Dic 28

Medici, pubblicità che istiga all’odio

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EnricaBonaccortiDai cartelloni con le manette, alle donne che hanno subìto violenza con un camice bianco che si intravede in sottofondo che lascia ampio spazio alla fantasia di chi guarda. Non bastava l’orda di avvocatucci che ormai girano dentro gli ospedali a caccia di possibili clienti al pari dei cassamortari. Ma la Bonaccorti no, questa non ce l’aspettavamo. Lei è una donna saggia, che dispensa consigli ormai da anni sulle reti della nostra tele e per questo non può non aver valutato i pro e soprattutto i “contro” di ogni singola parola che passa attraverso il tubo catodico e i segni irreversibili che esso può lasciare. Facendo un veloce resume della situazione, la signora Bonaccorti, si è avventurata in una pubblicità che gira in video e nelle chat in questi giorni, nella quale dice che “se pensi di dover avere un risarcimento da un danno ricevuto in ospedale ecco il numero di telefono, hai anche 10 anni per avere ciò che ti spetta…”. “Sono sconcertato da questo video – afferma il Dott. Biagio Papotto Segretario Nazionale della Cisl Medici – sebbene si tratti di una signora affascinante, è incredibile che si presti ad una simile pubblicità, probabilmente molto ben pagata. All’evidenza non si è posta il problema che tutti ci si avvicina, poiché è naturalmente ciò che accade, ad avere una certa età e dunque tutta una serie di patologie che sono i medici a dovere e potere curare, quegli stessi medici che fanno fatica spesso ad andare avanti, che fanno turni faticosissimi e lunghissimi in ospedale, che non hanno ancora un contratto dopo dieci anni e ciò fa si che tanti bravi medici vanno via dal nostro Paese. Perchè non mettere in evidenza quanta fatica, quante vite vengono salvate ogni giorno, quanta qualità c’è nella sanità italiana, che mette il nostro Paese al terzo posto nel mondo? Perchè non ci si preoccupa di pubblicizzare il fatto che se un immigrato che viene da noi e non ha un soldo, non ha un documento ma si sente male, viene curato al meglio e gratuitamente come un qualsiasi cittadino italiano? Ma se noi andiamo negli Stati Uniti e non abbiamo una carta di credito facciamo bene ad essere in forma, perchè se dovessimo per caso sentirci male non ci permetterebbero nemmeno di varcare la soglia di un pronto soccorso. Non sento mai parlare di tutte le cose buone che i nostri medici fanno quotidianamente con il massimo della serietà e con le risorse che si ritrovano”. Che deve fare Enrica pè campà! @vanessaseffer Da Sanità Online-News
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Dic 28

Medici: Bonaccorti poco accorta in video

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Medici: Bonaccorti poco accorta in videoSi legge su Wikipedia che Enrica Bonaccorti, all’anagrafe Enrica Maria Silvia Adele Bonaccorti (Savona, 18 novembre di un certo anno), è una conduttrice televisiva, conduttrice radiofonica, paroliera e attrice italiana. Dunque, nel suo corposo curriculum vitae, oltre alle numerose trasmissioni televisive che l’hanno resa celebre, la Bonaccorti sarebbe anche una “paroliera”. Cercando sulla Treccani, si può leggere quanto segue: “Parolière, chi scrive i versi o le parole per una canzone o per altra composizione di musica leggera; in particolare chi adatta le parole a musica già composta”. È una definizione che rende onore alla signora. Sorte ben diversa è riservata sulla stessa enciclopedia al termine parolaio: “Persona che parla molto, che ama fare discorsi verbosi, generalmente futili, privi di corrispondenza con la realtà, o destinati a non tradursi in pratica: non dar retta a quel parolaio! Come aggettivo, che abbonda di parole, per lo più inconcludenti! Come in politica, che si riduce a vane parole e dove si fanno molti discorsi ma si conclude poco!”. “Fiumi di parole” invece è un brano musicale che si è aggiudicato il primo posto nella classifica finale della quarantasettesima edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo nel 1997, ovvero ben ventuno anni fa. Allora, la nostra gentile signora paroliera, mai avrebbe pensato che ventuno anni dopo, in uno spot televisivo, si sarebbe ritrovata a recitare, non a cantare, un piccolo fiume di parole contro la categoria medica dispensando consigli su come denunciare un medico nei casi di malasanità e ricordando che si hanno ben dieci anni di tempo a disposizione per farlo. Il tema della salute degli anziani è più attuale che mai, attuale almeno quanto le violenze fisiche e gli attacchi verbali contro i medici e gli operatori sanitari: secondo alcuni dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss), tra pochi anni, esattamente nel 2025, saranno 1,2 miliardi le persone nel mondo con più di sessant’anni: nulla dice l’Iss relativamente a chi nel 2025 avrà 76 anni. Se da un lato questi numeri indicano un allungamento dell’aspettativa di vita, dall’altro determinano interrogativi relativamente ai problemi di salute degli anziani, perché all’invecchiamento della popolazione si accompagnerà un aumento delle malattie legate all’età. Ma di quali patologie o disturbi soffrono maggiormente le persone anziane? Osteoporosi, demenza senile, Alzheimer, diabete, cardiopatie, ipertensione arteriosa, tanto per citarne solo alcune evitando di citarne altre. Cosa fare? Lo chiediamo a Luciano Cifaldi, segretario generale della Cisl Medici Lazio. “Bisogna andare dal medico – sostiene – da uno specialista che potrà prescrivere la terapia farmacologica. Tuttavia, non va dimenticato che in età avanzata, dopo una vita spesa a fare carriera magari sotto le luci della ribalta, è importante e necessario mantenere attiva anche la mente. Non smettiamo di allenare la mente. Leggiamo libri, leggiamo magari anche quelle notizie di buona sanità che purtroppo non fanno notizia, ma che restano indimenticate nella mente e nel cuore di quanti hanno ricevuto un trapianto, o hanno sconfitto una leucemia, o sono stati salvati da un medico quando sembrava che ormai non ci fosse più nulla da fare. Certo anche il medico può sbagliare. Sbagliare è umano, se sbaglia un medico e l’errore è accertato interviene la Magistratura”. Secondo Cifaldi, “ridurre l’operato dei professionisti medici ad uno spot come quello che ho visto in queste ore, ed è l’ennesimo purtroppo, mi appare francamente una operazione misera. Non ce ne voglia la signora Enrica e non si preoccupi: nessuno ricorderà le sue parole pronunciate nello spot. Ben più importanti sono le parole scritte nel giuramento di Ippocrate, quelle per le quali, ogni giorno, migliaia di medici cercano di fare del proprio meglio per tutelare la nostra salute”. @vanessaseffer
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Dic 21

Solstizio d’Inverno. Di Andrea Marrone

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Oggi è il giorno del Solstizio d'Inverno, momento ritenuto sacro da tutte le religioni pre-cristiane. si tratta della fase astronomica dove il sole cessa di calare, etimologicamente Sole Fermo (sol-sistere) e quindi inizia a risalire, è il giorno più corto dell'anno e da domani, quando nell'antichità impazzavano i Saturnalia, ogni giorno avremo un poco più di luce anche se oggi è anche l'inizio dell'inverno. Quindi, sembra strano ma l'inverno è il momento della rinascita, non come comunemente viene considerato, della sospensione della vita, parlando ovviamente della natura. Prendendo esempio da questo osservo come l'avvento così pieno di speranze di una nuova fase politica non sia stata la primavera che ci aspettavamo. Tanti sbandieramenti, tanti proclami, tanti brindisi ai balconi dei poteri ma poi il duro impatto con la realtà. la fantasia al potere non ha retto alla logica apparentemente inesorabile dei numeri. Non che avessi nutrito molte speranza. Salvini ha cominciato bene, ha messo doverosi puntini sulle i, ha mostrato la faccia feroce dove serviva ma ha semplicemente sbagliato i compagni di merenda. il peronismo sudamericano dei cinque stelle, peones nostrani paracadutati in posizioni di potere senza avere né arte né parte, l'ostilità del presidente della Repubblica, l'astio rancoroso di una Europa ancora in mano a partiti oramai condannati dalla storia, socialisti e socialdemocratici, democristiani, tutti i principali responsabili non solo del tracollo economico seguito all'introduzione dell'Euro per i paese dell'Europa meridionale ma anche del tentativo di alterare la realtà etnica, sociale, religiosa e culturale dell'Europa lo hanno messo semplicemente in condizione di non nuocere. Gli hanno permesso di fare la voce grossa con quattro clandestini e una famiglia di zingari e poi lo hanno sostanzialmente imbavagliato. Siamo ricaduti quindi in un cupo e buio inverno dove si cercherà di raccattare soldi a destra e a manca vessando i cittadini, si taglieranno servizi sociali e si rimarrà sempre sottoposti al ricatto degli sciacalli e strozzini di Bruxelles. Abbiamo però appena detto che l'inverno è solo apparentemente un momento di sospensione e invece coincide con il momento della rinascita. Guardiamo quindi positivamente a questo inverno non solo astronomico ma politico: prima di tutto i popoli europei si sono svegliati e ora da gregge tornano a essere protagonisti e questi popoli finora sottomessi premeranno sempre di più per una Europa unita che sia l'Europa dei Popoli, non delle banche, sia l'Europa diffusa, non quella centrata sull'asse franco tedesco. Poi sta finendo l'ubriacatura per quell'accozzaglia di perdenti chiamata cinque stelle. Ci si rende conto dei limiti delle loro fantasie, della pericolosità del loro inerente catto-comunismo. Purtroppo l'inverno, pur essendo un momento di rinascita, è freddo e duro. Bisogno affrontare con coraggio la necessità di una politica di austerità che crei le premesse per una rinascita. Non è più possibile lasciare che il medico pietoso conduca il paziente alla morte. Se l'Inghilterra si è rialzata economicamente dopo essere caduta nel baratro per le politiche socialiste dei suoi governi precedenti lo si è dovuto alla "lady di ferro" a Margareth Thatcher che ha letteralmente messo gli inglesi a pane e acqua e lì si è vista la tempa di quella nazione che ha sopportato e, alla fine, come spesso ha fatto nella sua storia, ha vinto. Le politichette assistenzialiste da questi Maduro de noartri non portano ad altro che alla povertà. Povertà materiale e morale. Ben venga quindi quel rigore che dobbiamo implementare non per accontentare gli avidi usurai di Bruxelles ma per riportare il nostro Paese in carreggiata, usiamo i soldi, pochi, a disposizione per crescere e non per sopravvivere. Andrea Marrone  
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Dic 20

Carenza medici: non c’è programmazione

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Carenza medici: non c’è programmazioneUna bomba ad orologeria è ormai innescata nella sanità pubblica del Paese e il tempo sta scorrendo velocemente senza quasi che i media, la politica e il grande pubblico ne abbiano consapevolezza. Solo tra gli addetti ai lavori sembra alzarsi alto il grido di allarme fatto proprio dal mondo delle organizzazioni sindacali di categoria nella loro interezza e, almeno in questo caso, senza divisioni al proprio interno. Il paventato pericolo di un progressivo impoverimento del personale medico operante nel sistema sanitario nazionale (Ssn) per il sopraggiungere di uno scalino pensionistico, è ormai una realtà concreta. Ragionando su dati Miur, Istat, Enpam e Fnomceo la realtà attuale per quanto riguarda le dinamiche pensionistiche evidenzia come circa 48mila medici nati nel decennio 1950-1960, ed oggi ancora attivi nel Ssn, hanno già maturato o matureranno i criteri previsti dalla legge “Fornero” nel decennio 2016-2025. Secondo i dati della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri i medici attivi in Italia al 2016, di età inferiore ai 70 anni, erano circa 354mila dei quali quasi 102mila unità attivi a vario titolo nelle aziende sanitarie locali. Si tratta di una fascia di età per le quali il riscatto previdenziale degli anni di studi universitari era facilitato da un versamento economico mensile sostenibile; inoltre, l’assunzione avveniva precocemente dopo il conseguimento della laurea in Medicina e Chirurgia, dato che non vi era l’obbligo, come invece avviene attualmente, di possedere il titolo di specializzazione per essere assunti nel Ssn. A questa situazione consegue direttamente il rischio di un decadimento nella qualità dei servizi erogati proprio a causa della perdita di medici esperti e in possesso di elevate capacità professionali e di quella esperienza “sul campo” che è fondamentale per la tutela della salute di ognuno di noi. Nel decennio 2016-2025 i cessati attesi complessivi sono stimabili in oltre 55mila unità, un numero di poco inferiore rispetto a quello complessivo di nuovi specialisti che completeranno l’iter formativo specialistico nelle università nel decennio considerato, previsti in oltre 57mila, secondo un dato desumibile dalla media annuale dei contratti Miur degli ultimi tre anni: 5.711 contratti di formazione specialistica. Il dato però merita la massima attenzione perché, basandosi esclusivamente sul numero complessivo, questo risulta essere fuorviante poiché l’apparente equilibrio tra futuri cessati complessivi (medici ospedalieri-universitari-specialisti ambulatoriali) e futuri neo-specialisti, non potrà essere risolutivo a motivo dell’esistenza del doppio imbuto, formativo e lavorativo. Nei prossimi dieci anni i numeri previsti di contratti specialistici Miur, considerando la media degli ultimi tre anni, garantiranno un equilibrio per le categorie degli universitari e degli specialisti ambulatoriali, non per gli specialisti dipendenti del Ssn, sia ospedalieri che territoriali. Questo si spiega perché la componente ospedaliera e dei servizi dipendente del Ssn che andrà in quiescenza sarà preponderante sulla componente degli universitari e specialisti ambulatoriali (oltre 47mila cessati Ssn versus gli oltre 8mila cessati per le altre due categorie intese in maniera accorpata per facilità di calcolo). Inoltre, se consideriamo quali tipologie di specialisti andranno in pensione, ci accorgiamo che per alcuni di essi, in maniera particolare internisti, pediatri, chirurghi generali e ginecologi, per non parlare della carenza attualissima e drammatica di medici dell’emergenza e pronto soccorso che rappresentano nel Ssn la prima linea di fuoco, e tutto questo per motivi noti che però l’evidenza insegna si è ancora restii ad affrontare (altri costi assicurativi, stipendi non adeguati alla complessità del lavoro ed ai rischi connessi, aumentato contenzioso medico legale, aumentata conflittualità con i pazienti a volte sfocianti in veri e propri atti di violenza nei confronti degli operatori). È questo uno scenario estremamente complesso nel quale insistono, un ormai decennale mancato turnover che ha determinato gravi vuoti nelle dotazioni organiche e il già evidenziato mancato ricambio generazionale. Tali carenze sono ulteriormente emerse con la necessità di essere ottemperanti alle direttive europee sull’orario di lavoro come previsto con la Legge numero 161 del 30 ottobre 2014. A tutto ciò si aggiunge il mancato rinnovo del contratto ai medici e ai dirigenti, che accentuerà la fuga dei camici bianchi. Ci si lamenta che non ci saranno medici in futuro, eppure non ci sono stati sufficienti accantonamenti per dare dignità alla professione dei medici. La Cisl medici si batte da tempo per far comprendere che la sanità non è un costo ma un fattore produttivo. Dalla politica, dal ministro della Salute e dalle regioni sembra esserci disinteresse totale su questo tema. D’altra parte, i nostri medici non sono certo stimolati a rimanere in servizio, considerando che tra i fattori che invitano ad uscire dal Ssn vi è anche la bassa probabilità di raggiungere posizioni apicali, i cosiddetti primari, anche a motivo della costante diminuzione dei posti disponibili di direttore di struttura complessa a motivo degli accorpamenti o dell’abolizione di tali strutture per motivi economici o semplicemente politici. Inoltre, l’età media dei nostri medici è di circa 55 anni e ad oggi non si è dato seguito ad una indicazione contrattuale a seguito della quale ai professionisti con più di 55 anni di età si sarebbero dovuti evitare i turni di guardia notturna. Cosa questa peraltro impossibile considerato che negli ospedali e nelle Asl la difficoltà di godere delle ferie e perfino dei turni di riposo è evidenza derivante anche dall’aumento della conflittualità tra professionisti ed aziende. È del tutto palese che un medico cui è stata tolta una valida aspettativa di carriera, privato di gratificazioni professionali anche di tipo economico, costretto dalla carenza di organici e dalla necessità nei servizi ospedalieri di garantire una assistenza nelle 24 ore con stressanti turni di guardia ed una gravosa mole di lavoro straordinario, in presenza di condizioni di elevato rischio professionale, appena ne ha la possibilità previdenziale si ritira in pensione ed inizia o continua a svolgere attività di tipo esclusivamente privata. La gravità della situazione è tale che ogni anno aumenta il numero di medici che fanno domanda per lavorare all’estero e poi finiscono realmente per andare a lavorare in altri Paesi europei, negli Stati Uniti, e, molto recentemente, nei Paesi arabi attirati da stipendi assai elevati. Secondo i dati Istat, i professionisti del settore sanitario che hanno chiesto al ministero della Salute la documentazione utile per esercitare all’estero sono passati da 396 nel 2009 a 2.363 nel 2014 (+ 596 per cento). Il dato è talmente clamoroso che non può non fare riflettere. Ormai circa mille laureati o specialisti emigrano ogni anno. Peraltro, bisogna tenere conto che per formare ogni medico il Paese investe circa 150mila euro l’anno. In termini economici, è come se regalassimo un migliaio di “rosse di Maranello” all’anno agli altri Paesi europei ed extra europei. Chiaramente il danno che ne risulta è solo apparentemente di tipo esclusivamente economico perché ci impoveriamo in senso letterale di cervelli e di saperi professionali, sottratti allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese, salvo poi, a sequenza regolare, pontificare sulla necessità di fare rientrare i cervelli nel nostro Paese. La soluzione è evidente: cerchiamo di non farli partire. @vanessaseffer
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Dic 12

SENZA DIMORA: CRI ROMA “SABATO 15 IL PASTO DELLA SOLIDARIETA’ IN PIAZZA”

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La CRI di Roma sta organizzando per sabato 15 dicembre dalle ore 12.00 a Piazzale Partigiani il “Pasto della Solidarietà“, un’iniziativa che vedrà la Croce Rossa in piazza nella Capitale e contemporaneamente in altre città da Nord a Sud, in collaborazione con Land Rover, in una tavola ideale che unisce il Volontariato e la Solidarietà verso le persone senza dimora. “Il Pasto della Solidarietà non è solo preparare un pranzo in vista delle Feste – dice Debora Diodati  lanciando l’iniziativa che si terrà a Roma  – ma è dire che le piazze che sono i luoghi per chi non ha una casa, sono luoghi comuni anche a noi, a tutti i romani che non restano indifferenti”.
“Il Pasto della Solidarietà” a Roma ha ricevuto anche il Patrocinio della Camera dei Deputati e vedrà la partecipazione in cucina con i Volontari di CRI Roma, nella preparazione del pranzo, dello chef Dino De Bellis.
Per il Comune di Roma interverrà in rappresentanza del Sindaco Virginia Raggi, il Presidente della Commissione di Roma Capitale Politiche Sociali e della Salute, Maria Agnese Catini.
Ufficio Stampa e Comunicazione
Area Coordinamento Affari Generali
Croce Rossa Italiana - Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale
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Dic 12

Tex, 70 anni di un mito in mostra a Milano

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Al Museo della Permanente a Milano e si concluderà il 27 gennaio 2019 la mostra “Tex. 70 anni di un mito”, curata da Gianni Bono, storico e studioso del fumetto italiano, in collaborazione con la redazione di Sergio Bonelli Editore. Mai titolo è stato più appropriato per celebrare quello che è sicuramente il più amato eroe del fumetto di ideazione e produzione italiana. Ancora poche settimane per immergersi nell’epopea del West, della frontiera americana, e passare alcune ore in compagnia dei fedeli pards Kit Carson, Tiger Jack e Kit Willer “cavalcando” al loro fianco, lungo il continente americano nella continua sfida del bene contro il male rappresentato da: Mefisto. È il 30 settembre 1948, quando nelle edicole italiane arriva il primo albo, nel formato a striscia di Tex, il personaggio con “due padri”, il creatore Giovanni Luigi Bonelli e il primo disegnatore Aurelio Galleppini. Nessuno può prevedere che il ranger con la camicia gialla diventerà l’amatissimo eroe del fumetto italiano e uno dei più longevi a livello mondiale, vantando numerosi tentativi di imitazione venuti meno nel volgere di “poche lune”, come avrebbe detto il grande e saggio amico Cochise capo della tribù Apache. A Galleppini si sono succeduti straordinari artisti della matita e del pennello e Tex è diventato un eroe, un mito, un’icona. Un’impresa e un grande onore cimentarsi nella sfida di disegnare Tex variando, magari, alcuni tratti somatici ma senza intaccare, anche nella grafica, quel grande senso di giustizia che traspare in ogni singolo sguardo, in ogni singola ruga del volto. E la mostra di Milano è un gradito ritorno a casa del nostro eroe che ha valicato il confine, non quello messicano o canadese come nelle mille avventure di cui è stato protagonista. Va ricordata anche la precedente esposizione di Lugano nell’ottobre 2015. Chi abbia voglia di avventurarsi nella mostra milanese troverà in esposizione disegni, fotografie, oggetti rarissimi, nonché installazioni a tema, create, esclusivamente, per questo evento e che consentiranno di personalizzare il dialogo con il ranger. Si tratta di un paio di sorprese che ci faranno tornare il buon umore verso la fine del percorso. Prima di sederci di fronte ad una “bistecca alta tre dita ed una montagna di patatine fritte”. Per omaggiare l’immancabile richiesta di Tex Willer e Kit Carson, in occasione della sosta in qualche saloon per ritemprare lo stomaco. “Tex. 70 anni di un mito” è una mostra dedicata, non solo ai cultori del personaggio, ma anche a chi abbia intenzione di avvicinarsi, magari per la prima volta, al mondo fermo e risoluto di un eroe senza macchia e senza paura, che è riuscito a diventare, grazie alla passione e all’amore di milioni di appassionati lettori, un vero e proprio fenomeno di costume, un simbolo costante dell’antirazzismo ed il nemico acerrimo di ogni forma di ingiustizia. Un in bocca al lupo a voi eroi che cavalcate nella prateria. A Tex, a Kit Carson, a Tiger e a Kit Willer, affinché dopo il lungo e polveroso percorso, possiate trovare un buon saloon per una birra ghiacciata e un albergo che sia almeno un po’ meglio di una catapecchia. @vanessaseffer
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Dic 11

FREDDO: DIODATI (CRI ROMA) “APPELLO AI ROMANI. DONATECI COPERTE E SACCHI A PELO”. SABATO 15 IL PASTO DELLA SOLIDARIETA’

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Con l'arrivo del freddo facciamo appello a donare coperte e sacchi a pelo nuovi o in buone condizioni per aiutarci a sostenere le persone senza dimora. I Volontari della Croce Rossa chiedono a tutti i romani di dare una mano nell'assistere chi vive per strada. "Donare una coperta o un sacco a pelo è un gesto semplice che però contribuisce a dare sostegno a chi si trova in condizioni di estrema fragilità" dice la Presidente Debora Diodati. "Si può donare venendo in Croce Rossa a Via Ramazzini 31 il martedì e il giovedì (ore 14.30 / 19.00) al nostro Magazzino Sociale". Intanto, in queste ore, la CRI di Roma sta organizzando per sabato 15 dicembre dalle ore 12.00 a Piazzale Partigiani il "Pasto della Solidarietà", un'iniziativa che vedrà la Croce Rossa in piazza nella Capitale e contemporaneamente in altre città da Nord a Sud, in collaborazione con Land Rover, in una tavola ideale che unisce il Volontariato e la Solidarietà verso le persone senza dimora. "Il Pasto della Solidarietà non è solo preparare un pranzo in vista delle Feste - dice Debora Diodati  lanciando l'iniziativa che si terrà a Roma  - ma è dire che le piazze che sono i luoghi per chi non ha una casa, sono luoghi comuni anche a noi, a tutti i romani che non restano indifferenti". "Il Pasto della Solidarietà" a Roma ha ricevuto anche il Patrocinio della Camera dei Deputati e vedrà la partecipazione in cucina con i Volontari di CRI Roma nella preparazione del pranzo dello chef Dino De Bellis. Per il Comune di Roma interverrà in rappresentanza del Sindaco Virginia Raggi, il Presidente della Commissione di Roma Capitale  Politiche Sociali e della Salute, Maria Agnese Catini.
nota della CROCE ROSSA DI ROMA
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Dic 06

Sanità privata e sanità pubblica, ne parla Jessica Faroni

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Sanità privata e sanità pubblica, ne parla Jessica FaroniUna struttura sanitaria accreditata è una struttura privata che ha stipulato una convenzione con il Sistema sanitario nazionale (Ssn), dunque eroga le prestazioni sanitarie chiedendo al cittadino il solo pagamento del ticket. Ma come fa una struttura privata ad accreditarsi? È l’autorità sanitaria delle singole regioni ad individuare le strutture che secondo loro sono in grado di garantire il livelli essenziali di assistenza, di valutare l’idoneità delle stesse, di assicurarsi che siano qualificate e di accertarsi dell’efficacia e dell’appropriatezza dei risultati, fissando il volume massimo delle prestazioni da rendere nell’ambito della competenza territoriale della medesima azienda sanitaria locale. Chiedo a Jessica Faroni, medico-chirurgo, neurologo, riconfermata presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata Lazio (Aiop), manager sanitario e a capo del Gruppo Ini (Istituto neuro-traumatologico italiano) presente con dieci strutture accreditate nel Ssn nel Lazio e in Abruzzo, di farci comprendere meglio quali rapporti ci siano effettivamente fra il pubblico e il privato convenzionato, o meglio, accreditato. Che differenza c’è fra l’ospedale pubblico e il privato accreditato? Di fatto la sanità privata accreditata è una sanità pubblica con tutti quanti i doveri del pubblico, con la differenza che la proprietà è del privato. I criteri qualitativi devono essere gli stessi, perché si fornisce un servizio pubblico. La legge è uguale perché è sempre Sistema sanitario nazionale (Ssn). La differenza consiste nella proprietà: una è pubblica e l’altra è privata. Che cosa funziona davvero e che cosa non funziona sia nell’ospedale pubblico che nel privato accreditato? Entrambi risentiamo fortemente del problema del contratto di lavoro, poiché abbiamo i contratti nazionali. Il fatto è che è poco prevista sia la meritocrazia che il licenziamento di persone che effettivamente non ci dovrebbero stare. Quindi siamo costretti ad un ricambio molto lento e soprattutto a non usufruire di nuove risorse, uno dei motivi per cui assistiamo alla fuga dei cervelli dal nostro Paese. Noi non possiamo licenziare una persona su due piedi. Indubbiamente per noi è più facile gestire una struttura con trecento persone piuttosto che di 1.800, però siamo sottoposti esattamente alla stessa problematica. E il personale come viene selezionato? Esattamente come fa il pubblico. Tramite concorso. Poiché le figure che devono stare sia nel pubblico che nell’accreditato sono le stesse, con gli stessi titoli, con gli stessi curricula. Vi capita, soprattutto fra il personale infermieristico, di dover attingere dall’estero? Ancora qui nel Lazio questo tipo di utilizzo di lavoro è poco sviluppato, facciamo più uso delle cooperative. Nelle cooperative può capitare che qualcuno dell’estero ci sia. Ma non è un fenomeno così sviluppato, non come in alcuni posti del nord. Ci sono troppi sprechi nel pubblico, nelle analisi, negli esami diagnostici. Da noi va esattamente come nel pubblico. Perché essendo pagati noi con l’impegnativa quindi con la prescrizione, risentiamo al pari del pubblico. Tant’è che abbiamo anche noi le liste d’attesa lunghissime. E del fatto che c’è ad esempio un utilizzo sbagliato della medicina difensiva. Infatti questa oggi è il costo maggiore per l’Italia, in quanto si preferisce fare più analisi, visto poi il contenzioso che può scaturire da qualsiasi paziente. Per cui diciamo che è una protezione del medico. E anche questo crea liste d’attesa. Un medico di base che chiede una visita urgente, spesso lo fa perché suscettibile di pressioni da parte di un parente. Ci andiamo di mezzo tutti: medici di base, pubblico, privato accreditato. Poi noi, tra l’altro, abbiamo un budget e più di tanto non possiamo fare. Così le liste si allungano. Le liste d’attesa sono un problema molto serio. Rappresentano uno dei motivi che scatenano le aggressioni contro i medici e gli operatori sanitari, sempre più frequenti. Come si può risolvere il problema? Bacchetta magica a parte, ci sarebbero due rivoluzioni del sistema a mio parere. Innanzitutto, la richiesta dovrebbe essere fatta secondo altri criteri, non secondo pressioni o medicina difensiva, ma sotto la reale esigenza che ha il paziente. In secondo luogo, bisognerebbe investire un po’. Ad esempio, in America sono di uso frequente i referral, specialisti che “h24” stabiliscono se i pazienti debbano essere visitati o meno, facendo una selezione a monte. Nei provvedimenti che sono stati presi di aumentare le ore di lavoro e le aperture degli ambulatori, più si crea offerta e più le liste si allungano. Se io aprissi gli ambulatori delle cliniche e avessi libertà di budget, giorno e notte per tutta la settimana, li riempirei. Che cosa manca alla struttura privata accreditata per sostituire appieno quella pubblica? Non si possono sostituire. Non può esistere pubblico senza privato, né privato senza pubblico. È un lavoro assolutamente di supporto e complementare. È vero che ci sono esempi di strutture private come il San Raffaele di Milano che sono più che autonome e funzionano bene. Ma è anche vero che l’Italia è fatta da venti regioni che hanno leggi diverse. Faccio un esempio, qui nel Lazio è vero che ci sono molti privati ma tante specialistiche non le possiamo fare, e non potendole fare dobbiamo essere per forza di supporto a tutto quel mondo che ha quella specialistica che fa soltanto l’ospedale. Invece l’ospedale cattolico funziona meglio della struttura pubblica o del privato accreditato? Anche lì hanno gli stessi problemi nostri. Ma è chiaro il “Gemelli” ha un potere contrattuale diverso. La struttura privata accreditata come si muove con i bambini e gli anziani? Il 44 per cento della sanità privata accreditata fornisce cure di supporto alle categorie più deboli. Gran parte delle Rsa e gran parte dei bambini ex articolo 26 fanno capo al privato convenzionato e questo, è fondamentale, con costi minori rispetto al pubblico. Va capito che noi siamo uno Stato che investe poco in sanità perché siamo molto bravi. Sia nel pubblico che nel privato. Perciò parlo di complementarità. Se l’Umberto I si occupa di un’appendicite, un’altra struttura convenzionata ne fa tre, perché riusciamo di più a contenere i costi dando la stessa qualità. Se questo lo si pone sull’assistenza territoriale e sulle categorie deboli è evidente che lo Stato non si può permettere una spesa così grande su una popolazione debole che sta crescendo. Noi siamo il Paese più vecchio d’Europa. Non possiamo fare un investimento che poi non ci possiamo permettere. Per cui deve subentrare il privato, che riuscendo a lavorare con costi contenuti, può dare una qualità eccezionale sia nel pubblico che nel privato. Lo dice pure la relazione di Bloomberg, siamo tra i migliori al mondo utilizzando la metà dei soldi degli altri Paesi. Qual è lo stretto rapporto pubblico-privato? In realtà, sia nel pubblico che nel privato curiamo migliaia di persone e ciò avviene in perfetta armonia. Noi abbiamo la funzione di svuotare gli ospedali da tutto quello che è il cronico, ce lo prendiamo e questo avviene tramite fax, tra ospedali e strutture. Succede continuamente nel quotidiano, per migliaia di persone. Il paziente, nel momento in cui viene ricoverato in ospedale, viene curato a 360 gradi sia dal pubblico che dal privato. Per queste comunicazioni usate ancora il fax? Si, per essere più sicuri e lasciarne traccia. Se il Signor Rossi ha bisogno di essere spostato domattina, la caposala invia un fax a tutte le strutture private dei dintorni nella notte e bisogna che la mattina sia già stato trovato il posto. Quindi o c’è la telefonata fra i primari delle strutture o la richiesta via fax per cui rimane sempre una traccia. Il fax rende proprio l’idea del fatto pratico del rapporto che si innesca fra strutture. @vanessaseffer
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Dic 05

Crotone: dottoressa aggredita davanti all’ospedale

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Crotone: dottoressa aggredita davanti all’ospedale
Ieri a Crotone al termine del suo turno all’ospedale civile San Giovanni di Dio, un medico, che presta servizio presso l’unità complessa del nosocomio calabrese, appena uscita dalla struttura è stata aggredita da un cinquantenne crotonese che l’attendeva con il volto e la testa coperti da un cappuccio e da una sciarpa, colpendola al collo con un cacciavite. A salvarla da un altro fendente è stato un ambulante marocchino che sosta quotidianamente con la sua bancarella per vendere oggetti per automobili proprio davanti all’ospedale. Cercando di aiutare la dottoressa, lo straniero ha chiamato prima i sanitari che sono accorsi e l’hanno ricoverata in codice rosso e subito operata, e poi ha inseguito il malfattore bloccandolo su un bidone della spazzatura fino all’arrivo della polizia. La dottoressa, fortunatamente, non è in pericolo di vita. A proposito dell’orrenda violenza subìta da un’altra dottoressa tempo fa a Trecastagni, in provincia di Catania, era intervenuto qualche tempo fa il segretario nazionale della Cisl Medici, Biagio Papotto: “Quello che a noi preme far notare è che non possiamo prendercela solo con il Governo centrale. La scarsità di risorse economiche, infatti, è grave e reale, ma da sola non può bastare a chiudere il discorso. Questo consentirebbe a tutti i poteri intermedi di riposare tranquillamente sugli allori, e invece la Cisl Medici vuole chiarire che non lascerà correre alcunché. Non accetteremo alibi di alcun tipo da parte di tutte quelle figure decisionali, Regioni, assessori alla Sanità, direttori generali e amministratori vari, che potrebbero e dovrebbero fare di più, molto di più. Anzi: che dovevano e potevano aver già fatto molto di più. Non siamo affezionati all’idea di dotare ciascun presidio di un vigilante. Questo aumenterebbe di sicuro i costi per la collettività, ma se fosse il rimedio risolutivo, ben venga. Però diverse articolazioni degli orari, presenze più concentrate, soluzioni logistiche più centrali e visibili, tutto questo potrebbe costare davvero poco e mostrare che qualcuno si guadagna in modo degno lo stipendio che percepisce senza correre il rischio che una donna-medico conosce ogni giorno. Ci prepareremo a costituirci parte civile in ogni procedimento giudiziario che scaturisse dalla trascuratezza delle amministrazioni locali. Ora basta. Quando si dice che il medico dona la vita non si intende di perderla”. Nello stesso ospedale di Crotone, lo scorso agosto, venne brutalmente picchiato un anestesista da un’intera famiglia, che riteneva non avesse fatto abbastanza per salvare la vita al loro ragazzo. La vicenda aveva suscitato molto sdegno da parte della comunità e nei giorni successivi l’ospedale aveva provveduto ad aumentare per un po’ la sorveglianza interna ed esterna, ma poi tutto è rientrato nella solita normalità. @vanessaseffer  
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Dic 04

Un viaggio nel Fascismo tutto da leggere

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 Di Maurizio Bonanni

Un viaggio nel Fascismo tutto da leggereDa Sfascio a Fascio. La fascina dei caratteri umani, cioè, che unisce i diversi, i riottosi e i contrari. Li stringe, li imprigiona indissolubilmente con le minacce, la violenza e l’omologazione forzata dei sottomessi, dei paurosi per necessità e opportunismo: la vendetta dei vinti, insomma. Un mare di melma sanguinolenta che un masso enorme con il profilo del Duce del Fascismo espelle con la sua spinta ciclopica dai pori argillosi della terra. L’idea-nazione fascista, infatti, è la ribellione di una gigantesca roccia rimasta pura e incontaminata per millenni divenuta cava di marmo e di metalli per avidi speculatori, che convertono in denaro i beni naturali degli uomini. I nemici sono gigantesche termiti che scavano immense forre da cui estraggono la materia venale, per poi una volta divenute cave riempirle di spazzatura, di escrementi umani e spirituali fino a farle scoppiare. Di lì la rivolta, il terremoto delle forze di natura. Di lì folle di contadini diseredati, affamati, senza denti che passano dai Rossi, i quali parlano di rivoluzione senza mai chiamare alla vera ribellione gli ultimi della terra, ai Neri violentatori della Storia che, però, fanno meno paura della fame nera! Nel testo di più di ottocento pagine di Antonio Scurati, “M. Il figlio del secolo” (Bompiani) c’è una straordinaria storia del fascismo, dal 1919 al 1924, scritta con il furore dell’Aruspice che vede oltre, mentre accumula decine di migliaia di pagine, di documenti originali, di articoli di giornale, di messaggi confidenziali, telegrammi, ordini di servizio e quanto altro che impongono alle vicende narrate una leggerezza fuori dal tempo e dallo spazio. Una vela costantemente gonfia di vento che solca tutti i mari possibili, ora tremebondi, ora in grande tempesta, ora calmi oltre ogni dire distesi sulle gambe aperte dell’ennesima amante. Perché la femmina ora è puledra, ora giovenca dai fianchi larghi, buona a filiare o da schienare in mancanza di meglio. Come la violenza delle camicie nere, intrise di sangue, fango, merda e sperma. Dai bordelli alle case del popolo ai casolari dei contadini alle sedi sindacali e ai municipi rossi, le camicie nere distruggono con loro, con i poveri proletari, il disfattismo, l’anti interventismo e tutto quello che sa di socialismo, di cooperativa sociale, di associazionismo per difendersi dai soprusi dei padroni agrari: i grandi pagatori di bastonature, assassinii, massacri di inermi in decine di province rurali del Nord e del Centro Italia. M. è una cavalcata tragica, bellissima violenta compulsiva e rigurgitante di anima che mette in fila il genio di Mussolini con la sua incredibile capacità di addomesticare la storia e gli eventi, impadronendosi del potere con un colpo di mano, perché l’ignavia del monarca, le divisioni della sinistra e lo scontento popolare di milioni di reduci senza lavoro e senza futuro hanno incendiato la Casa Comune dello Stato, che va rimessa a posto a qualunque costo. Anche a dispetto del sogno dannunziano, con la sua bellissima, immaginaria e utopica Costituzione del Carnaro, con i suoi fanti in giarrettiera, gli artisti talentuosi e falliti, la libertà sessuale e quanto di più cosmopolita si potesse immaginare per il nuovo secolo. Lui, il Duce, che vince le elezioni con la legge truffa Acerbo. Mussolini che supera l’orrore etico, politico e umano dell’omicidio Matteotti rivendicandolo a sé come semplice incidente di percorso di un fascismo salvifico, mentre pensa a come liberarsi da tutta quella inutile, disgustosa e violenta marea nera. La grandiosità di Matteotti, la bellezza sua e della moglie. Le lotte politiche fratricide tra massimalisti, riformisti e comunisti. La magnifica interpretazione della Sarfatti, amante storica del Duce, che lo educa alla mondanità, ne cura l’immagine e l’intelletto. Un libro, quello di Scurati, che non può mancare da ogni biblioteca che si rispetti. Di Maurizio Bonanni
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