È tutta questione di… insensibilità
Abbiamo sempre creduto, detto e scritto che l’infanzia è uno dei periodi più
felici della nostra vita.
Forse una
volta, e non sempre ovunque. Certo, ora non più, nemmeno dove crediamo di aver raggiunto un alto e soddisfacente livello esistenziale, riempiendoci la bocca con concetti come “qualità della vita” ed altre simili amenità.
Sia sufficiente leggere quanto emerge da queste
considerazioni.
Molte volte mi è capitato di scrivere quanto sia importante, per la nostra specie, adottare un altro atteggiamento verso la nascita di un individuo e dunque verso la vita in generale, abbandonando comportamenti che ci hanno caratterizzato sino a questo periodo storico mondiale.
Dobbiamo tutti
imparare, urgentemente, che la ricerca del piacere sessuale reciproco non può concludersi con il mettere al mondo dei figli, senza sapere oggi cosa questa decisione comporti.
Mi si dirà che in tutti i tempi è stato difficile allevare ed
educare figli e questo è vero, ma è altrettanto evidente che le condizioni di vita di oggi, in questo mondo definito “a geometria variabile”, il sentimento della precarietà, associato a quello dell’insicurezza professionale, influiscono pesantemente sulla vita quotidiana di una famiglia.
E il tutto nella totale assenza dello
Stato, il quale non si preoccupa minimamente di questo istituto elementare funzionale al benessere dei propri cittadini.
Il risultato
finale, oltre ovviamente ad altre concause che qui non voglio semplicemente elencare, si risolve in una svalutazione del proprio ruolo genitoriale, con la diminuzione dei sentimenti di responsabilità individuale, che procurano una minore coesione all’interno della coppia.
E i bambini sono soli e si sentono
soli, perché vengono anche fisicamente, letteralmente, lasciati soli.
Le cose vanno meglio quando sono presenti i
nonni, che riescono a sostituire la presenza dei genitori, fornendo al bambino un punto di riferimento decisamente importante e vincolante il suo stesso sviluppo mentale, anche se questa sostituzione non andrà mai a colmare la necessità di stabilire un dialogo reale e concreto con i propri genitori.
Stiamo creando una società
futura di individui tristi, egoisti e sempre più irresponsabili verso i rapporti umani, le relazioni affettive e lo facciamo proprio in questo modo, lasciando abbandonati a loro stessi (confortati solo da play station e dalla televisione) i nostri figli.
E loro cresceranno credendo di dover
pensare, sempre in solitudine, a se stessi e al proprio futuro, facendosi largo nel mondo con tutti i mezzi, perché si sono abituati a stare da soli e a trovare in loro stessi l’unica forza possibile per non soccombere, oppure lasciarsi andare e sviluppare così
menefreghismo e frustrazioni. Ecco perché diventa importante scegliere di avere figli, con la certezza che vi saranno conseguenze che andranno a modificare gli obiettivi vitali personali, mentre aumenteranno la circolazione di affetto e di amore all’interno del gruppo famigliare e nella vita di ognuno.
Di
Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della mente