È tutta questione di…
stile di vita.
La ricerca più importante sulla realtà attuale e prevista di questa malattia risale al 2013 grazie allo studio di un gruppo di ricercatori australiani del Qeensland e pubblicato sulla rivista scientifica
PLOS Medicine.
Secondo questo studio, il
Medio Oriente e il
Nord Africa sono le zone del mondo in cui vi sono i più alti tassi di depressione, e in generale questa malattia è la seconda disabilità più diffusa al mondo, visto che affligge circa il 4% della popolazione. E le previsioni per l’Europa non sono ottimiste, perché nel 2030 sarà la patologia più diffusa nel Vecchio Mondo, con delle conseguenze davvero significative se non cominciamo a correre ai ripari.
Ma come possiamo contrastare questa vera e propria emergenza
mondiale, più diffusa fra le donne che fra i maschi e che arriva ad invalidare la vita quotidiana di molte persone, le loro relative famiglie per non parlare dei costi che tale patologia rappresenta per tutti i sistemi sanitari nazionali?
Durante un interessante convegno che si è svolto a La Spezia, il 29 novembre scorso, organizzato dalla ASL n. 5 della
Liguria, in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze, è emerso chiaramente come un approccio esclusivamente farmacologico, seppure fondamentale ed indispensabile, a seconda dei casi, sia insufficiente.
Il nostro
cervello è decisamente l’organo più vincolante del nostro corpo, nel senso che coordina il funzionamento di tutti gli altri organi, nelle loro funzioni specifiche e nel determinare il funzionamento di tutto l’intero corpo. Per questo motivo, la relazione che esiste fra il nostro stile di vita e il nostro umore è talmente stretta che solo una attenta lettura di quest’ultimo può fornire i dati che ci permettono la formulazioni di una giusta diagnosi e quindi degli interventi terapeutici possibili. La relazione che esiste tra il nostro sistema immunitario, il benessere del cervello che ci fa sentire di “buon umore”, la nostra alimentazione, il movimento fisico e l’espressione artistica, è talmente stretta che è sufficiente intervenire su una di queste dimensioni esistenziali per aiutare la mente a programmarsi positivamente in tutte le espressioni della vita quotidiana.
Dunque, la
depressione può essere davvero curata con un intervento integrato che si rivolga a più sfere della vita delle persone che ne sono affette, mettendo in primo piano il ruolo della
relazione affettiva che ogni persona sviluppa con quello che fa, con i prodotti dei propri desideri e bisogni.
Un mondo che non permetta ai suoi
cittadini di esprimersi secondo relazioni affettive, che non garantisca la quotidianità del
fare e che non riporti l’utilizzo del
tempo a livelli di apprezzamento soggettivo, senza dare la sensazione di essere sempre in ritardo, è solo espressione criminale generalizzata del tutti contro tutti. Ma per amarci è necessario imparare ad amare tutto quello che è diverso da noi, specialmente quando questo
diverso, a ben vedere,
abita in noi da sempre.
Molto spesso abbiamo paura di noi stessi e
crediamo che siano gli altri a spaventarci.
Di
Alessandro Bertirotti, l'Antropologo della Mente