Gen 21
UN “SINDACO” MOLTO SPECIALE, di Maurizio Bonanni
"Il Sindaco del Rione Sanità", di Eduardo De Filippo. Ovvero, quando la camurria è un trattato socio-politico. Al Teatro Quirino va in scena, in questi giorni, una delle più amletiche opere del maestro partenopeo, per altri versi il grande ambasciatore della napoletanità nel mondo. La regia è di Marco Sciaccaluga, con Eros Pagni che interpreta magistralmente il ruolo del protagonista, il boss Antonio Barracano. Se "verità vo' cercando", allora a Napoli almeno, quella dea senza volto è una geometria priva di punti di convergenza. Chi la cerca, è costretto a percorrere in tondo il meridiano principale della Terra: dopo un lungo percorso, si torna sempre alla casella di partenza. C'è del Bene nel Male, e viceversa. Si possono curare le ferite materiali, pur senza potere, o volere, rieducare la mente che le produce; afflitta com'è da una profonda ignoranza e da un senso dell'onore che, in qualche modo, ripara sempre nel disonore. Perché chi viene creduto onesto e incapace di mentire, nell'occasione cruciale che gli viene offerta di dimostrare definitivamente queste sue virtù, si ritrae -come una testuggine- nel proprio guscio omertoso.
Guitteria e guapparia si rimandano i rintocchi di campane che suonano ora a festa, ora a morto, rincorrendo a perdifiato l'aleatorietà del quotidiano, perché un giorno qualsiasi può essere il primo (per una nascita, o una resurrezione), o l'ultimo, a causa di uno sgarbo mal dato, sanato con la lama affilata di un lungo coltello, che aiuta a scendere silenziosamente nell'Ade, per il passaggio nell'oltre vita. Come un prete amministra i sacramenti, dietro la grata spessa e fitta di un confessionale provvisto di inginocchiatoio, ascoltando il racconto indicibile di orribili colpe e peccati, così il Don, che conosce l'antico mestiere del capobastone, riceve, cura, punisce e amministra i suoi cittadini-sudditi, sciorinando ai questuanti ampie dosi di buon senso e saggezza popolare, sedendo a gambe larghe in una poltrona delle sue case di campagna e del Rione Sanità.
La sua non è una giustizia togata, ma.. naturale. Il cui potere non nasce a seguito del superamento di un concorso pubblico in magistratura, ma dalla voglia di giustizia elementare del popolino. Quella, in altre parole, innata nella gente comune, che non può concedersi il lusso dei Tribunali di Stato, dove la falsa testimonianza è solo un problema di disponibilità di denaro, per l'acquisto in stock, o in saldo, di testimoni di comodo, da parte di chi, pur avendo torto, grazie a costoro, trova ragione nelle sentenze dei giudici. Allora, il borghese piccolo-piccolo, il giovane malfattore, o il ragazzotto per bene, magari ridotto sul lastrico da un padre-despota, che lo disereda per motivi futili, non hanno altra scelta che farsi giustizia con le proprie mani, visto che Napoli, per chi sa e vuole, è una sorta di armeria a cielo aperto, in cui girano più pistole che pane.
La statica di quell'ordine social-malavitoso è semplice, come una teoria newtoniana: date due forze, la risultante è ovvia e chiara, per la legge del parallelogramma. Così, per lo sparatore e la sua vittima, sentite le ragioni dell'uno e dell'altro, colui che è stato ferito riceve da Don Antonio una semplice ammonizione. Per lui, infatti, reo di aver invaso il territorio del suo sfidante (che campa del ruolo di mediatore di strada, per alloggiare i turisti), viene ritenuto più che sufficiente l'aver ricevuto una pallottola nella gamba. A curarlo, nella casa di campagna del boss, dove l'avevano accompagnato due suoi compari (feritore incluso!), aveva generosamente provveduto, all'alba, il medico personale del Don, quel Fabio della Ragione, di nome e di fatto, co-protagonista fondamentale del dramma eduardiano.
Invece, per il primo, lo sparatore, generosamente accorso in aiuto della sua vittima, alla quale nessuno sembrava voler prestare aiuto e soccorso (e qui, come si vede, si addensano e affiorano tutti i paradossi della guapperia della Napoli del Secondo Dopoguerra, oggi completamente sparita!), Don Antonio riserva un sonoro manrovescio, che fa cadere a terra lo sventurato e gemere di dolore il boss, per aver osato impugnare una pistola, senza previo consenso del suo.. Sindaco! Altra scena di puro divertimento è l'arbitrato chiesto a Don Antonio da un creditore e dal suo strozzino, dove l'uno appare nelle sue vesti miserabili, spogliato di tutti i suoi beni da tassi usurai umanamente insopportabili; l'altro, invece, abbigliato come un cafone ripulito, con un vistoso abito a righe larghe e dai colori volgari, richiama il disgusto sottile di una ricchezza che non viene né dal censo, né dalla cultura.
Dopo una clamorosa finzione di restituzione del prestito (di per sé una vera opera d'arte nella commedia dell'arte!), accettata dal creditore, soggiogato dall'autorevolezza del mediatore e dalla certezza di una pena ben più grave, in caso di disobbedienza, il tutto si conclude con una stretta di mano tra sfruttato e sfruttatore, esattamente come nel primo caso della vittima e del suo feritore. Il Don, quindi, gioca il ruolo di facitore, compositore e garante di un equilibrio arcaico, di una giustizia diretta, che non ammette repliche, né appelli. Questo perché, nel caso dei due contendenti, l'uno non può concedere all'altro, nella lite che li contrappone, il bene dell'arbitrio arbitrale, che è prerogativa di un soggetto terzo, super partes e dominus, unico e solo baluardo all'anarchia, in una società dell'ingiustizia, dove il buon diritto ognuno se lo dà da sé, quando e come può.
Onde evitare il peggio, il Sindaco del Rione Sanità è lì per questo: affinché non si scateni il caos e non regni sovrana la giustizia sommaria dell'uno contro l'altro armato. Solo lui, quindi, quasi per mandato divino, è autorizzato a dispensare e amministrare la violenza, quando giusto e necessario. Poi, improvviso come un temporale estivo, si scatena il dramma inconsueto di un figlio determinato a uccidere il proprio padre, perché diseredato e maltrattato, condannato all'emarginazione sociale, che ne fa una sorta di novello ebreo errante, con la sua inseparabile, devota giovane femmina Rituccia, incinta al settimo mese. Per difendere la giovane coppia, il Don viene preso in trappola e sospinto in un vicolo cieco, che lo vede costretto ad accettare per sé un ruolo cristologico, dove il sacrificio della propria vita è offerto a Dio e all'onorata società, affinché la faida non si nutra del suo stesso sangue. Ma.. Sarà il Dr. Della Ragione, la buona coscienza del Don, per lunghi trentacinque anni di vita comune, a sconvolgerne i piani, stanco di un mondo di menzogne, violenza, ignoranza e ipocrisie. Insomma: uno spettacolo bellissimo, da non perdere, per chi vive nella Capitale.
Di Maurizio Bonanni