Mar 05
A TUTTO.. “VAPORE”! Di Maurizio Bonanni
Vendo Casa, vendo l'Anima. Ovvero: quando contenitore e contenuto raccontano la stessa storia. Ad es., quella di Maria (Giuliana Lojodice), in avanti con l'età, vedova del Mago Vapore, che si vede costretta, per necessità, a mettere in vendita la sua casa di campagna, nella quale ha trascorso tutta la gioventù e la maturità, in compagnia del marito Alfonso e dell'unico figlio Pietro. Davvero un piacere, avere il mostro sacro Lojodice a filo di pavimento, sulla stessa riga della prima fila di poltrone, tanto da credere che sia lei a parlare con te! Cose che accadono al Teatro India, dove va in scena, fino all'otto marzo, lo spettacolo semidrammatico Vapore, su testo di Marco Lodoli e la regia di Oliviero Corbetta. La solitudine rassegnata di Maria è interrotta, un giorno, rientrando a casa, da un giovane agente immobiliare, con il volto simile a una maschera atzeca e l'aria gioviale, restia ad arrendersi alla diffidenza dell'anziana donna. Il mestiere lo conduce all'ingaggio facile, a rompere la monotonia di una professoressa in pensione, con l'invito a un viaggio nel passato, dove non mancano le luci e le ombre.
Così, la culla del racconto è attrezzata, scenograficamente, con una panchina da giardino a due posti, e una torre caleidoscopica, a tratti luminosa, buia, o trasparente, come un enorme parallelepipedo narrante, sulle cui pareti scivolano e si alternano, anche in visioni prospettiche, immagini bucoliche di rampicanti, boschi in lontananza, finestre squadrate senza balconi. "Lui", Gabriele, il giovane immobiliarista, è un clown, che fa capriole, si arrampica acrobaticamente sulle sponde della panchina e opera piccole magie, schioccando le mani, esattamente come farebbe il fantasma di Alfonso, il Mago Vapore. "Lei", è una protagonista di se stessa, con una famiglia normale, un padre professore, fedele nelle apparenze, ma mobilissimo nella sua vita nascosta. Così, con grande maestria e mestiere, la Lojodice disegna le atmosfere paradossali dell'incontro tra una ragazza di buona famiglia, e uno smidollato allegro, che diverte i bambini con i suoi giochi di prestigio, tra palline che appaiono e scompaiono, uccellini che volano indispettiti e disorientati per la stanza, fino a trovare salvezza nella finestra aperta.
No, Lei, Maria, non riuscirà a volare via dal profondo azzurro degli occhi di Alfonso, che si chiuderanno su di lei come catene invisibili e inscindibili. Allora, sboccerà un amore intenso, che vedrà la sua prima volta in un appartamento-garage in completo disordine, come la vita stessa del suo futuro marito, mente errante in un universo confuso, dove le assenze da casa veleggeranno senza peso, abbandonando con un soffio leggero la mano di Maria, desiderosa di abbracci e di maschili carezze. Poi, galeotto fu il viaggio che li condusse in Spagna, negli anni sessanta, su una moto sempre ansimante, presa a prestito da un amico compiacente. Al ritorno, dolce come la promessa dell'Arcangelo, ecco presentarsi il dono più gradito nella vita di Maria e di Alfonso: un figlio a venire, con il nome di Pietro, atto fondante di un amore che non avrà mai fine.
Al procedere del racconto, gestito con sapienza reciproca da Maria e dal suo fedelissimo uditore, transitano, trascinati come aghi di pino al vento, gli improbabili acquirenti, alcuni appena tratteggiati, altri esaminati in controluce, in base alle loro aspirazioni. Il prete alla ricerca di una grande casa famiglia, per le sue persone abbandonate. Lo straniero e consorte che guardano sgomenti all'amputazione della terra circostante, svenduta all'atto della morte del padre di Maria, per far fronte a debiti inattesi, avuti in eredità. Sogni già sognati, che diventano ancora realtà, grazie al talento di Gabriele, che scopre nel capanno la vecchia moto di Alfonso, mettendo in moto la freccia dei ricordi passati. E poi, via di corsa verso l'ultima parte del racconto, quando Pietro incontra la notte degli Anni di Piombo, attraverso amicizie universitarie che lo portano lontano dalla purezza degli affetti parentali, verso un discorso di odio e di veleni sociali e politici.
Lui, Alfonso, che sapeva inventare parole senza autore, né vocabolario, per descrivere al piccolo Pietro virtù e nomi di uccelli sconosciuti, diviene sempre più piccino, ricurvo nella sua statura di perfetto imperfettibile, fin da quel momento in cui suo figlio, ormai adolescente, entra in sintonia con l'aspra critica di un giovane maleducato, che non aveva per nulla gradito un suo ritratto a penna, improvvisato da Alfonso. La pena rievocativa di Maria, avrà fine solo quando il drammatico epilogo della sua storia d'amore sarà stato svelato per la prima volta al.. Mago Gabriele, consegnando nelle sue braccia tese, solidali e silenziose, le spoglie di Alfonso, per liberarlo verso il paradiso, come un ombrello senza più mano alla guida, che si libra solitario nell'aria luminosa, come in ultimo, ironico gioco di prestigio.
Insomma: uno spettacolo fatto e recitato con il cuore. Da non perdere.
Di Maurizio Bonanno