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Giu 10

ESPOSIZIONE UNIVERSALE 1942. Di Maurizio Bonanni

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Al Teatro India va in scena, fino al 14 giugno, lo spettacolo: "L'Esposizione Universale" di Luigi Squarzina, per la regia di Piero Maccarelli, che dirige gli allievi diplomati della Scuola Teatro di Roma, con l'assistenza in scena di attori sperimentati, come Stefano Santospago (impeccabile, nel ruolo dello "squalo" immobiliarista Barzilai) e di Luigi Diliberti, nella parte di Curbastro, professore di lettere e nostalgico del passato regime fascista. Nell'immediato dopoguerra, l'ambientazione scenica, ricostruita attraverso fotografie panoramiche del complesso edilizio incompiuto, è quella dell'immenso spazio urbano che avrebbe dovuto ospitare l'E42 (Esposizione Universale di Roma, prevista nel 1942 e mai avvenuta, a causa dell'entrata in guerra dell'Italia), più noto come E.U.R.. Improvvisamente, in quella landa desolata di marmi e cemento, ecco apparire un'umanità sconvolta, appena emersa in stracci e brandelli dai gorghi di una guerra perduta e devastante, dove l'italianità, il concetto stesso di nazione è stata smembrata dalle più feroci guerre ideologiche di tutti i tempi, erosa dai marosi di una guerra civile sottaciuta, assai poco narrata e mai del tutto risolta. Ed è questo doloroso fiume di gente senza più nulla, nemmeno la dignità, che va a occupare, in assoluta promiscuità, quegli spazi interni (sorprendentemente luminosi e aperti, nei loro richiami strutturali neoclassicheggianti) di edifici immensi, soli, malati e amputati; impregnati di un tempo sospeso, con materiali laterizi desolatamente lasciati accanto agli scheletri di grandi strutture realizzate a metà: una sorta di lebbra estetica, dalle piaghe non rimarginate per mancanza delle necessarie cure e amore da parte dell'uomo-faber. La scenografia è quella di una grande camerata, con letti sovrapposti, in cui i drammi esistenziali di ciascuno trasudano lacrime, parole disperate; desideri e sogni abortiti, come quelli della giovane malata di tisi, assistita da sorella e madre, che terminerà i suoi giorni in sanatorio, invano attesa dal giovane fidanzatino. Ma le vere forze in campo trascendono qualsiasi velleità da libro Cuore, perché persino i tradimenti sono saldamente impunturati, come chiodi sulla croce, sui grandi conflitti socio-politici di quell'epoca nascente e perturbata. La stessa giovane donna, che si adatta a qualunque impresa e mestiere, pur di accudire la sorella malata, è di volta in volta l'amante ora dell'uomo in divisa (un brigadiere sposato e arrogante), ora del giovane rivoluzionario, antagonista ante-litteram della proto globalizzazione. Ed è quest'ultimo uno dei personaggi-chiave della vicenda: inizialmente lo vediamo, dopo un gesto eclatante di ribellione violenta, divenire facile preda delle sirene alto-borghesi che lo perderanno, inizialmente, ma lo consacreranno a martire della libertà, una volta risolta l'ambiguità che lo pervade, tra rimanere un uomo del popolo, o tradire e abbandonare la sua classe per la scalata al successo, alle belle donne e al denaro. Ancora più sottile e profondo è lo scontro epocale tra il vecchio professore e Barzilai (anch'egli un'ex camicia nera, che aveva condivo con il professore esperienze ministeriali). Il primo, pur nel suo anacronismo (è tra i più poveri degli sfollati!), si incatena al suo personale totem dell'etica, quando una generazione più anziana sapeva pensare (a torto o ragione) al futuro di quelle successive, preparando con cura il terreno intellettuale più fertile. Barzilai, invece, alcolista e cinico, è il prototipo di quello che sarà il capitalismo rampante e arruffone italiano. Lui, che fiuta come un animale da preda (rimanendone vittima colpevole!) i prodromi dello sviluppo urbano della nuova Roma del dopoguerra. Lui, che sa di far parte dei vincenti e lo dichiara spudoratamente, disposto a uccidere pur di raggiungere il suo scopo di speculatore. Il finale è tutto un fuoco di artificio, grazie a quelle armi nascoste da un esercito allo sbando, che saranno impugnate dai giovani protagonisti, intenzionati a resistere al sopruso del potere. Perché Barzilai e i suoi soci misteriosi, affaristi internazionali dell'immobiliare, avendo l'assoluta necessità di liberare la famigerata area dell'E42, debbono trasferire altrove -e a qualunque costo- gli sfollati, anche ricorrendo alla prova di forza. Il loro destino di senza casa sarà così relegato, per molto tempo, nello spazio miserevole e degenerato di uno dei tanti, orribili campi profughi che disseminavano di vergogna, all'epoca, il tessuto periferico della Capitale. Proprio quella Roma fascista alla quale le nuove miserie morali e materiali avrebbero definitivamente ridotto in brandelli quelle finte vesti di un'idea imperiale del tutto artificiale, costruita su di un nulla storico! Complimenti vivissimi a tutti i giovani interpreti! Spettacolo da non perdere, per chi vive a Roma. Di Maurizio Bonanni
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