Mag 25
PRIGIONIERI DI NOI STESSI. Di Maurizio Bonanni
Che cos'è un "divieto di avvicinamento"? Perché l'amore grande di una donna può tramutarsi nella paura e nell'allontanamento per via giudiziaria dell'altro, l'uomo con il quale si è avuto un figlio e condiviso innumerevoli gioie e dolori? E, poi: come può il detto "parenti-serpenti" arrivare a spingersi fino a voler distruggere un figlio naturale, nato indesiderato e, come tale, identificato per tutta la sua esistenza come un capro espiatorio? Perché in una famiglia normale, benestante c'è così tanto bisogno di sfogare le proprie frustrazioni sulla presunta pecora nera della famiglia, il brutto anatroccolo su cui concentrare il disprezzo paterno e l'odio viscerale di una sorella adottiva, Consuelo -di evidenti origini brasiliane- che si è vista defraudare del monopolio dell'affetto genitoriale, a causa di quella nascita imprevista?
Il bellissimo racconto dell'Avv. Doriana Martini, dal titolo "Prigionieri di noi stessi", Graus Editore, costruisce una trama complessa, fortemente emotiva e coinvolgente, sulla storia di due nuclei strettamente imparentati, definiti rispettivamente "I giovani e i vecchi Roncorones". La famiglia di tre persone del figlio Saro, con la moglie Linda e il bellissimo figlio Antonello, oggetto di strenua contesa tra nonni e genitori, con i primi che faranno ricorso a colpi proibiti, per giustizia interposta, cercando di ottenere l'affidamento esclusivo del nipote, per supposta indegnità dei suoi genitori naturali. E gli altri, i "vecchi", Matilde ed Ezio. Lui, con una leggera forma di balbuzie, afflitto da un complesso edipico mai risolto con la figlia adottiva Consuelo, risultata sterile a causa di una non meglio specificata malattia. E, allora, è tutto un sovrapporsi di ulceranti analisi psicologiche che, attraverso lo strumento para-giuridico del ripudio paterno, si spingeranno fino all'ipotesi della innaturale sostituzione della paternità di Saro, da parte di Ezio, per consegnare Antonello, nipote amatissimo, alle cure amorevoli di Consuelo.
E Saro, nel suo processo di autodistruzione attraverso l'alcool, si renderà complice inconsapevole di questa strategia che lo allontanerà perfino da una splendida moglie, costringendolo a vedere suo figlio in un luogo protetto, e a fuggire lontano, lontanissimo per provare a liberarsi del suo mostro interiore. Il racconto, davvero coinvolgente, ha un retrogusto autobiografico, dato che la protagonista è un avvocato donna, Livia, penalista e titolare di uno studio ben avviato. È lei che viene catturata nella tela del ragno dei due maschi Roncorones senza, però, lasciarsi emotivamente deprivare dall'inaccettabile realtà che, gradualmente, le si svela e la costringe ad assecondare di malavoglia l'incarico di predisporre il ricorso dei "vecchi", contro la negazione da parte dei "giovani" del loro diritto di nonni di vedere il bambino.
Il tessuto narrativo è intriso di umanità viva, palpitante come un cuore in costante allarme, vigile, speranzoso ed eternamente scosso da tremori e timori in cui Amore, Pentimento, Odio, Vendetta si avvicendano come serventi premurosi nel giorno degli sponsali. E Livia è parte, protagonista e, infine, risolutrice felice e positiva dei giochi dolorosi in cui si intrecciano i fili che annodano le vite e le storie dei personaggi. Le menzogne e le malvagità, in continuo divenire, le trapassano l'anima come i fili dell'ago di una fattucchiera che la scruta arcigna da lontano, dalle spiagge brasiliane di Copacabana, alla luce fioca dei suoi riti magici "Candomblé". Livia è la donna libera, in carriera, profondamente e intimamente vocata all'autorealizzazione di Se, che vorrebbe mettere a tacere quanto di più nobile c'è nell'essere femminile: il concedersi senza difese a chi si ama e accettare l'onere e la felicità del concepimento.
Il suo essere libero corre sui garretti del bellissimo levriero afgano, Boris, che impersona il Buon Selvaggio in cattività, veloce come il vento quando lo si lascia libero di scorrere negli spazi aperti di un parco cittadino. Il grande mestiere della Martini appare in tutte le sue tinte più vivide in corrispondenza della trattazione degli incontri in spazi protetti, con la presenza degli assistenti sociali e nella descrizione, delicata come la piuma di un cigno, di quel ritrovarsi -osservati da estranei- di padre e bimbo, dopo un lungo periodo di decantazione della bufera matrimoniale. Gli spazi delle aule giudiziarie, il ruolo di pubblici ministeri e giudici, tutto è trattato con grande leggerezza, restituendoci un senso della vita e delle istituzioni rapido e veloce come Mercurio quando annuncia la volontà degli Dei agli uomini.
Anche l'impostazione del libro è interessante: i capitoli, tutti molto brevi, sono altamente energetici e densi, talvolta "impersonificati" e sapientemente allineati in successione alla stregua di un testo teatrale, costruito su di un solo atto e più di cinquanta cambi-scena. E, stavolta, statene certi, alla fine vedrete che c'è una.. "Giustizia giusta"!
Di Maurizio Bonanni