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Set 17

Chiaro è bello, di Alessandro Bertirotti

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Alessandro Bertirotti

È un dato di fatto incontrovertibile che con la luce le cose del mondo appaiono più chiaramente rispetto a quando sono celate dal buio. Tanto è vero che la locuzione "fare chiarezza" significa effettivamente "illuminare" qualche cosa che da quel momento in poi diventa appunto più chiara e comprensibile.

Con la chiarezza si distinguono i contorni delle cose, i contenuti presenti in questi perimetri, il colore delle diverse forme, e persino tutto quello che è posto fuori dalle forme stesse, oltre le loro frontiere. Con la chiarezza, poiché si individuano bene gli elementi che essa evidenza nello spazio, ma anche nel tempo, la mente umana può comprendere meglio il proprio ruolo di "catalogatrice" del mondo, grazie al quale tutte le cose possono essere messe in relazione fra loro, seguendo alcuni principi di unificazione condivisi. Per esempio, se vi è luce in piazza è possibile associare, secondo il criterio della vicinanza, tutte le persone che si trovano nella piazza, affermando che alcune di esse, proprio in nome della loro vicinanza, sembrano disegnare i confini di una forma dentro la piazza stessa. Insomma, la chiarezza ci permette di vedere meglio le cose e di creare con esse forme di figure che al buio non saremmo nelle condizioni di creare.

Ecco perché la chiarezza, specialmente in certi periodi storici di decadenza etico-morale, non viene dai più ricercata ed auspicata, specialmente a livello linguistico-verbale, a vantaggio, invece, di una comunicazione definibile "sottile" ma spesso “fumosa” che confonde il destinatario del messaggio in maniera del tutto gratuita.

È evidente che tutta questa confusione verbale ha uno scopo preciso: eliminare la chiarezza, e gettare il buio sulle cose che dovrebbero invece essere assai illuminate. In effetti, quando utilizziamo esattamente le parole giuste per indicare le cose del mondo, oppure le situazioni e i comportamenti umani, tutte le persone sono nella condizione di capire e così partecipare con coscienza a qualsiasi discussione, trasferendo le proprie idee nella dimensione sociale.

Quando, invece, si vogliono tenere nascoste le cose, è sufficiente non nominarle secondo il linguaggio comune che sarebbe accessibile a tutti, ma nascondersi invece dietro quell'idea ipocrita di esperto del settore, che comunica i concetti in modo tale da non farsi comprendere dai più.

Questa tecnica comunicativa è tipica di tutti quei sedicenti esperti che, dal mio punto di vista, sono perfettamente consapevoli di essere in mala fede, ma parimenti sanno che solo in quel modo riusciranno ad alimentare emantenere la fama di validi esperti convinti che i destinatari del messaggio continueranno a considerarli tali. Infatti, questi ultimi non possono che sentirsi come una specie poco protetta di “minushabens” non in grado di capire quello che si chiama, appunto, un "ragionamento sottile".

Scrivo tutto questo perché Papa Francesco sta rivoluzionando, dall'alto del proprio ruolo simbolicamente presente in tutto il mondo, il linguaggio con la chiarezza che rende migliore e più efficace il ruolo che ogni essere umano dovrebbe esercitare nella propria vita: essere consapevole che la parola crea la realtà, non solo la interpreta, ma laperimetra, definendo ciò che rimane dentro rispetto a ciò che rimane fuori dal concetto espresso.

Quello che dunque auspico, è la capacità di imparare da lui un vecchio-nuovo modo di esprimersi, quello tipico della saggezza popolare, che nella semplicità della chiarezza rende accessibile ogni argomento e bella ogni cosa, anche l'evidenza dei nostri errori più atroci, come tutte le forme di aggressività e di guerra.

Sì, sembra strano che nel male possa esistere anche il bello, ma credo che ogni epifania, ossia ogni manifestazione evidente delle cose, sia bella in sé stessa, proprio perché è quel bello che ci permette di vedere le cose come stanno, lasciando a noi la decisione se accettarle oppure rigettarle. Questa possibilità di scelta è bella, ossia esteticamente utile al nostro ragionare, ed ecco perché ritengo che il bello sia anche giusto.

Di Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della mente
 
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