È tutta questione di…
responsabilità.
Quando parlo della mia vita dico che sono davvero un uomo fortunato, ed è vero, e negarlo sarebbe davvero un atto irriverente, verso la mia storia, verso coloro che
mi hanno insegnato ad essere ciò che sono diventato e coloro che ancora oggi mi stimolano a migliorare.
Parafrasando una delle poesie più significative della mia amata Emily Dickinson posso dire che
nessuno di noi è qualche cosa di significativo se cresce in solitudine, senza la presenza di qualcuno che gli insegni a raggiungere quell’altezza che solo quando si è chiamati ad alzarci si riesce ad intuire davvero.
Non è vero che abbiamo giovani peggiori degli adulti sempre pronti a giudicarli, perché, come sempre e giustamente accade nelle dinamiche intergenerazionali, la tradizione si arroga il diritto della giustezza e il futuro quello della creatività e dell’innovazione. Se un genitore e un figlio
non si capiscono, specialmente quando il figlio è adolescente, quindi non ancora il grado di recuperare il senso della genitorialità,
significa che il giovane sta crescendo bene. Fa le prove di autonomia, entra in conflitto con tutto ciò che rappresenta il passato, e
cerca di verificare sino a che punto potrà spingersi riuscendo ad esistere con le sue sole forze, con la sperimentazione delle proprie idee, nella convinzione giovanile di essere originale ed importante per la società intera.
Ma tutte queste cose
sono possibili se il giovane cresce con adulti che si sono presi
la responsabilità di parlare, di ripetere quasi ossessivamente quanto la sua età possieda quella misteriosa forza con la quale potrà completare le opere che l’adulto non è riuscito a terminare. Senza adulti
di questo tipo, sarà sempre più difficile incontrare giovani complessi e sinceri, esuberanti e precisi, ordinati e squilibrati. Eppure, abbiamo giovani in gamba e si possono incontrare in contesti più diversi ogni giorno,
se solo ci fossero adulti consapevoli di aver bisogno che qualcuno dopo di loro completi quelle azioni che sono rimaste a metà, perché ognuno di noi, muore prima di aver ultimato tutto quello che desiderava realizzare in questo mondo.
Sono loro,
i giovani, che faranno della nostra vita incompiuta una vera opera d’arte,
ma sta a noi fornire scalpello e martello, indicando una possibile loro utilizzazione, ma lasciando che siano solo loro, i giovani e alla fine,a dare il nome giusto ai loro futuri baci.
Di
Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della Mente