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Mar 02

UNA FAMIGLIA QUASI PERFETTA. Di Maurizio Bonanni

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A proposito di.. adozioni. E se vi dicesse male e quel bambino delizioso di soli sei anni che vi è stato dato in affido dal giudice (perché segnato da un'orribile sventura con un padre uxoricida, condannato a trent'anni di carcere) si rivelasse afflitto dalla Sindrome di Matusalemme, rimanendo alto un metro a 29 anni, voi come la prendereste? Detto così, potreste pensare a una tragedia epocale. E invece no. Uno straordinario Carlo Buccirosso è autore, regista e protagonista di "Una famiglia quasi perfetta", spettacolo in scena fino al 14 marzo alla Sala Umberto di Roma. La storia è un mix originale tra farsa, dramma e commedia, in cui i diversi aggetti del testo si prestano ora all'una, ora all'altra interpretazione. La storia è presto detta. Un ex macellaio (che, 25 anni prima, appena consumato il delitto, aveva esposto nel suo negozio di macelleria il cartello "chiuso per carneficina") uccide con un coltellaccio del mestiere la sua consorte adultera e, dopo aver scontato 24 anni di carcere, va alla ricerca di un avvocato per riavere indietro il suo unico figlio, dato in adozione a una coppia sterile. Bene, potete immaginare che cosa accada quando l'avvocato è un patentato imbroglione -assistito da una segretaria bella quanto raccomandata e da un giovane praticante onesto-, mentre la famiglia di adozione è formata da due persone assolutamente perbene e generose (uno psicologo e una casalinga), contrapposte alla strana coppia dell'ex carcerato -un perfetto Buccirosso dal coltello facile, iracondo e violento- e dalla sua remissiva e debole neo-fidanzata infertile. La perfetta scenografia che sostiene l'intera rappresentazione è imperniata su di un corpo rotante bifacciale, in cui la prima prospettiva rappresenta un severo studio legale in boiserie di mogano, alla quale si contrappone, al cambio scena, quella luminosa in legno chiaro dell'interno soggiorno-cucina di una confortevole casa di abitazione. Rosalia Porcaro è la madre adottiva che affascina e innamora il pubblico con la sua comicità solida, le battute fulminanti, scagliate come lame affilate per lacerare gli stereotipi maschili: nella sua recitazione navigata predomina il gusto e l'estetica dei gesti misurati, o inesistenti, in cui la voce e le sue cadenze sono fonte di comicità assoluta. E che cosa succede quando l'ex galeotto e la sua (finta) compagna, preceduti dai loro due legali, irrompono nella tranquilla casa borghese dei genitori adottivi per riappropriarsi del figlio naturale di lui? Il protagonista silenzioso è proprio l'onnipresente coltello, copia perfetta di quello usato nella tragedia originale, in cerca di nuove vittime, pur di obbligare -con una violenza bruta e primitiva- il presente a divenire passato. Immaginarsi il trauma paterno quando la taglia dello smoking che aveva portato in regalo al figlio a lungo sognato e immaginato si rivela tre volte più grande di quella di quel suo bambino apparente, benché adulto (ottimamente interpretato da Davide Marotta). Una quasi famiglia normale è una continua oscillazione tra reale e surreale, in cui il testo e la grande passione artistica di tutta la compagnia -che lo interpreta in modo esemplare- costruiscono nel corso della narrazione un sorprendente scudo affettivo a tutela della diversità, fino a partorire un'intensa commozione, imbevuta in un mal di vivere profondo e mai apparente, come quello di una società implosa in cui, dice Buccirosso, il reato è cosa lecita! Spettacolo delizioso, adatto per tutte le età e gusti. Di Maurizio Bonanni
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