Feb 15

E la domenica Giggino si riposò

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E la domenica Giggino si riposò“La Domenica andando alla Messa, compagnata dai miei amatori, mi sorpresero i miei genitori. Monachella mi fecero andar”. Così cantava Gigliola Cinquetti nel 1970. Più di cento anni prima, nel marzo 1861, tale Camillo Benso Conte di Cavour, che certo non frequentava il Festival di Sanremo, nel discorso al Parlamento con cui appoggiò l’ordine del giorno che acclamava Roma capitale d’Italia, pronunciò la famosa frase “Libera Chiesa in libero Stato”. A voler dare ascolto a quanto si percepisce in questi giorni relativamente ad uno strano asse tra i più alti vertici dello Stato che già fu pontificio ed il movimento degli “uno vale uno”, qualcuno potrebbe pensare che sia il caso di riprendere a dire con rinnovato vigore “Libera lo Stato dalla Chiesa”. Io non credo, non voglio credere che il buon Tafazzi, il noto personaggio televisivo vestito con la tuta nera, autolesionista al punto da darsi bottigliate lì dove non batte il sole e sono custoditi i tesori della genetica riproduttiva, abbia preso armi e bagagli e si sia trasferito oltre Tevere permeando di sé e del proprio modus operandi il pensiero, le parole, le opere e le omissioni dei più alti vertici ecclesiali. Sia ben chiaro, e lo scrivo a scanso di equivoci, la vostra cronista non soffre di laicismo, ateismo, agnosticismo, anticlericalismo, tardo illuminismo, comunismo e mi cominciano a mancare le desinenze ma il concetto credo sia più che chiaro. Quindi eviterò di riportare alla memoria argomentazioni su cui si è già ampiamente dissertato. Accuse di pedofilia: lette. Accuse di abusi sessuali: letti, inteso come verbo e non come giaciglio. Scomparse misteriose: lette. Giravolte finanziarie: lette. Ristrutturazioni immobiliari per ministri in toga rossa: lette. Giordano Bruno: bruciato. Ma all’epoca non c’erano le rilevazioni sulla tossicità dei fumi, né le agenzie regionali per la protezione dei danni ambientali e né i dipartimenti di prevenzione. Credo anzi che il 17 febbraio del 1600, data fissata nella calda memoria di Campo de’ Fiori, le Aziende sanitarie locali non fossero state ancora neanche teorizzate e infatti le liste di attesa per i candidati al rogo non erano lunghe né erano oggetto di battaglia politica e di mancata uscita dal commissariamento della sanità. Fino a quel giorno di febbraio il nostro ardente filosofo portava avanti la sua intuizione della originaria unità e infinità del tutto, in cui l’Uno che è Dio, infinito in un solo atto, si riverbera e moltiplica in infinite modalità di esistenza attraverso un processo immanente alla stessa natura divina. Pertanto, sempre a detta dell’infiammabile, ovunque è visibile Dio e la religione consiste nel riconoscere Dio ovunque. Ma se Dio è ovunque, sappiamo che i Pooh ci hanno suonato almeno due volte. Se è ovunque allora è una concezione tipica dell’animismo secondo cui ogni fenomeno dell’universo è dotato di anima e vive una propria vita, anch’essa creduta divina e degna di culto. Si dirà: ma l’animismo è cosa quasi preistorica! E perché secondo voi non è un ritorno alla preistoria anche solo ipotizzare la chiusura dei grossi centri commerciali e degli ipermercati il giorno di domenica? Che poi il giorno domenicale è proprio quello in cui Qualcuno si riposò, è vero, ma certamente non chiese ai nostri politici con le cinque stelle di contribuire a tagliare un centinaio di migliaia di posti di lavoro a causa della stimata perdita dell’importante e vitale fatturato prodotto nel giorno che fu di Pippo Baudo e di Novantesimo minuto. È un tentativo di captatio benevolentiae da parte di Giggino? È un calcolo elettorale per ingraziarsi il voto dei cattolici? E siamo certi che tra i centomila – esagerata – ottantamila – esagerata – che perderanno il lavoro tra occupati diretti ed indotto non ci sono cattolici che perderanno il sostentamento dei figli, la propria dignità umana, la voglia di andare in chiesa e forse anche la fede? Sì, la fede, quella spirituale e magari anche quella che si portava all’anulare prima di portarla al compra oro e rivenderla a 36 euro al grammo, prezzo aggiornato ma soggetto ad oscillazioni brusche come i recentissimi dati elettorali. Voglio continuare ad andare anche la domenica negli ipermercati, girare all’infinito alla ricerca del quasi introvabile parcheggio e poi, sfinita e sfiduciata, andarmene al negozietto aperto proprio per cercare di resistere alla crisi economica. E poi dire “mai più di domenica al centro commerciale”. Ma voglio essere io a dirlo, in autonomia, gestendo al meglio il mio tempo. Non ho mai sentito dire che le case del Signore devono essere aperte solo di domenica nel giorno a Lui consacrato. Ceteris paribus, niente paura per chi non ricorda il latino c’è internet, vorrei non iscrivermi d’ufficio tra quanti ritengono che sia ormai giunta l’ora di liberare la Chiesa dalla sovrastruttura istituzionale. In effetti l’iscrizione potrebbe non servire: andando avanti di questo passo i supermercati saranno chiusi nella sera del dì di festa, chiedendo un prestito a Leopardi, ma anche le Chiese rischieranno di essere vuote come le pance dei nuovi disoccupati. Andiamo in pace e mettiamoci il cuore in pace: vincerà Tafazzi. @vanessaseffer
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Feb 13

Rocco Buttiglione di qua e di là del Tevere

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Rocco Buttiglione di qua e di là del Tevere“Nostalgia canaglia”, per dirla come un autore caro agli italiani almeno quanto la Democrazia cristiana. Un sentimento che impedisce a tanti ancora di immaginare un futuro, rimanendo ancorati ad un passato che di fatto non tornerà più, impedendo anche al Paese e ai suoi abitanti più giovani, i pochi rimasti, di crescere e di emanciparsi, rischiando di sognare un contentino mensile che piuttosto che essere “una misura di politica attiva del lavoro di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale”, potrebbe facilmente diventare un incentivo a restare perennemente col pigiama sul divano di casa e una Playstation in mano. Ne parliamo con Rocco Buttiglione, filosofo, politologo e docente universitario. È stato segretario del Partito popolare italiano (Ppi) nel 1994, e fondatore nel 1995 dei Cristiano democratici uniti (Cdu). Deputato dal 1994 al 2018, parlamentare europeo (1999), due volte ministro (2001-2006) degli Affari europei e della Cultura. Poi, vicepresidente della Camera, dal 2008 al 2013. Ha sempre difeso la dottrina cattolica e fra le sue pubblicazioni, i suoi numerosi articoli, i molteplici inviti a fare relazioni e seminari nelle più prestigiose università d’Europa e del mondo, ha contribuito con il suo interesse per la cultura polacca, a farci conoscere la filosofia di Karol Wojtyla, pubblicando due libri, il secondo dei quali sull’uomo e il lavoro, alla base dell’Enciclica papale “Laborem exercens”. Professore, qual è il pensiero sturziano che si può associare alla fine della Democrazia cristiana? Ho tenuto una relazione ad un convegno organizzato dall’onorevole Rotondi sul primo centenario della fondazione del Partito popolare. C’erano circa 500 democratici cristiani in sala, e io ho detto che per capire Sturzo bisogna applicare un metodo di lettura sintomale. Si tratta di un metodo che legge non quello che c’è scritto ma quello che non c’è scritto. Si legge un testo e ci si aspetta di trovare alcune cose ma invece non ci sono. Immaginiamo di dire l’Ave Maria e manca il Santa Maria. Questo è più significativo che il resto. Cosa c’è quindi che manca in Sturzo? Tutti i cattolici della sua epoca dicevano che bisognava riparare al grave torto fatto al Papa con la distruzione dello Stato Pontificio. Non era possibile fare nulla. Il mondo sarebbe rimasto fermo fin quando non si riparava a questa terribile ingiustizia. Se guardiamo Sturzo, la cosa più importante è che questo lui non lo dice. Esce dal buco in cui stavano tutti i cattolici italiani, apre gli occhi e comincia a parlare dell’Italia, dei problemi che ha il Paese, pur da un punto di vista cattolico. Ma non si fossilizza sulla storia dello Stato Pontificio. Lo Stato Pontificio è finito, a torto o a ragione, perché la Provvidenza ha deciso così. E non esistendo più non ne parla. Sturzo era avanti a tutti per il suo tempo. Sì. E anche adesso bisogna andare avanti. Perché fin quando si continuerà a discutere sulla grave ingiustizia che ha subìto la Democrazia cristiana, sul complotto per causa del quale la Dc è finita, non andremo avanti. Sono tutte questioni importantissime di cui si devono occupare gli storici. I politici si devono occupare del Paese. Se mai in Italia risorgerà qualche cosa legato ai valori della Democrazia cristiana, nascerà quando qualcuno comincerà a guardare da quel punto di vista, non la storia passata ma la storia presente, la storia dell’Italia. Non so quanto questo messaggio sia passato, però ne sono convinto. I politici oggi come si formano, chi li forma? Come possono giovani menti avviarsi alla responsabilità civica e aspirare all’attività politica? È una bella domanda. Io ho l’impressione che giovani ambiziosi inizino a fare politica immaginando di poter accaparrare per sé un frammento di potere. Sono espressione di gruppi familiari nella provincia italiana, ma anche in alcune grandi città sono espressione di gruppi d’interesse. Ma non esiste una classe dirigente animata da una visione del futuro del Paese da una prospettiva di bene per l’Italia. I grandi luoghi di formazione ideali son venuti meno. Erano i partiti. La Democrazia cristiana e il Partito comunista facevano in modo che tanti giovani animati dalla volontà di costruire un futuro migliore cominciassero a fare politica. Con idee sbagliate, talvolta, però non soltanto per il potere e il denaro. Oggi la mia impressione è che il personale politico venga reclutato un po’ a caso, ma che la motivazione fondamentale sia il denaro e il potere. Machiavelli, che era un grande, era un po’ un birbante ma la politica la capiva, nel “Dell’arte della guerra” forse il suo vero capolavoro, fa parlare il Principe Fabrizio Colonna, grande condottiero della sua epoca, che comincia col dire che “la cosa più importante è il reclutamento. Se io potessi avere un esercito fatto di cittadini che sono lì perché costretti da una preoccupazione per il bene comune, potrei fare un certo tipo di cose. Cosa volete che faccia con eserciti fatti di mercenari, ladri, assassini, vagabondi, gente che esercita il mestiere delle armi soltanto perché attratta dalla possibilità di fare rapine”. Ecco, noi abbiamo il problema del reclutamento. Dove si recluta il personale della politica. Chi è che forma? Una volta la Chiesa formava l’élite politica della Democrazia cristiana. Con la Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), con Papa Montini e Igino Righetti, si ebbe la migliore élite cattolica italiana. Da lì sono venuti fuori Andreotti, Moro e tanti altri. Oggi i cattolici non hanno luoghi di formazione. O hanno paura della politica o fanno corsi di formazione politica che poi alla fine non lo sono, perché la politica si impara facendola. Il vero luogo di formazione è il partito. I partiti non ci sono più, forse hanno meritato di morire perché erano corrotti. Però senza partiti la democrazia non può funzionare e non c’è il luogo di formazione alla politica. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco I. Come sono stati e come sono cambiati i nostri politici durante questi tre papati? Questi tre papati hanno un elemento in comune: sono tutti papati che hanno avuto una fortissima dimensione mondiale e l’Italia ha smesso di essere il centro del mondo. Perché nessuno di loro è italiano? Certo. E tutti e tre hanno una visione mondiale e non pensano che l’Italia sia l’ombelico del mondo e nemmeno della Chiesa cattolica. Tenga presente che oggi forse il 40 per cento dei cattolici vive in America Latina, in Europa e Stati Uniti. Forse un   terzo vive in Africa, un sesto in Asia. Mentre in Africa e in Asia stiamo crescendo con ritmi straordinari, in Europa no. E l’Europa diventa sempre più piccola nel mondo. Allora è normale che la Chiesa debba essere più cattolica secondo la dimensione della totalità. Professore, vuol dire che il cattolicesimo è una religione che appartiene ai poveri? Anche. Perché certamente noi parliamo dei poveri. Non Ratzinger, ma Wojtyla e Bergoglio vengono da Paesi poveri. Hanno vissuto l’umiliazione della povertà dell’oppressione, tutte le cose terribili che la povertà porta con sé, delinquenza, fame, guerra civile, e portano dentro di sé questo tipo di sensibilità. Paolo VI fece una cosa straordinaria: lui che veniva da un mondo ricco, chiese di convertire la Chiesa ai poveri. Però lui rimaneva uno di noi, i suoi successori no. Wojtyla era espressione di un’altra povertà, diversa da quella del mondo occidentale. Peggiore, ma comunque diversa. Bergoglio è l’espressione della povertà del mondo occidentale. Ci guarda con gli occhi con cui ci guardano quelli dei Paesi più poveri e che noi non vogliamo vedere. Papa Bergoglio ha detto che dobbiamo accogliere tutti perché è bene aprirsi agli altri. Quando lo ha detto c’era un governo di sinistra che ha accolto di buon grado le sue parole e da lì sembra essere partito un flusso di accoglienza infinito e inarrestabile, in nome di questo bene e che forse in suo nome ne ha approfittato. Davvero? Io ho l’impressione che il messaggio del Papa sia stato deformato. Francesco ha anche detto che bisogna accogliere quelli che si è in grado di integrare. Ha detto anche un’altra cosa: se volete contenere l’immigrazione dovete dare forza al diritto di non emigrare. Il diritto di non emigrare è qualcosa a cui dai forza se tu sostieni con energia lo sviluppo, la formazione di posti di lavoro nei Paesi d’origine dell’emigrazione. Per la verità questo lo aveva detto anche Giovanni Paolo II. Questo era il tema del mio programma come vicepresidente della Commissione europea. Poi, al Parlamento europeo non gliene fregava niente di questo e si interessavano invece delle opinioni private sulla moralità o immoralità dell’omosessualità e di immigrazione non si parlò più. Tu non puoi avere una politica dell’immigrazione ragionevole da sola. Cosa fai li ammazzi tutti? Li fai venire tutti? Che fai? La politica dell’immigrazione ha senso solo dentro una politica di vicinato. Quando in Europa comandavano i democristiani veri, cioè quando comandava Helmut Kohl, noi avevamo un progetto per questo. Nel 2000 è stato fatto un Consiglio europeo e si delineò un grande programma. Bisognava costruire una grande infrastruttura che andasse da Marrakech fino al Cairo ad abbattere le barriere doganali, per aiutare la transizione democratica in quei Paesi, in modo da poter investire con delle élite politiche e locali capaci di poter gestire lo sviluppo. Poi, dopo andò al potere un altro tipo di politici e tutte queste cose sono state dimenticate. In Europa si è parlato di “Europa dei diritti” senza capire che i diritti si concretizzano dentro ad un progetto, non da soli. Non abbiamo avuto una politica di vicinato, abbiamo lasciato che il Nord Africa decadesse, non abbiamo sostenuto lo sviluppo dei Paesi dell’Africa Sud-Sahariana, e abbiamo creato tutte le condizioni per attivare enormi flussi migratori che non sappiamo come contenere. Perché non ha potuto occuparsene Papa Benedetto XVI? Perché abbiamo perso. Quando dico noi penso al grande movimento suscitato da Giovanni Paolo II, dal punto di vista spirituale e culturale, e a quello che un gruppo di politici attorno a Helmut Kohl ha fatto sull’onda di quel grande movimento. Abbiamo fatto la difesa della Germania, abbiamo creato sistemi di economia funzionante nei Paesi distrutti dal comunismo, abbiamo creato Stati di diritto, abbiamo, in qualche modo, riunificato l’Europa e poi siamo stati sconfitti. Il lavoro è rimasto a metà. Volevamo un’Europa politica e non l’abbiamo avuta. Tutti parlano contro l’Europa, ma l’Europa non esiste. L’Europa è un palazzo bellissimo senza il tetto. È ovvio che quando le cose vanno male ci piove dentro e tutto va in rovina. Non ha poteri reali. L’accusano di imporre, ma non impone niente, perché non ha alcun potere reale. Bisognerebbe completare il progetto europeo. I popoli sono rimasti senza sovranità. Il popolo italiano è troppo piccolo per essere sovrano, circondato da realtà molto più potenti: la Cina, l’India, gli Stati Uniti, la Russia. Da soli non siamo sovrani. La sovranità europea non è nata. Allora in Europa dominano le burocrazie che sono il risultato della morte della politica. E questo nuovo connubio Francia e Germania siglato ad Aquisgrana il 22 gennaio scorso? Speriamo che funzioni. Ne dubito. Secondo me ci vorrebbe una spinta culturale, prima ancora che politica, molto più forte. Vedo invece che tutti hanno paura della globalizzazione e si accaniscono contro l’Europa, senza capire che l’Europa è la difesa dalla globalizzazione, non è la causa dei problemi della globalizzazione, altrimenti la governeranno gli altri. Il mondo di domani verrà governato da grandi aggregazioni di potere. Gli Stati Uniti ci saranno sicuramente, magari non saranno soli come sono stati per un lungo periodo. Forse ci sarà la Russia, io ho qualche dubbio ma è probabile. Sicuramente ci sarà la Cina e l’India, forse il Brasile. Nessun Paese europeo da solo ci sarà. Il mondo arabo? Anche i musulmani sono una preoccupazione diffusa in Europa e nel nostro Paese. I musulmani non sono un problema, il problema sono i cristiani. Se i cristiani avessero valori forti, se credessero in sé stessi, se amassero l’Italia, se amassero l’Europa, sarebbe tutto diverso. Se noi italiani avessimo una cultura e non avessimo un odio per la nostra cultura, l’odio dell’Italia per sé stessa, non avremmo paura di qualche milione di musulmani che arrivano in Europa e sapremmo fare una cosa che loro accetterebbero volentieri: gli daremmo delle regole. Diremmo queste sono le nostre regole. Se volete stare qui dovete accettarle e non ne faremmo arrivare così tanti, perché attiveremmo politiche di vicinato, le quali consentirebbero a quella gente di trovare un lavoro al paese loro. Perché pensiamo che sia divertente lasciare la propria casa, la propria lingua, il proprio Paese, la propria cultura e trapiantarsi in un mondo totalmente diverso, magari arrivando con una barca e rischiando la pelle nelle acque del Mediterraneo? Se lo fanno è perché sono sotto una spinta potentissima che noi potremmo allentare e cresceremmo anche noi economicamente, perché se crescono questi Paesi cresce anche l’Italia. Verrebbero a comprare da noi la conoscenza, il know-how, le tecnologie avanzate di cui hanno bisogno per crescere. Gli Stati Uniti ebbero un gesto di intelligente generosità: ci prestarono un sacco di soldi per ricostruire la nostra economia. Noi ci siamo rimessi in piedi, siamo cresciuti. Così siamo diventati grandi clienti degli Stati Uniti e gli Stati Uniti hanno avuto un boom economico, perché noi con i soldi degli americani abbiamo rimesso in piedi le nostre industrie e abbiamo cominciato a comprare prodotti americani. Professore, so che ha confidato ad Arafat quella frase sturziana che ha detto ai democratici cristiani. Sì. Che il mondo arabo ha una forma di ossessione e che nulla potrà essere fatto fin quando non avremo rimediato all’ingiustizia commessa contro il popolo palestinese. Questo li ha bloccati per settant’anni. Quello che è successo in Palestina nel 1948 sarà stata un’ingiustizia. Gli arabi hanno avuto molte colpe, ma comunque è successo. Immaginate cosa sarebbe l’Italia oggi se De Gasperi avesse fatto dei grandi campi di profughi al confine con la Jugoslavia e avesse detto che nessun problema dell’Italia si poteva risolvere prima di avere rimediato all’ingiustizia storica dell’annessione alla Jugoslavia dell’Istria e della Dalmazia. Dove saremmo? Avremmo fatto una mezza dozzina di guerre con la Jugoslavia, avremmo fatto da detonatore per una possibile Terza guerra mondiale e i profughi istriani invece di essere pacificamente inseriti e con grande successo perlopiù dell’economia italiana, morirebbero di fame. Cosa ha detto Arafat? Che forse avevo ragione, ma che ormai era troppo tardi. La nostra società sembra essere impazzita. Nessuno ha più rispetto per l’altro, per le regole, per l’autorevolezza della conoscenza, per i valori dei nostri avi. Sembra che più scorra il tempo più ci stiamo abbrutendo, non abbiamo molti esempi positivi, dove stiamo andando? Diceva Norberto Bobbio che il più grande nemico della democrazia è l’eccesso di democrazia. Perché la democrazia è il miglior metodo per gestire una comunità politica. Tutti paghiamo le tasse, tutti corriamo i rischi di possibili guerre, così abbiamo il diritto di dire la nostra. Ma l’idea di “democratizzare” la società è un’idea stupida perché ci sono ambiti che non possono essere retti con metodo democratico. L’università per esempio, è una democrazia ristretta. A sapere chi dei giovani merita di diventare dottore e chi no sono quelli che fanno i professori universitari. A sapere chi possono diventare professori ordinari possono essere quelli che sono già professori ordinari. Certo, a volte, fanno un uso vergognoso di questo privilegio, allora verrebbero richiamati, ma mai accettando il principio che chiunque può ficcare il naso. Adesso abbiamo dei giudici, dei pretori che pretendono di saperne più della comunità scientifica internazionale sulla Xylella fastidiosa in Puglia, provocando gravi danni all’economia pugliese, perché hanno ritardato l’applicazione di misure che tutta la comunità scientifica unanimemente raccomandava. Adesso abbiamo qualche giudice che pretende di saperne più dei medici per quello che riguarda la tutela della salute e cerca di imporre delle terapie che tutta la comunità scientifica unanimemente condanna. Può sbagliare tutta la comunità scientifica? Certo che può sbagliare. Ogni tanto qualche scienziato rivoluzionario scopre e afferma qualche teoria che manda in pensione buona parte del sapere precedente. Ma di nuovo, a giudicare su di lui, possono essere soltanto i competenti, non si fanno i referendum sulle scoperte scientifiche. Invece adesso sì. Perché è caduta l’autorità della verità. Benedetto XVI aveva messo in guardia contro il relativismo morale. Io, una volta gli ho detto che più pericoloso del relativismo morale è il relativismo cognitivo. Non che si affermano verità diverse sulla morale, non solo, ormai si affermano “verità” non provate, senza l’onere della dimostrazione, negli ambiti più diversi. È stato divertente un episodio: c’era Padoan in tivù. Si può pensare ciò che si vuole di Padoan come politico, ma come tecnico sa quello che dice. C’era una giovane esponente del governo attuale che lo contraddiceva sistematicamente e Padoan aveva difficoltà a rispondere perché se una come la signora non ha le basi minime di competenza per capire un ragionamento di economia per rispondere, bisognerebbe cominciare a parlare come si fa con uno studente di primo anno di università, ma non puoi permetterti nel poco tempo televisivo a disposizione di fare un corso universitario per spiegarle l’abc dell’economia e davanti al popolo l’incompetente spesso sembra più convincente del competente. Leonardo Sciascia ha scritto un libro bellissimo, il suo vero capolavoro secondo me, “Il Consiglio d’Egitto”, che racconta una storia vera: alla fine del secolo XVIII una nave saracena naufraga vicino a Palermo e a bordo c’è un ambasciatore inviato dal re di Tunisi al re di Francia e il viceré di Palermo lo accoglie. Ma nessuno conosce l’arabo. Allora, trovano un prete maltese, Don Vella che non conosce l’arabo ma sa il dialetto maltese che con l’arabo sono parenti e quindi un poco s’intende con l’ambasciatore, lo accompagna, gli fa da chaperon. Quando l’ambasciatore riparte, regala a Don Vella un libro. Dopo un po’ il prete dice che quel libro è una copia delle originarie costituzioni del Regno di Sicilia. C’era il viceré Caracciolo che tentava una grande riforma, abbattendo il potere dei baroni e dando tutto il potere alla corona, e si appoggiava all’idea che le antiche leggi di Sicilia erano quelle di una monarchia assoluta: il re era tutto e i baroni erano niente. Invece, dal libro di Don Vella risultava che il re era un primus inter pares, non ha il diritto di togliere ai baroni le loro prerogative. Tutta la nobiltà siciliana è compatta intorno a Don Vella. Allora Caracciolo, che ha fiutato l’imbroglio, fa venire uno studioso tedesco che sa l’arabo e fanno il confronto aperto davanti al popolo palermitano. E lo fanno aprendo a caso il libro e chiedendo di tradurre una pagina a caso all’uno e all’altro. Don Vella preciso ripete perché ha imparato tutto a memoria. Il tedesco capisce che in realtà quella è una normale copia del Corano e come fanno tutti quelli che leggono un libro straniero per la prima volta ogni tanto s’intoppano, si correggono, così il popolo decreta il trionfo di Don Vella. Se si pensa di poter giudicare senza studio finisce sempre così. Nella nostra società siamo entrati in una fase regressiva. Ciclicamente si giunge a situazioni di decadenza sociale e culturale come queste, da cui si viene fuori con guerre o pestilenze. Vedremo. Nell’immediato è il compito dei benedettini mantenere almeno in alcune realtà, magari limitate, la grande cultura che adesso viene abbandonata e quindi il metodo scientifico. Quindi l’abitudine a giudicare secondo la logica, ad accertare la verità dei fatti prima di arrivare a delle facili conclusioni, il metodo critico. Ne avremo inevitabilmente bisogno. Siamo in pace da oltre settant’anni. Ci si annoia della pace? Quando ci si dimentica quanto è terribile la guerra allora ci si annoia della pace. Questa nuova realtà comincia in Europa quando va al potere una generazione che non si ricorda quanto è brutta la guerra. @vanessaseffer
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Feb 12

Umanità ai margini

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Unità ai marginiCorreva l’anno 1979 e gli italiani rimasero inorriditi alla notizia che un somalo senza dimora era stato bruciato vivo a Roma da alcuni ragazzi annoiati sotto il portico di via della Pace. Notizia cruda, uno shock, un pugno nello stomaco ed uno schiaffo alle coscienze di connazionali che non avrebbero mai potuto immaginare che molti anni dopo avrebbero avuto modo di assistere ai video choc dell’Isis con soldati nemici trasformati in torce umane.Eppure il 1979, tanto per rimanere in tema, era l’anno in cui usciva nelle sale Apocalypse Now: ma era un’altra guerra, un altro fronte, e magari a molti, nel film, appariva indistinto il confine tra buoni e cattivi. Il 1979 era anche anche l’anno in cui nascevano Rai 3 e Roberto Saviano, ma garantisco che il collegamento è solo temporale, o almeno spero. Nasceva Valentino Rossi e i Pink Floyd pubblicavano The Wall e qui la cronista si pone in deferente e grata riconoscenza. Neo fascisti ed estremisti di sinistra si prestavano ad essere drammaticamente tiro a bersaglio gli uni contro gli altri; il centesimo anniversario della nascita di Albert Einstein veniva ricordato con toni non enfatici, e la vittoria elettorale dei conservatori in Gran Bretagna portava Margaret Thatcher a diventare il primo politico di genere femminile ad occupare la carica di Primo Ministro. La Democrazia Cristiana, ripeto la Democrazia Cristiana e sembra preistoria, correva col suo 38,3% alle politiche, anticipate tanto per cambiare, ed una delle due squadre di Milano vinceva lo scudetto: in questo caso, in effetti, un tempo davvero molto lontano. Avellino, gennaio 2007, a morire ustionato era stato un senzatetto di origine polacca che aveva trovato rifugio nella zona del Mercatone. Rimini, novembre 2008. Arrestati e reo confessi quattro ragazzi, tutti ventenni, fermati dalla polizia per aver dato fuoco ad un clochard mentre riposava su una panchina. Avellino, novembre 2017, dieci anni dopo il tragico episodio del Mercatone, ecco scatenarsi nello stesso luogo la violenza in tutta la sua barbarie. Oleg un 40enne di nazionalità ucraina, riportava multiple ustioni, fortunatamente non mortali: in tre gli avevano lanciato contro una bottiglia incendiaria piena di benzina.Tutto sarebbe nato per un “gioco” di alcuni adolescenti. Palermo, marzo 2017. Bruciato vivo un clochard mentre dormiva su un marciapiede davanti al ricovero dei Cappuccini. Verona, dicembre 2017. Clochard marocchino di 64 anni bruciato vivo nella automobile che rappresentava anche la sua dimora. Palermo, dicembre 2018, Aid “Aldo” Abdellah clochard molto conosciuto dagli abitanti e dai negozianti di piazza Ungheria, ucciso da un sedicenne e un dodicenne rom per rubargli un telefonino. Di lui rimane l’inseparabile amico gatto rosso Helios.  Nessuna condanna per gli adolescenti responsabili della morte. Hanno ucciso per gioco o per noia, hanno ucciso in modo orribile ma, perché c’è sempre un “ma”, al momento del delitto, uno aveva 12 anni e quindi non era imputabile, l’altro ne aveva 16 e quindi il Tribunale dei Minori ha concesso a quest’ultimo la messa in prova per tre anni ovvero l’affidamento in comunità, l ‘obbligo di svolgere lavori socialmente utili e di sottoporsi a psicoterapia, senza dunque trascorrere un giorno in carcere. Notizia anche questa cruda: ma dove sono finiti, quasi quaranta anni dopo, lo shock, il pugno nello stomaco e lo schiaffo alle coscienze dei connazionali? Accantonati a fronte del flusso inarrestabile dei migranti? Superati dal nuovo sentire sociale in stile “fai da te” per difendere se stessi, i propri familiari e le proprie cose? Minimizzati dalla necessità di difendersi dall’invasione non silenziosa e non regolamentata dei trasportati da canotti e Ong “senza fini di lucro”? Dimenticati alla luce delle azioni di chi sa parlare alla “pancia” degli italiani? Comunque sia sono azioni orribili e dovremmo chiederci se è anche colpa di noi madri e padri, della nostra incapacità di investire nel presente oltre che nel futuro dei nostri figli, di dedicare loro tempo e amore senza identificare in loro il prossimo rapper o calciatore o starlette fabbrica soldi. Gioventù da aiutare ma anche da non lasciare impunita di fronte al massacro dei valori e di altri esseri umani. @vanessaseffer
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Feb 11

Un sabato molto speciale a Piazza San Giovanni

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Centomila? Duecentomila? Il balletto delle cifre lasciamolo alle comunicazioni ufficiali della Questura, oppure alle note enfatiche dei sindacati oppure anche, ma si dai, a quanto diranno i detrattori governativi. Resta il fatto che l’Italia che difende il lavoro, che cerca il lavoro, che vuole tenerselo il più a lungo possibile era presente nella testa di quanti oggi, in una splendida e soleggiata Roma, hanno sfilato in corteo per raggiungere la storica Piazza San Giovanni aderendo alla manifestazione di Cgil, Cisl e Uil. Colori allegri, qualche battuta, la colazione insieme, volti sorridenti che non riuscivano a nascondere la grande stanchezza di un lungo viaggio. Striscioni e bandiere dal Friuli alla Sicilia. Giovani e anziani, uomini e donne in casacche coi colori che erano qualcosa in più, molto di più di un segno di appartenenza. Un segno di orgoglio in un Paese dove la politica è diventato un talk show urlato o un click cibernetico su qualche tastiera di qualche piattaforma. Alcuni volti noti, una Camusso finalmente rilassata e felice tra la sua gente che la stringeva, disponibile a fare selfie e ad abbandonarsi ai complimenti di tanti anche con i colori delle bandiere bianco-verdi e blu. Tanti i volti sconosciuti. Gente che tira avanti per arrivare a fine mese, famiglie coi bambini. Un clima anche allegro, nessuno slogan urlato a manifestare una rabbia che eppure potrebbe forse avere ragione di esistere nel vuoto di idee e nel pieno di proclami e di promesse. “Rieccoli i sindacalisti. Ho trent’anni e mio nonno mi ha detto che i sindacati hanno rovinato l’Italia”. Inutile spiegare al giovane e gentile commesso di un negozio, dove la vostra cronista era entrata un attimo a ristorarsi, che magari i sindacati pur tra mille colpe hanno avuto il merito di tenere unito il Paese in momenti difficili che non riusciamo a dimenticare. Magari senza i sindacati non ci sarebbe democrazia. Poi intendiamoci, anche in una fase storica in cui “uno vale uno”, inizia a contarne centomila o duecentomila e poi vediamo quando finisce la conta. @vanessaseffer Da Sanità Online News
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Feb 11

Regionalismo differenziato. Cittadini di serie A, B e C?

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Ci siamo, di nuovo; oppure – usando un’espressione romanesca – ci “facciamo”? Vogliamo davvero, dopo aver portato il SSN sul ciglio del burrone, assestare la spinta definitiva e far precipitare milioni e milioni di cittadini in una situazione di abbandono? Si, perché non ci sembra di esagerare se così definiamo il quadro che si sta lentamente ma – pare – inesorabilmente venendo a creare per la salute degli italiani. E quando scriviamo “italiani” forse stiamo scrivendo qualcosa di obsoleto, poiché ce ne sono e ce ne saranno di diverse tipologie, ancor più di adesso… Persone che – senza alcuna responsabilità diretta, se non essere residenti in una regione piuttosto che in un’altra, magari a pochi km. di distanza – si comportano da cittadini onesti, pagano le tasse e… ottengono meno. Tutto questo a prescindere da qualsiasi motivazione che non sia quella geografica, territoriale! Se infatti si lasciasse passare sotto silenzio il tentativo di “smantellare” lo stato sociale con una autonomia amministrativa spinta, come nel caso delle maggiori autonomie accordate ad alcune regioni (che sono state da due illustri giuristi appropriatamente disegnate come in procinto di avere potestà persino maggiori e più ampie di quelle “a statuto speciale”), occorre riflettere seriamente su cosa – in breve tempo – potrebbe accadere allo Stato, nell’accezione più stringente. nel suo complesso. Si, perché le proposte di maggiore autonomia asseverate dal governo presieduto dall’on. Gentiloni parlano anche di maggiori titolarità nei rapporti di lavoro e financo nei rapporti con le istituzioni europee e quindi la politica estera… Ci rendiamo davvero bene conto di cosa stiamo rischiando? A stento riusciremmo ad accettare che le regioni abbiano potestà su ambiente e tutela del territorio, perché – se da un lato è ovvio che vi sia localmente una maggiore conoscenza - è anche inconfutabilmente vero che l’ambiente in se’ rappresenta e deve rappresentare un “unicum”, il biglietto da visita dell’Italia intera, e non di parti di essa. Allo scopo è emblematico il luttuoso ricordo di Chernobyl, quando la nube tossica non ebbe certo riguardo alcuno per le nazioni più diligenti in tema di salvaguardia dell’ambiente. Ecco…cosa vogliamo fare, in Italia? I cittadini delle regioni senza particolari autonomie, ma che pagano puntualmente le tasse, devono essere penalizzati e “godere” di una redistribuzione delle sempre più scarne risorse a disposizione, dopo che le ragioni più ricche (e che si ritengono anche le più brave) hanno trattenuto il 90% del gettito di riferimento dalle casse dello Stato italiano. In parole molto povere: io pago le tasse come tutti e – poiché risiedo in una regione meno “brava” - ricevo un trattamento peggiore? Stiamo scherzando? Non sono un cittadino italiano? C’è una serie A, una B, una C, come nel calcio? La “N” finale di SSN significa…cosa? Negligente? Neghittoso? Nullatenente? Ci domandiamo se la Costituzione sia ancora osservata nella pienezza delle sue previsioni e non soltanto per sfruttare alcune “pieghe” nei suoi dettati. Non è neppure immaginabile il danno che deriverebbe dall’adozione di misure parcellizzanti, al di là delle sacrosante affermazioni dei giuristi sopra richiamati, che intelligentemente fanno notare come il mancato mantenimento preter-decennale degli accordi causerebbe un collasso pressoché certo delle nuove situazioni venutesi a creare, oltre a richiedere pressoché in sincrono una maggiore autonomia delle regioni a statuto speciale, che si vedrebbero persino superate nella loro attuale condizione che fino ad oggi le distingueva. La CISL Medici ribadisce la propria totale contrarietà ad uno “spezzatino” di competenze e trattamenti, a questo sempre più concreto smantellamento dello stato sociale, e – come in passato – lotterà con ogni possibile mezzo per contrastare queste spinte che si definiscono “autonomiste” ma si rivelano solo come egoiste. Dott. Biagio Papotto Segretario Generale della Cisl Medici Da QS
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Feb 09

Anche Cisl Medici alla manifestazione nazionale unitaria CGIL CISL UIL #FuturoalLavoro

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Anche la Cisl Medici aderisce alla manifestazione nazionale unitaria che vede CGIL CISL e UIL sfilare in corteo da piazza della Repubblica a Roma a Piazza San Giovanni in Laterano, il 9 febbraio 2019 alle ore 9, per #FuturoalLavoro . in relazione all’irrigidimento dell’applicazione delle nuove norme di sicurezza non potrà essere utilizzate piazza del Popolo. L’appuntamento è a Piazza San Giovanni. L’esigenza di un cambio della piazza si è avvertita per la grande affluenza prevista alla manifestazione. Se ciò da una parte è motivo di orgoglio per la grande adesione è soprattutto motivo di ulteriore impegno per aumentare ancora di più gli sforzi di partecipazione essendo questa piazza più capiente. Confermato d il concentramento dei manifestanti in Piazza della Repubblica alle ore 9.00 ed il successivo corteo che raggiungerà Piazza San Giovanni per il comizio conclusivo dei Segretari Generali Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Vanessa Seffer Da Sanità Online News
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Feb 07

Second Opinion: questione di sfiducia o diritto personale?

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Che esistesse la Sindrome di Babele del web probabilmente non me ne sarei mai accorta se non avessi dovuto aiutare una signora a navigare in rete alla ricerca di un medico specialista che fornisse alla mia amica una diagnosi ed una terapia preferibilmente in linea con le aspettative della stessa. Quindi, passando attraverso siti che si sono rivelati autentici capolavori di marketing, mi sono imbattuta nel Network di consultazioni mediche trasversali del secondo parere, attivato presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Gli obiettivi sono: • agevolare la necessità di orientamento ed indirizzo sulla salute e il counseling diagnostico-terapeutico del paziente non soddisfatto della offerta curativa nei suoi confronti; • ottimizzare il rapporto costo/beneficio della diagnosi e della cura, • ridurre i tempi di malattia e/o invalidità, • ottimizzare la qualità della vita, • conseguire qualora possibile la guarigione; Ed allora ecco che tralasciata e messa da parte la mia amica – in fondo se ci si occupa di sanità il rischio è anche quello di uniformarsi a qualche andazzo non proprio edificante – mi sono messa a cercare le fonti. Il secondo parere, definito nel mondo anglosassone come second opinion, non è un concetto recente, ma risale agli anni ‘70 quando, soprattutto negli ospedali americani, veniva richiesto con la finalità di diminuire i costi di esercizio (assicurativo-privato) della salute dei pazienti, migliorando l’obiettivo diagnostico e terapeutico allo scopo di ridurre, laddove possibile, i tempi di guarigione. In origine dunque il secondo parere rappresentava una funzione nata all’interno di strutture ospedaliere complesse per facilitare una migliore integrazione tra differenti pareri clinici e competenze specialistiche con il fine ultimo di favorire il miglioramento di prestazioni e risultati clinici, inclusa la soddisfazione del paziente ovvero la customer satisfaction. Ma tutto questo è noto a noi accanite fans dei serial televisivi sul mondo della sanità made in USA a cominciare da ER, passando per il Dottor House e finendo per approdare a Greys Anatomy. Ovviamente non mi riferisco ad alcuni bellissimi attori – concedete alla povera autrice di questo articolo una vezzosa piccola bugia – bensì al ruolo di quei grandi medici specialisti, i consultant, che attraversavano il continente americano coast to coast per portare il proprio sapere al capezzale di un malato ricoverato in un altro ospedale. Nel nostro Paese la Sindrome di Babele del web, che può essere definita come la ricerca ossessiva in rete internet da parte di soggetti affetti da qualsiasi tipo di patologia, che eccedono nel tentativo di conseguire informazioni utili circa medici, caregivers, strumentazioni diagnostico-terapeutiche e strategie di cura, appare come una degenerazione dell’esperienza statunitense. Ma è proprio così? Il paziente ed i suoi familiari sono alla spasmodica ricerca sul web di una cura miracolosa, magari spinti dalla sfiducia nei confronti del medico curante, oppure stanno semplicemente cercando di soddisfare il proprio diritto di chiedere informazioni chiare ed esaurienti sulle sue condizioni di salute e anche una seconda opinione da parte di un medico diverso, sia all’interno della struttura, sia all’esterno di essa avvalendosi appunto di un consulente esterno all’organizzazione aziendale? Il quesito non è di poco conto perché la problematica presenta diverse sfaccettature come fosse un cubo di Rubik. Nelle patologie a prognosi infausta, come quelle oncologiche e degenerative, laddove l’emotività e la speranza di guarigione giocano un ruolo determinante e purtroppo anche fuorviante nella serenità delle scelte, il tema della richiesta del secondo parere si intercala tra sfiducia nei curanti e bisogno di vedere soddisfatte le aspettative del paziente, moderandone le ansie. Le indicazioni al secondo parere, in oncologia, possono: i tumori rari per i quali è spesso indicata una terapia assai complessa, le condizioni di scarsa e inadeguata comunicazione con i pazienti, la disponibilità a fruire di nuovi farmaci in centri selettivamente specializzati e qualificati, ed infine la incapacità del paziente di accettare un verdetto di inguaribilità. La seconda opinione richiesta in virtù di elevati livelli di ansia, di precedenti esperienze negative, di scarsi risultati a seguito delle terapie eseguite, appare sempre rispettosa dei diritti del malato e della deontologia medica e non deve apparire né essere interpretabile come una sorta di mancanza di fiducia o di messa in discussione delle prerogative e delle capacità professionali di altri colleghi. Quando la stampa riporta in maniera frettolosa e a volte superficiale notizie di errori medici, il clima generale del rapporto fiduciario tra il clinico ed il paziente tende ad un peggioramento e aumenta il rischio di una catena di eventi caratteristici della disinformazione. Uno dei rischi che ne consegue è proprio quello di determinare un eccesso di aspettative, magari innescate da forme non autentiche e fin anche truffaldine di pubblicità e di pseudoinformazione scientifica divulgativa, che portano alla richiesta del secondo parere, il cui rischio è però di generare ulteriori illusioni, assecondando la speranza dei malati verso traguardi di guarigione del tutto privi di concreta realtà. @vanessaseffer Da Off-IlGiornale.it
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Feb 04

In puero homo

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In puero homoA ripensare oggi ad un fatto di cronaca avvenuto un anno fa c'è da averne i brividi: un maestro era stato arrestato in una città del Paese per abusi sessuali nei confronti delle sue giovanissime allieve. Un atroce incubo per le bimbe, tutte di età compresa tra i 3 e i 5 anni, che secondo l'accusa venivano forzate a subire ripetuti atti di molestie sessuali durante l'orario scolastico. L'uomo era stato fermato dai Carabinieri e portato in carcere a disposizione dell'Autorità Giudiziaria. Il provvedimento restrittivo si basava sulle risultanze delle indagini investigative dei Carabinieri, a seguito delle denunce presentate da parte di diversi genitori preoccupati di quanto raccontavano le bimbe al rientro dalla scuola. A dare consistenza oggettiva alle indagini, le risultanze emerse da alcune telecamere installate nella scuola. Per garantismo e per il rispetto che si deve alle bimbe, ai genitori, alla Magistratura e anche al sospetto autore di questi abusi, la notizia di cronaca è priva di riferimenti temporali e di luogo. D'altronde non è la cronaca, seppure squallidamente dirompente per il contenuto, ad essere oggetto di questa nota. L'insegnante, di scuola materna e di scuola elementare, rappresenta sicuramente, insieme ai genitori, la figura adulta più importante per un bambino che trascorre gran parte della giornata a scuola. Un insegnante capace, attento, che ama il proprio lavoro, dovrebbe avere una conoscenza importante dei bimbi che gli sono affidati e dovrebbe possedere una sensibilità tale da portarlo a riconoscere alcuni segnali di allarme quali i cambiamenti di comportamento. Purtroppo la cronaca ci fornisce ormai con troppa frequenza un dato incontrovertibile, ovvero il moltiplicarsi di casi in cui sono proprio i maestri ad essere accusati di abusi e/o maltrattamenti nei confronti dei propri alunni. In alcuni casi l'aberrazione è tale che le accuse sono di abuso collettivo. La Commissione Affari Costituzionali del Senato, in relazione all'esame in sede referente dei disegni di legge nn. 897 e connessi ("Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo in materia di formazione del personale") ha audito nei giorni scorsi le Organizzazioni Sindacali della Scuola e della Funzione Pubblica. Il tema ha un grande impatto sociale e turba la coscienza collettiva. Ben vengano le azioni volte a prevenire forme di maltrattamenti o abusi. La discussione scaturita in audizione non si è limitata alla proposta di introdurre sistemi di videosorveglianza, ma ha toccato temi non secondari quali la valutazione delle condizioni di benessere o non benessere organizzativo in cui gli operatori dei servizi educativi e delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie si trovano a svolgere le proprie attività lavorative. In relazione al tema specifico dell'introduzione dei sistemi di videosorveglianza sono stati richiamati, in linea anche con quanto contestualmente espresso dal Garante della privacy, i principi di necessità e proporzionalità. Il rischio paventato è che l'uso di mezzi per definizione invasivi possa determinare compromissione dei meccanismi di fiducia. Il garantismo però in questo caso dovrebbe cedere il passo alla necessità imperativa di tutelare il minore, che non può difendersi, e una delle forme di difesa può consistere nel mettere a disposizione delle Autorità riscontri oggettivi con i quali incastrare quegli operatori colpevoli di simili atrocità. E infatti, in relazione al Disegno di legge 897 il legislatore pone una particolare attenzione sul contrasto alle condotte di maltrattamento e abuso, forme particolarmente riprovevoli nei casi di specie perché coinvolgono soggetti - i minori nella prima infanzia, gli anziani e le persone con disabilità - non in grado di difendersi, né spesso di raccontare. Anche un singolo episodio di maltrattamenti ed abusi in questo ambito è già da considerare enorme, e deve essere messa in campo ogni azione per prevenirlo in maniera da evitare che possa ripetersi. Il termine corretto, ben al di là del lessico normativo, nonché il fine ultimo di ogni iniziativa di legge dovrebbe essere "stroncare" tali condotte abusive. Tuttavia, oltre alla necessaria condotta repressiva, non è semplice accademia porsi il quesito su quale possa essere lo strumento di protezione maggiormente efficace per garantire il contrasto alle condotte di maltrattamento e abuso senza, al tempo stesso, compromettere i percorsi educativi ed assistenziali. In altri termini occorre definire se, oltre ad attivare forme di controllo successive alle azioni delittuose, sia contestualmente possibile definire e realizzare forme di prevenzione di tali atti magari intervenendo ad esempio, anche con finanziamenti dedicati, sulla formazione continua del personale. Uno degli aspetti più significativi del testo legislativo in esame è la previsione di incontri periodici con un team di operatori specializzati in varie discipline, cui viene delegato il compito di verificare l'insorgere eventuale di situazioni di criticità individuando possibili soluzioni anche sulla base di procedure consolidate. È un percorso complesso. Occorre verificare le professionalità e le competenze che il team dovrà possedere, gli strumenti che potrà usare anche in raccordo con i servizi sociali e sanitari presenti sul territorio. Qualcosa di diverso rispetto ad un pur utile sportello antiviolenza, qualcosa di più, considerata la particolare fragilità delle vittime, qualcosa che configuri inoltre un patto fiduciario tra le Istituzioni e le famiglie anche ai fini della prevenzione dei maltrattamenti. Per quanto riguarda la videosorveglianza, la materia è delicata perchè occorre trovare una sintesi equilibrata tra gli interessi dei soggetti da tutelare (bambini, disabili e anziani), e le questioni relative alla privacy e ai diritti dei lavoratori ad esercitare la propria attività in maniera libera. Il tema è delicatissimo e non si può certo pensare di risolverlo solo con le telecamere o facendo intervenire i Carabinieri. Le telecamere possono essere un deterrente e ai Carabinieri non può essere delegata in toto una funzione preventiva. In gioco c'è il corretto sviluppo della personalità dei bambini. C'è chi afferma a tale proposito che i bambini, qualora sottoposti a sistemi di videosorveglianza, verrebbero iniziati ad una modalità di controllo che, sia pur ampiamente motivata dalla necessità della tutela da atti di coercizione e di violenza, di fatto li priverebbe della propria autonomia e libertà. Verrebbe da replicare, come primo impulso, che non può essere lasciato ad alcuno l' autonomia e la libertà di affacciarsi alla notorietà della cronaca mediante atti di abuso fisico e sessuale. Anche il garantismo giudiziario ha dei limiti. In puero homo.   @vanessaseffer
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Gen 31

Presidente, commissario, segretario o europarlamentare?

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Presidente, commissario, segretario o europarlamentare?Forse potrebbe avere ragione il segretario della Cisl Medici Biagio Papotto quando, riferendosi alle troppe camarille che ostacolano la chiusura di un Ccnl (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) che i medici attendono da dieci anni, afferma che le organizzazioni sindacali non ne possono più di giochetti matematici, di ritornelli politici, di attese inconcludenti e di promesse ancor meno credibili: non se ne voglia il sindacalista ma la sua affermazione ha il pregio di poter essere traslata anche in campi diversi da quelli contrattualistici. Forse potrebbe avere ragione un noto esponente politico della Destra politica, Francesco Storace, già presidente della Giunta regionale del Lazio e in seguito ministro della Sanità, quando afferma che l’attuale governatore del Lazio fra poche settimane non avrà il tempo nemmeno per respirare. Il moltiplicarsi degli impegni in agenda a fronte di un calendario scandito da settimane composte pur sempre da sette giorni e di giornate composte pur sempre da ventiquattro ore, rende difficilissimo il cammino di Nicola Zingaretti, stretto da un lato dalla lotta accanita all’interno del Partito Democratico e di quello che ne resta tra fughe e riposizionamenti alla finestra fiorentina, magari televisiva, seppure con scarsi successi, e dall’altro lato dalla necessità di buttare almeno un’occhiata a quello che accade in Regione e in particolare in quella sanità presidiata dal fedelissimo assessore e dagli altrettanto fedelissimi (altrettanto?) manager delle aziende, anch’essi stretti tra la routine quotidiana, l’esaurirsi della spinta propulsiva e la necessità di qualche accorgimento in più da adottare in caso di un bisogno improvviso per una giravolta con cambio di casacca. Zingaretti è persona capace, intelligente e furba: la politica è parte integrante del suo codice genetico e gli va riconosciuto di avere fatto molte cose buone: basta guardare con serenità, andando al di là dei proclami, sull’uscita dal commissariamento della sanità (uscita?). “Ho firmato un decreto che cancella parte del percorso burocratico che almeno 600mila cittadini del Lazio, affetti da malattie croniche, devono affrontare per il rinnovo del tesserino necessario a non pagare il ticket”, dichiarava tempo fa ed una dichiarazione del genere, poco roboante rispetto al suo solito, si porta dietro una indubbia semplificazione delle procedure in questa materia. L’elenco delle cose fatte sarebbe anche lungo, magari meno lungo delle cose dichiarate. Resta il fatto che in questo momento i fronti aperti davanti e intorno a Zingaretti sono più di uno. Gli avversari non stanno certo lì a guardare con le mani in mano e prova ne sia anche un voltar pagina che vede noti editori muoversi con circospezione e “lento pede” verso una nuova sponda della quale però non si intravedono ancora i contorni. E resta pur sempre il fatto che primarie o non primarie, europarlamento o meno, commissariamento della sanità del Lazio da parte del ministro Grillo o politica attendista ministeriale, il Nostro non si potrà permettere, come scrive Storace, in caso di vittoria nel primo appuntamento elettorale, che è la partita interna al Pd, “di considerare come secondo lavoro il governo della Regione Lazio”. O forse sarebbe il caso di dire che i cittadini del Lazio non possono permettersi di avere un presidente a mezzo servizio, un governatore precario. Proprio lui che tanto ha fatto per i precari della sanità del Lazio grazie anche, va detto, al senso di responsabilità istituzionale delle opposizioni nella passata legislatura. Ma il presidente candidato a tutto o quasi, ha i suoi proconsoli ed ora, dopo un po’ di girotondo, ma non quello della filastrocca che finiva con “tutti giù per terra…”, ha dato il via libera per l’indizione dell’avviso pubblico di selezione per il conferimento di incarichi di direttore generale delle Aziende del Servizio Sanitario Regionale per la formazione delle rose di nominativi dei candidati idonei alla nomina a direttore generale delle seguenti aziende sanitarie:
  • Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata
  • Azienda Sanitaria Locale Roma 4
  • Azienda Regionale Emergenza Sanitaria (Ares118)
  • Azienda Sanitaria Locale di Frosinone
  • Azienda Sanitaria Locale Roma 5
  • Azienda Ospedaliero Universitaria S. Andrea
E allora il pensiero corre e vola con la fantasia. Sarà lui a gestire il percorso che porterà alle nomine dei manager? Sarà lui a stringere la mano alla commissione di esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d’interessi, di cui uno designato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno dalla Regione, che dovranno valutare i candidati per le prime sei posizioni che si rendono libere in questi giorni? E i candidati si presenteranno alla prova pur nell’incertezza di un eventuale cambio dell’interlocutore politico? E se i lavori della commissione si protrarranno nel tempo, date le molte variabili in campo, il gioco del bilancino, che nella Prima Repubblica si sarebbe definito Codice Cencelli, manterrà la sua validità o i manager prescelti potranno fingere qualche acciacco per vedere dove finisce la mossa? La “Solitudine del manager” è il titolo di un romanzo di Manuel Vázquez Montalbán, dove il detective privato Pepe Carvalho è alle prese con il mistero di un manager, da lui conosciuto per puro caso anni prima negli Stati Uniti, trovato morto nei dintorni di Barcellona. Barcellona è bella (ma Roma di più), il romanzo è interessante ma quello che si sta scrivendo a Roma può essere un romanzo così avvincente da diventare un best seller nelle prossime settimane. @vanessaseffer
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Gen 30

Medici, professionalità all’abbandono, parla Magi

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Medici, professionalità all’abbandono, parla MagiLa frequenza delle aggressioni che i medici e gli operatori sanitari subiscono descrive un fenomeno ormai cronicizzato. Il numero delle violenze fisiche, verbali e morali rappresenta una vera e propria emergenza sociale cui non si riesce a fare fronte. Una grande sfida per la tutela dei camici bianchi, ma anche per la sicurezza dei cittadini. Ne parliamo con il dottor Antonio Magi, presidente dell’Ordine provinciale dei Medici-chirurghi e odontoiatri di Roma. Cosa si può fare perché i medici non siano lasciati soli? Qualcosa come Ordine abbiamo fatto. Ho da tempo convocato tutti i direttori generali delle aziende ospedaliere, le direzioni sanitarie e l’assessore alla Sanità. Sono venuti da noi all’Ordine dei medici per discutere sul da farsi riguardo alle aggressioni. Ho fatto vedere loro i numeri raccolti tramite Inail. Quindi i casi denunciati, che sono la punta dell’iceberg, perché la maggior parte, non vengono denunciati se non ci sono situazioni davvero eclatanti. È stato istituito un tavolo di confronto fra Osservatorio nel Lazio, dove operano i responsabili di tutte le aziende compreso i Risk management e l’Ordine dei medici. Abbiamo già prodotto un documento con ciò che questo tavolo deve monitorare, con i primi numeri che abbiamo a disposizione. Con delle raccomandazioni date alle aziende di attivare determinati percorsi quali l’accoglienza, il controllo dei locali, alcune attività, il personale, il lavoro in gruppo specie in alcune fasce orarie, quali sono in caso di aggressione gli atteggiamenti da tenere mentre il personale svolge la sua attività, come capire i segnali prima di una aggressione. Abbiamo già messo in moto questi meccanismi. Inoltre, ho partecipato ad alcuni interventi alla Camera dei deputati per quanto riguarda la norma di legge e sensibilizzato la ministra della Salute Giulia Grillo che è venuta all’Ordine dei medici di Roma, dove è iscritta, che ha fatto la proposta sulla violenza agli operatori sanitari e dove sono stati presentati altri due disegni di legge, uno presentato da Fratelli d’Italia e l’altro dalla sinistra sempre sullo stesso tema. Come può la categoria medica riconquistare la fiducia della popolazione? Questo è l’altro problema. L’operatore durante il servizio non è un pubblico ufficiale. Le aziende ad oggi hanno sempre lasciato i medici da soli, abbandonati a se stessi. Con la procedura d’ufficio invece si supererebbe. Per cui noi abbiamo chiesto questo accorgimento e devo dire che nella prima stesura dell’Osservatorio della Regione Lazio si consiglia alle aziende di stare vicino al medico in fase di querela. Se il medico venisse riconosciuto come pubblico ufficiale ci sarebbero una serie di oneri per lui. Infatti, noi non vogliamo che sia definito tale in senso stretto, ma che nell’ambito della legge ci sia la possibilità di procedere lo stesso d’ufficio, indipendentemente dalla figura dell’operatore, in modo tale da far emergere tutto quello che noi oggi non vediamo, perché ci sono vari tipi di violenza, verbale, fisica, minacce, insulti, percosse, omicidio. Poi ci sono le donne che hanno paura di svolgere la loro attività professionale in luoghi più sperduti e limitrofi. Perché un’azienda sanitaria non si pone la domanda di mettere una donna in condizione di lavorare in sicurezza? Le strutture devono essere vigilate e i turni controllati, non c’è dubbio. Addirittura, nel Friuli Venezia Giulia c’è stata l’iniziativa degli alpini che autonomamente si sono resi disponibili a scortare i medici, sia donne che uomini, nel momento in cui vanno a svolgere le loro attività e poi rimangono di guardia. Questo è stato un segnale forte. Noi abbiamo chiesto al Prefetto di Roma e ad altri di mettere dei posti di protezione nei Pronto Soccorso, di vigilare in alcune strutture in particolare. Una volta c’erano. C’erano una volta e poi sono venute meno per mancanza di personale, è un problema nazionale. Lei confida che ci sia una soluzione a queste problematiche oppure ci stiamo avviando verso una lenta china? Se stiamo con il fiato sul collo penso di sì. Perché a parte i medici che subiscono la violenza e gli operatori, anche i pazienti vengono danneggiati se i medici non sono sereni nello svolgimento della loro attività. Per cui è un problema grosso che bisogna assolutamente risolvere. È però uno dei tanti problemi che ha la sanità in questo momento. Quindi fa parte di una di quelle cose che vanno a tutela del cittadino. Bisogna isolare certi soggetti. È anche questione di educazione civica che manca, perché non c’è solo la carenza nelle strutture sanitarie, c’è carenza anche nelle scuole, professori picchiati, nei campi da gioco del calcio, guardi gli arbitri; negli autobus, nei taxi. Si vive un grandissimo momento di inciviltà. In più, dobbiamo recuperare quel rapporto fiduciario e questo dipende un po’ da tutti quanti, dai media, dall’aggressività di certi avvocati scorretti, medici che non sanno comunicare con i pazienti, che non sanno cos’è l’empatia nel tempo di cura, perché ciascun paziente ha diritto al suo tempo nella cura. Queste sono cose che camminano insieme e vanno superate tutte quante. Questo mea culpa mi piace. Un mea culpa relativo, perché c’è qualcuno che non sa comunicare e quello è un problema proprio personale ma bisogna anche considerare che abbiamo attualmente un personale molto ridotto e si lavora sempre in emergenza e si andrà sempre a peggiorare per mancanza di specialità che vedremo sempre meno nel panorama sanitario del Paese da oggi a venire. C’è un collega che mi diceva giorni fa “O faccio un politrauma o un’emorragia, sono da solo e devo decidere da chi devo andare”. Certe volte ho dei colleghi che si trovano in situazioni terribili come questo e allora alla faccia della comunicazione! Bisogna invece dare il tempo necessario al professionista per cui ci si possa dedicare al paziente senza stress. Col fatto del turnover, col fatto che non assumono più nessuno, la cosa si sta esasperando sempre di più. Bisogna risolvere il problema. Poi c’è la parte burocratica che crea ostacoli quotidianamente, il paziente fa la fila per ore allo sportello e poi arriva dal medico già frustrato. C’è carenza dei medici perché c’è un grosso problema con le specializzazioni? Manca una programmazione corretta per il percorso che i medici devono chiudere non con la laurea, ma con la specializzazione. In Italia non programmiamo mai nulla come in tutte le cose e così tanti vanno via a lavorare all’estero, anche per il blocco del turnover, dopo che a spese nostre abbiamo specializzato queste persone andiamo a coprire errori fatti da altri in altri Paesi con le nostre risorse finanziate da noi. Ogni specializzato ci costa circa 400mila euro con soldi pubblici nostri. Alcune specialità vanno anche deserte perché a rischio professionale molto elevato, come ortopedia, ginecologia, anestesia, chirurgia. Per cui bisogna dire che in Italia, come in Polonia e Messico, c’è la penalizzazione del medico. Se sparo a una persona per strada o faccio un errore medico è la stessa cosa nel penale. O creiamo un meccanismo differente e allora creiamo un supporto per i colleghi oppure non so come andrà a finire. Perché un errore può accadere, l’importante che non sia dovuto a negligenza, imperizia. Anche l’apertura a tutti senza il numero chiuso della facoltà di Medicina, senza una programmazione delle specializzazioni, diventa un problema enorme per due motivi: le borse non sono sufficienti, tanti colleghi si laureerebbero ma non possono entrare nel mondo del lavoro, perché non si potrebbero specializzare. Poi perdiamo ogni anno una città grande come Parma come numero di nascite e nessuno ne parla. E quindi se si aprono i numeri chiusi delle università, succederà che poi il medico per vivere si dovrà inventare una malattia. Ci vuole un numero anche lì programmato, comprendendo quali sono le esigenze del territorio. @vanessaseffer
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