Giu 15
Economia: il piatto piange, di Maurizio Bonanni
C’era da giurarci! Non ci sono i soldi per mantenere le promesse elettorali sull’abolizione dell’Imu per la prima casa e il congelamento dell’aumento, dal 21 al 22%, dell’Iva. Quindi, per sopravvivere il Governo Letta, e il Ministro Saccomanni, in particolare, sono alla disperata ricerca dei possibili tagli da operare nel bilancio pubblico, per racimolare gli otto-dieci miliardi di euro, necessari per far fronte alle minori entrate. Evidentemente, le lezioni del passato non sono servite a nulla.. Quando si è deciso il precedente aumento al 21% di Madame Iva, a fronte delle maggiori, presunte entrate, si è registrato, a consuntivo, un sensibile arretramento del gettito sperato, a causa del crollo contestuale dei consumi! Davvero una bella trovata, questa degli aumenti indiscriminati, soprattutto in un momento di grave recessione economica come questo! Come siamo arrivati a tal punto? Lasciate che mi rivolga a quella sorta di “Croce Rossa” nazionale dei conti pubblici, che è la Corte dei Conti e che, da alcuni decenni, quale Cassandra da tutti inascoltata, sta narrando e denunciando l’abisso dei conti pubblici italiani, della corruzione endemica e degli enormi sprechi che li contraddistinguono.
Avrei due questioni da sottoporre ai nostri autorevoli e preparati magistrati contabili. La prima: perché non aprire un severissimo procedimento per danno erariale contro l’Istat, la quale non si è mai accorta di che cosa sia avvenuto con l’esplosione della bolla immobiliare italiana, favorita dall’introduzione dell’Euro? Ci sono milioni di testimoni, Signori Procuratori, pronti a mostrarvi, carte alla mano, che un appartamento di 80 mq è passato da 400 milioni di lire, nel 2001, a 400 mila euro (cioè, esattamente il doppio!) nel 2002! E loro, i guru dell’Istat, l’hanno chiamata “inflazione percepita”! Senza parlare, poi, dei mutui generosamente concessi, nei nuovi euro, dalle banche, che hanno così sottratto enormi ricchezze alle famiglie italiane, già pesantemente colpite dal raddoppio dei prezzi al consumo (di chi la colpa, se il doppio prezzo lira/euro dei beni venduti è stato tolto, in pratica, da subito?)! Nessuno, davvero, ha visto o sentito nulla? Secondo problema: perché la Corte non accerta quanto vado sostenendo da anni, sul fatto che la P.A., nel suo complesso, consuma immensi beni pubblici per il suo esclusivo auto sostentamento? Azzardo un numero, del quale mi assumo la responsabilità scientifica: è vero, o no, che più dell’80% di tutte le attività svolte dalla P.A. riguardano.. “l’auto-amministrazione”?
Questo vuol, dire, ad esempio, che di tutti i molti milioni di carte e provvedimenti prodotti all’interno della P.A., pochissimi riguardano atti d’interesse del cittadino! Infatti, la P.A. si è sempre ben guardata dal fare una cosa semplicissima: produrre un elenco esaustivo dei provvedimenti tipici, che abbiano un “valore di mercato” (siano il corrispettivo, cioè, di una domanda specifica, da parte di cittadini/imprese), abbinando loro un “costo-standard” per prodotto unitario. Quindi, se lo Stato sborsa 700 miliardi all’anno per mantenere in piedi il suo baraccone amministrativo, almeno alcune centinaia di questi sono “del tutto ingiustificati”, sotto il profilo della pubblica utilità! Indovinate un po’ dove dovreste tagliare? Prendiamo, poi, il settore che più di tutti costituisce il buco nero dei bilanci pubblici: la Sanità. Ancora la Corte dei Conti non ci ha chiarito né il perché e il per come degli enormi differenziali di spesa esistenti tra le varie Asl delle 20 Regioni italiane, né quali siano i costi “inutili” dell’autonomia riconosciuta alle Regioni in tema di sanità e delle burocrazie associate. Basti vedere il rapporto tra impiegati amministrativi e operatori sanitari, per farsi venire i brividi! Chi e come permette che una siringa al Nord costi molte volte di meno, rispetto al Sud?
Possibili rimedi, “politici”? Togliere la spesa sanitaria alle Regioni, innanzitutto. Dopo di che, facciamo una cosa semplicissima, per valorizzare chi nella sanità ci lavora e si sacrifica: per ogni struttura sanitaria (presidio, distaccamento, etc.) valutiamone il costo medio annuo (stipendi, acquisti, manutenzioni, etc., compresi). L’ammontare di quella spesa costituisce il fondo annuo prefissato d’istituto (versato dallo Stato e rivalutato annualmente, sulla base degli indici Istat), rispetto al quale gli organi elettivi (costituiti, cioè, da rappresentanti del personale, delle categorie d’utenza e delle collettività locali) hanno piena autonomia di gestione e scelgono il personale direttivo della struttura. Alla fine di ogni esercizio di bilancio, i risparmi di gestione sono ripartiti, in proporzione alla qualifica, in base alla produttività individuale. Il premio di gestione, suddiviso con gli stessi criteri, è formato dal trattenimento dell’80% dell’ammontare dei ticket sanitari, versati dall’utenza.
Questo significa, in altri termini, che ogni lavoratore addetto (medico, paramedico, amministrativo,..) sarà interessato, in prima persona, a eliminare ogni forma di spreco (compresi gli acquisti “gonfiati”!), all’interno della sua struttura, e ad attrarre quanta più nuova utenza possibile, fornendo servizi di sempre maggiore qualità e competitivi sul mercato dell’assistenza sanitaria. Signori della Corte (dei Conti), che ne dite?
Di Maurizio Bonanni