Nov 30
Tra 55 giorni.. moro! Di Maurizio Bonanni
Il caso Moro? Una lobotomia del potere! Togliere via la parte intelligente, affinché rimanga soltanto la materia oscura, di cui, del resto si compone il 95% dell'Universo! Pare che anche in politica funzioni così. Al Teatro India (prevista la riedizione, nell'immediato, al Teatro Lo Spazio, adiacente a Via Sannio, con la partecipazione del giudice Ferdinando Imposimato) è andato in scena l'interessante monologo, su testo dello stesso giudice Imposimato, "I 55 giorni che cambiarono l'Italia", per la recitazione appassionata e impegnata di Ulderico Pesce. La documentazione di appoggio? Qualche metro lineare di faldoni, accumulatisi negli archivi della Procura di Roma, Ufficio del Giudice istruttore, a seguito della celebrazione dei vari processi sul delitto Moro.
Chi furono i veri mandanti di quell'eccidio che cambiò, come un terremoto del nono grado nella scala delle energie, l'asse di rotazione del mondo politico italiano, e non solo? Ad armare la mano degli esecutori materiali furono, sostanzialmente, in due: il Patto Atlantico e i tutori degli Accordi di Yalta. Il primo, a quanto pare, si mobilitò attraverso Gladio (in quel paniere oscuro di Stay Behind,in cui si ritrovarono i così detti "Servizi segreti deviati" e quella parte importante della Politica italiana, legata a filo doppio con gli interessi geostrategici americani); il secondo agì, invece, attraverso un intreccio quanto mai complicato di agenti doppi e tripli, provenienti da alcuni Paesi europei del socialismo reale, fedelissimi esecutori della volontà di Mosca.
Così a sparare, con.. geometrica precisione, in quel funesto giorno della Notte della Repubblica, non furono i brigatisti capitanati da Mario Moretti (le cui pistole, addirittura, si incepparono!), ma due "falchi" in motocicletta, come attestano i quarantatre bossoli di un fucile ad alta precisione, in dotazione alla milizia paramilitare di Gladio. E, poi, quelle presenze inquietanti di un colonnello dei servizi che, interrogato da Imposimato, non seppe dire altro, a giustificazione della sua presenza in via Fani, all'ora esatta del rapimento di Moro, di essere atteso a.. pranzo da un collega generale (che lo smentì puntualmente), alle nove del mattino! Ma la testimonianza più sconcertante, è contenuta nella fotocopia di un documento, incorniciato nello studio di Imposimato, firmato da un certo Pieczenik, consigliere del consigliere del Presidente degli Stati Uniti, inviato in gran segreto in Italia, per gestire il sequestro Moro, in affiancamento dell'allora Ministro dell'Interno, Francesco Cossiga. Pieczenik dichiara, senza mezzi termini, che Moro doveva morire, in quanto era sul punto di fare dichiarazioni estremamente compromettenti e destabilizzanti, per la sicurezza dello Stato e per l'interesse delle nostre alleanze internazionali. Ma chiude dicendo che la decisione finale di sacrificare Moro fu presa da Cossiga in persona!
Poi, attraverso il racconto-testimonianza di Ciro, il fratello minore di Raffaele Iozzino, uno dei poliziotti della scorta di Moro, e della sorella Adriana di un altro dei agenti, Francesco Zizzi, emulo cantore del repertorio di Domenico Modugno, scopriamo altre verità minori, come le macchie colorate di un acquarello, che fanno da corona funebre al cerchio di fuoco della tragedia e dell'uccisione di Aldo Moro. Tutto ruota sulla natura contadina di Raffaele, che fino all'ultimo giorno si precipita nel suo paesello natale, per piantare migliaia di piantine di fave, che si ripiegheranno, per consunzione, verso la terra che le ha generate, una volta abbandonate dalle mani che le hanno seminate al tempo giusto. Inaridite, come arido è diventato, ormai, questo nostro Paese, incapace di darsi speranze di rinascita. Protagonista inerte della tragedia di Via Fani è una vecchia tv Mivar, che mostra un polso ornato di un cinturino metallico di un orologio, regalato a Francesco -con tanti sacrifici- dal nonno contadino, il giorno in cui si è cresimato.
Ed è quella visione devastante, annuncio di morte certa, al termine di un'esecuzione spietata, a togliere per sempre la forza di vivere all'anziana madre, paralizzata a letto per il dolore, da quel giorno in poi. E Ciro, lui, come tutti gli adolescenti, vuole conoscere, assieme alla sua coetanea Adriana, il perché di quella tragedia. Lui, che sognava, come il fratello, di vedere Moro al Quirinale e che andrà a conoscere, solo soletto, a Roma, il giudice Imposimato, per chiedergli conto e ragione del perché a lui non siano state affidate, come prevede il Codice di Procedura Penale, le indagini su Moro, subito dopo il sequestro e l'eccidio della scorta. Indagini, invece, che furono conferite, in toto, ad un organismo di nuovissimo conio, l'Ucigos, alle dirette dipendenze di Cossiga, reo di aver smantellato, in modo fin troppo rapido, il nucleo antiterrorismo del Prefetto Santillo, che aveva ottenuto risultati eclatanti nella lotta al terrorismo e nel contrasto alle manovre eversive della Loggia P2. E, poi, quella mancata blindatura dell'auto di servizio del Presidente della Dc e di quella di scorta, più volte richiesta e mai ottenuta. Senza una giustificazione valida; senza mai una risposta, da parte di Cossiga e Andreotti, al quale perfino l'anziana mamma di Francesco aveva scritto, in tal senso, una lettera mai consegnata, e che il figlio Ciro conserverà come una reliquia, senza mai aprirla!
Un argomento, quello del sequestro e dell'uccisione di Aldo Moro, che ancora non ha rivelato, fino in fondo, i suoi veri segreti, e che le giovani generazioni sono chiamate a conoscere più da vicino, per capire come è stata cambiata in corsa, in modo definitivo e negativo, la Storia dell'Italia contemporanea.
Di Maurizio Bonanni