L’omicidio del boss Giuseppe Dainotti, commesso stamattina a Palermo, ci dice tre cose importanti.
La prima riguarda l’ineluttabilità del ruolo che si ha dentro l’organizzazione mafiosa. Da boss, infatti, non ci si dimette mai. Nonostante il carcere i boss appena liberati tornano a far parte dell’organizzazione, anche a costo di rischiare e lasciarci la pelle.
La seconda riguarda il ricorso agli omicidi. Quello di Dainotti è l’ultimo di una serie commessi in questi anni dalla mano mafiosa, per cui pensare che Cosa nostra dismetta l’uso delle armi è un errore clamoroso. Semmai al fuoco preferisce il ricorso alle collusioni, sapendo che pistola e kalashnikov sono sempre a portata di mano, anche quando si organizza la Cosa nostra 2.0 attraverso le strategie tipiche dei colletti bianchi.
La terza ha a che fare con la tempistica. Siamo alla vigilia dell’anniversario della strage di Capaci. Cosa nostra ha dimostrato di tirare dritto per la sua strada noncurante dei sentimenti che si vivono in questi giorni oppure, come è molto probabile, ha voluto dare il segnale di non temere le istituzioni e di essere pronta a tutto.
Ciò significa che nonostante i grandi successi ottenuti per vincere la guerra c’è ancora tanto da fare. Serve una lotta sistemica e integrata contro la mafia, aperta su più fronti: quello repressivo-giudiziario, sociale-culturale e quello delle collusioni con l’economia, la finanza e la politica.
Sen. Giuseppe Lumia
Mag 22