È tutta questione di…
onnipotenza.
Si sospettano 20 omicidi, e non suicidi come in un primo momento sembrava, oppure si voleva far credere.
Un
medico australiano, verso il quale si sono scatenati tutti gli Stati del quinto continente, impietosito dalle richieste di malati in fase terminale,
praticava un’efficace dolce morte.
Non voglio qui discutere sull’eutanasia, perché ritengo sia una questione talmente delicata da non potersi esaurire in un blog,
anche se penso sia necessario parlarne più diffusamente in molte occasioni di vita e in sedi diverse. Voglio però ragionare su altri due aspetti: la pratica solitaria di questo medico, anche se appartenente ad una associazione a favore della dolce morte, e il fatto che (sembra) l’abbia elargita anche
ad un malato di depressione.
Circa il primo punto, ciò che risulta lampante è il fatto che
una decisione di così grande importanza venga presa dal medico in totale solitudine, come se fosse quel medico il “giudice assoluto ed umano” (caratteristiche in contraddizione per definizione esistenziale) in grado di
porre fine alle sofferenze altrui. È certo possibile trovarsi mentalmente nelle condizioni di compiere fisicamente atti che portano alla morte senza l’ausilio di nessuno in questa decisione. Mi direte che questo accade nella mente di molti assassini e criminali, quando uccidono. Giusto, dico io. E se è giusto,
perché non considerare un medico che pratica la dolce morte alla stregua di un assassino? La presenza di una equipe di fronte ad atti di questo genere
non risolve, ovviamente il problema, ma almeno permette alla propria coscienza, al proprio dolore e alla sofferenza di essere inseriti all’interno di una condivisione responsabilizzante e, dal mio punto di vista, persino più scientificamente accettabile.
Rispetto al secondo punto,
se ogni depresso al mondo dovesse ricevere quel credito di cui ha goduto il depresso ucciso dal medico, avremo, molto probabilmente, più di una eutanasia al giorno in tutto il mondo. Dagli ultimi dati reperibili, i depressi, ossia coloro che sono affetti da depressione e non persone a volte “tristi”, presenti in Europa sono oltre 13.000.000 e mi sembra una bella cifra. Cosa facciamo?
Li ammazziamo tutti se ci chiedono di morire? E delle terapie che a volte risolvono le cose, che cosa facciamo?
Ecco perché ritengo che sia giusto
individuare personaggi di questo tipo e indagare se sono anche loro portatori di qualche problema bipolare, e prima di laureare medici, in tutte le università del mondo, cerchiamo di capire chi abbiamo di fronte, se un essere umano
oppure un assassino a richiesta.
Di
Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della Mente