Mario Monti, purtroppo, non ha affrontato i problemi con la necessaria decisione, credendo di poter cambiare il Paese, un passo dietro l’altro e con riforme graduali realizzate non rendendosi conto che, così facendo, si è lasciato rosolare dai professionisti del perdere tempo per prendere tempo i quali, non appena intravisto uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, lo hanno liquidato senza tanti complimenti. Sperava, l’illuso, «di fronte ai sacrifici richiesti ai cittadini, di contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi», e di «riordinare la disciplina degli ordini professionali». Il momento favorevole è sparito rapidamente e si è persa l’unica ed irripetibile occasione propizia per dare un volto nuovo alla democrazia italiana. Cessata l’emergenza i partiti, pavidi ed opportunisti, hanno subito ricominciato con i loro giochetti disconoscendo la paternità dei 54 decreti cui avevano votato la fiducia. Così, ad esempio, vanificando la volontà governativa, è stata definitivamente approvata la riforma forense, predisposta dalla stessa categorie e già approvata dalla Camera nel 2010, che ha fatto ripiombare l’esercizio professionale al Medioevo, nonostante lo stesso Monti, sugli ordini, avesse affermato «non si tratta di tenaci fiammelle rivendicative fuori tempo ma di corposi interessi privilegiati che, pur di non lasciar toccare le loro rendite, manovrano un polo contro l’altro: veri beneficiari del bipolarismo italiano!». Da allora il termine liberalizzazioni è caduto in disuso. Neppure le province, le cui competenze Monti aveva cercato di trasferire alle Regioni ed ai Comuni e sulla cui abolizione tutte le parti politiche si dicevano d’accordo, sono state toccate. Monti restò impantanato nella palude delle lobby ma Letta non corre questo rischio. La lunga militanza democristiana e la consuetudine al metodo concertativo gli hanno insegnato a non toccare i problemi spinosi. Le incrostazioni burocratiche restano tutte, le riforme strutturali sono rinviate a data da destinarsi, il pubblico impiego e la spesa pubblica sono fuori dall’agenda di governo, l’abolizione del finanziamento è una trovata propagandistica di cui se ne parlerà nel 2017 e di mercato e concorrenza neanche a parlarne. Ma Il governo vuole restare in carica per evitare che il Paese precipiti nel baratro ? Nooo ! Molto più prosaicamente vuole arrivare ad aprile 2014 quando scadranno le cariche negli enti pubblici per poterci insediare gli amichetti propri magari nomi nuovi e formalmente credibili ma sempre appartenenti ed estratti dallo stesso cilindro.
Di Riccardo Cappello, Il Cappio
Dic 18