del resto, segnala nei suoi report (più o meno riservati) che la soluzione propagandistica “Due popoli, Due Stati” si rivela, ormai, priva di significato, dato che i numerosi insediamenti israeliani sono andati molto in profondità in terra palestinese, e che, quindi, la supposta “unità territoriale palestinese” è ridotta, in realtà, a una mappa geografica a macchie di leopardo, scollegate tra di loro. Quindi, quale soluzione sarebbe possibile, a questo punto? Diciamo che io la vedo così: giochiamo sull’integrazione economica spinta, tra le due comunità, sulla falsariga di ciò che accadde qui da noi, nel Vecchio Continente, dopo il 1945, con le prime Comunità Europee e con gli aiuti internazionali del Piano Marshall. Ovvero: facciamo sì che i miliardi di dollari dell’aiuto mondiale ai palestinesi vadano a finire nella costruzione di altrettante, modernissime New Towns (NTT, per brevità, ovvero: nuovi insediamenti, stavolta “palestinesi-palestinesi”), con al loro interno numerose unità produttive.
Al contrario delle loro.. gemelle frontistanti, le NTT saranno “aperte”, e non recintate con reti metalliche elettrificate, per paura di attentati, visto che dello Shin Bet (il servizio segreto israeliano) ci si può fidare, nel senso che nessun terrorista suicida ebreo potrebbe mai entrare, carico di esplosivo, in una delle NTT. Inoltre, nessun uomo armato, di Hamas o dell’Autorità, per nessuna ragione, dovrà varcare i confini relativi, accessibili a chiunque voglia entrare in pace. Basterà, poi, che tutti si accordino per l’assoluta libertà degli scambi commerciali, all’interno delle enclaves opposte, e che la convivenza pacifica relativa duri a lungo, per vedere rimuovere spontaneamente, sul versante israeliano, anche quelle altre.. barriere architettoniche, anti intrusione e anti terrorismo.
Ecco, vorrei che su questa mia idea si potesse fare un referendum, protetto dagli osservatori Onu, facendo votare liberamente la popolazione palestinese locale. Sono sicuro che vincerei io!
Di Maurizio Bonanni