Feb 18
SE 7 VI SEMBRAN POCHI.. di Maurizio Bonanni
"7 minuti" appena. Da non confondere con gli "11" di Coelho! Anche se, per la verità, i primi sono altrettanto problematici perché (come per la protagonista del romanzo) si tratta pur sempre di una questione di dignità! Al Teatro Argentina va in scena fino al 21 febbraio lo spettacolo "7 minuti", per la regia di Alessandro Gassmann, con Ottavia Piccolo nella parte di "Bianca", la protagonista. La scenografia (essenziale ed evocatrice) ci presenta l'interno spoglio -con un'ampia parete a vetri sullo sfondo- di uno spogliatoio comune, che funziona da sala riunione del Consiglio di fabbrica di un'industria tessile medio-grande (con circa duecento addetti, esclusivamente donne) della Francia del Nord. L'ambiente è arredato con un grande tavolo a ridosso della grande vetrata, una decina di sedie e vari armadietti metallici fissati alle pareti laterali, per depositare gli effetti privati di operaie e impiegate.
Il Consiglio composto da undici delegate è riunito permanentemente in sessione plenaria. L'attesa è lunga e snervante: la portavoce Bianca è in riunione-fiume da più di tre ore con il nuovo CdA aziendale, a seguito del passaggio di proprietà -del marchio e degli insediamenti produttivi- a un socio straniero, che è il nuovo azionista di maggioranza. Il pathos è quello classico, in questi casi: verranno mantenuti o no gli attuali livelli occupazionali? E, in caso affermativo, a quale prezzo? In attesa dell'undicesima, la Portavoce, otto operaie e due impiegate discutono animatamente del proprio futuro, delle loro speranze e timori. All'incirca un terzo delle delegate presenti è extracomunitaria: una turca, un'africana e una cittadina dell'Europa dell'Est. Le altre, sono originarie di varie regioni della Francia, come viene sottolineato dagli accenti e inflessioni tradotti nei dialetti italianizzati.
Bianca torna con la notizia positiva che tutte attendevano: i livelli occupazionali verranno mantenuti, e l'unica contropartita richiesta dall'azienda alle lavoratrici è la riduzione di circa la metà (sette minuti dei quindici originari) della pausa lavoro giornaliera. All'accordo manca solo la firma delle delegate, tenute a esprimersi con un voto. E qui inizia il dramma vero e proprio. Bianca è l'unica a non mostrare il minimo entusiasmo e si dichiara immediatamente contraria. L'atmosfera si fa gradualmente rovente e liti furibonde si alternano a crisi di pianto. Le ragioni di Bianca sono evidenti: basta una semplice moltiplicazione per capire come quei sette minuti a testa significhino un vantaggio considerevole per la proprietà che, in questo modo, ottiene ben seicento ore di lavoro in più (non pagate!) ogni mese!
La cosa più interessante della pièce è l'oscillazione del pendolo tra favorevoli e contrarie, che passano dalla quasi unanimità al quasi pareggio. Con una ridda di interventi, ribaltamenti di posizione più per empatia che per una condivisione politica piena. Solo Bianca, la più anziana, è in grado di portare quella proposta padronale alle sue conseguenze estreme: cedere sui sette minuti significa aprire una falla comune alla diga dei diritti di tutti i lavoratori, dato che lo schema sarebbe stato puntualmente ereditato e seguito da tutte quelle aziende in procinto di essere ristrutturate o fuse, con notevoli ripercussioni negative sull'occupazione.
Ma il vero "core" della questione è ben altro e riguarda i processi di globalizzazione. Il massivo afflusso di lavoratori stranieri dalle aree economicamente depresse del resto del mondo deprime le tutele sindacali e i livelli salariali ordinari, conquistati in secoli di duri conflitti tra lavoratori e industriali. I nuovi venuti, infatti, sono molto più disponibili ad accettare paghe orarie dimezzate e grande flessibilità nel loro impiego, rispetto ai lavoratori autoctoni, inquadrati e storicamente sindacalizzati. Per di più, le delocalizzazioni industriali e la concorrenza imbattibile delle produzioni asiatiche lascia pochi margini alle lotte sindacali interne per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Quindi, quale sarà la decisione finale? Sospesa, affinché ognuno concluda a modo suo. Tema di grande attualità e impegno che ha visto il coinvolgimento emotivo di tutte le attrici in scena. Di fatto, però, a meno di non volersi rinchiudere autisticamente entro i desueti, soliti confini nazionali, con scelte illiberali e antistoriche, credo proprio che bisognerà trovare tutti assieme dei rimedi veri alle sfide della globalizzazione.. Magari, diventando tutti operai-padroni..
Maurizio Bonanni