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Ott 11

L’Antropologia della mente ridisegna le possibilità cognitive: il nostro cervello è davvero nostro?

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Il periodo storico che il mondo sta vivendo è decisamente interessante, conturbante e per molti versi stimolante. Non ci si riferisce alla problematica terroristica che, oltre a minacciare l’intero pianeta, costituisce l’espressione forse finale di una esistenza tragica.
Si fa invece riferimento alla perdita costante e continua (oltre che progressiva) di un antico e biologicamente importante sentimento umano: il senso di appartenenza. Quel senso che sembra ruotare attorno all’inchiostro, come quando si scrive una lettera d’amore e nulla ci può dividere da quel foglio, o da quel “messaggio” incubato nella mente, che non si distoglie dal suo colore, perché è la stessa mente che scrive. E diviene inchiostro la mente di ogni individuo, proprio perché la mente necessita non solo di se stessa, ma di essere inchiostro. L’individuo non può permettersi di vivere isolato, sebbene molte siano le persone che hanno la netta sensazione di essere sole. La nostra umanità, nascosta ma presente in ognuno di noi, necessita di comunica-zione con ciò che è apparentemente diverso da noi, altro e persino a volte irraggiungibile. Prima dell’avvento di Internet, una sorta di noosfera tecnologica, i singoli individui potevano vantare la pretesa di sentirsi originali ed unici nei loro pensieri. Si poteva anche sostenere, fino ad arrivare a crederci con una certa convinzione, che il nostro microcosmo potesse coincidere con un macrocosmo più generale. Oggi, tutto questo non è più possibile perché Internet ci permette (oserei dire ci impone) una dimensione cognitiva necessariamente antropologica, ossia evolutiva e globocentrica. Con il termine cervello ci riferiamo ad una parte precisa del corpo umano, come accade quando parliamo di un qualsiasi altro organo. Il cervello è collocato nella scatola cranica dalla quale parte l’intero sistema nervoso, sia centrale che periferico. Tutte le funzioni, ossia le azioni, che gli organi umani svolgono permettono di vivere, anche se non le vediamo direttamente, mentre ci accorgiamo quasi sempre del risultato di queste funzioni. Stabilire una distinzione fra azioni e risultati fisiologici è importante quando si vuole, come nel nostro caso, fon-dare il paradigma teorico di una nuova disciplina. In effetti, solo comprendendo a fondo quanto i risultati siano le conseguenze di una azione fisiologicamente determinata, saremo in grado di ragionare sulle conseguenze delle azioni cerebrali, ossia sulla mente. In questa ottica, l’Antropologia della Mente, disciplina che si inserisce nel solco più generale delle neuroscienze, si occupa dell’evoluzione della mente umana, intesa come l’insieme delle conseguenze filogenetiche ed ontogenetiche delle azioni cerebrali. Eppure, se la disciplina si limitasse a considerare la mente come il mero risultato del funzionamento cerebrale sarebbe assimilabile ad una sorta di neurologia applicata. Il cervello è in effetti un organo del tutto speciale, perché le sue azioni subiscono continue modifiche in rela-zione alle azioni degli altri cervelli umani con i quali viene ad incontrarsi e dell’ambiente esterno nel quale opera. Per fare un esempio, mentre il fegato agisce come fegato, indipendentemente dal suo trovarsi in una geografia diversa rispetto a quella nella quale è cresciuto, ogni volta che “portiamo” il cervello in altri luoghi, anche se la funzionalità rimane identica dal punto di vista neurologico, il risultato cognitivo di questo suo agire è decisamente diverso, proprio perché legato alle condizioni esterne nelle quali viene a trovarsi. Il cervello è dunque un organo altamente reattivo e la sua funzionalità dipende sia da fattori endogeno-fisici che da fattori esogeno-culturali. Come possiamo definire l’incontro di queste due funzionalità? Con il termine mente e mentalità. La mentalità diventa così il risultato storico e congiunto delle azioni cerebrali interne all’individuo, durante l’incontro con l’ambiente esterno, abitato da storie personali altrui e geografie sotto forma di cultura. Tale incontro è talmente insito nella vita quotidiana del nostro cervello che non è possibile tracciare una linea di demarcazione netta e precisa che separi la funzionalità cerebrale individuale dalla modificazione di tale funzionalità, in seguito all’incontro con altri cervelli ed ambienti. In sostanza, non è possibile individuare con certezza dove inizia la mente altrui e termina quella propria. La nostra vita si esplica all’interno di un continuum mentale, nel quale perdiamo di vista l’inizio delle nostre azioni e le conseguenze che esse comportano negli altri. In questa prospettiva si colloca l’Antropologia della Mente, grazie alla quale si studia la formazione, all’interno del sistema della cultura, della cosiddetta mentalità, che appunto possiamo definire come il risultato di azioni e conseguenze (ad esse?) compartecipate da parte di un gruppo di individui all’interno di un preciso ambiente.
Di Alessandro Bertirotti del 9/10/2012 foto di Stefano Cracco
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