Ago 21

Ora dove va la Sicilia. Valeva la pena aprire una crisi di governo?

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  ROVESCIO DELLA MEDAGLIA  

di Enzo Coniglio   Il modo migliore per vivere infelice e in mezzo ai conflitti fino ad ottobre in Sicilia, è quello di impegnarsi ad analizzare la situazione politica attenendosi ai fatti certi e accertati e pubblicare i risultati in un quotidiano on line come Siciliainformazioni.com, dove i lettori possono interagire nel rispetto dell’etica professionale e dei valori morali inalienabili. Ho qui di fronte montagne di ritagli stampa e interventi mediatici divisi per istituzioni e per argomenti. E’ come giocare a dama: i bianchi sono le istituzioni e i neri sono gli argomenti. E’ un bellissimo gioco che invito tutti voi a replicare. Tra le istituzioni – candidati, la parte del leone la fa naturalmente Rosario Crocetta: candidato della prima ora, eurodeputato e magistrato, dinamico, onnipresente, con poco contraddittorio in rapporto al volume degli interventi, con un quotidiano importante, come “la Sicilia” che gli concede lo spazio per farsi conoscere e apprezzare. Occupa l’area di centro – centro-sinistra con l’alleanza dichiarata con il PD e l’UDC. Il programma di governo di Rosario Crocetta? Nulla di nuovo e di originale, con due lacune importanti: l’assenza di un strategia di internazionalizzazione della Sicilia in ambito mediterraneo ed euromediterraneo che invece dovrebbe costituire il vero volano dello sviluppo nei prossimi quattro anni. La seconda lacuna è rappresentata da una inadeguata analisi della crisi finanziaria internazionale in cui risiede il nocciolo duro per la soluzione della crisi siciliana, oltre che italiana, europea e internazionale. Esiste inoltre un’area grigia non meno perniciosa che riguarda l’area dell’autonomia intesa come ambito all’interno del quale elaborare un “piano-programma-progetti” che coniughi in maniera stringente e altamente professionale, l’individuazione degli Obiettivi da raggiungere in Sicilia; il reperimento delle Risorse finanziarie, economiche e umane e una “griglia” di impieghi coerenti e adeguati agli Obiettivi e alle Risorse. E’ assolutamente comprensibile che Rosario Crocetta consideri l’UDC fondamentale nella sua strategia presidenziale, ma non è detto che tale alleanza sia sicuramente positiva per lo sviluppo dell’Isola se non viene prima definito un preciso programma di sviluppo regionale. Invece siamo tutti d’accordo quando Rosario Crocetta afferma all’indomani di Ferragosto: “Mentre La Sicilia affonda, tutti litigano. Di fronte alla grave crisi sociale, economica e morale che soffoca la Sicilia, bisognerebbe far prevalere il senso di responsabilità. Invece, mai come adesso la politica siciliana e’ stata divisa. Ciascuno pensa al 5% dello sbarramento e nessuno riflette sul fatto che dobbiamo risanare i conti, senza macelleria sociale, che dobbiamo sburocratizzare”. E in effetti, il precedente governo stava riuscendo in parte a sanare i conti, a sburocratizzare e ce l’avrebbe fatto se non fosse stato sottoposto al più pesante vilipendio senza giusta causa. La causa della decadenza siciliana non è certo il governo Lombardo! E’ una autentica macelleria politica farlo apparire come tale, caro Crocetta. Nè tantomeno il nuovo Rinascimento da Lei evocato può essere realizzato da Lei o da qualche persona singola. Occorre un impegno corale di autentici professionisti che sottolinei ciò che ci unisce, che smorzi i toni e che ponga come punto essenziale strategico di partenza l’impegno a realizzare un serio e approfondito Umanesimo nella consapevolezza che non è pensabile alcuna forma di Rinascimento senza aver prima realizzato un Umanesimo di base. Naturalmente le mie non sono critiche alla persona e al programma in sé; sono delle annotazioni che scaturiscono dai documenti. Certamente Roario Crocetta saprà chiarire e arricchire i suoi programmi nelle prossime settimane e lo stesso farà l’UDC. Rebus sic stantibus, bisogna concludere provvisoriamente che il Progetto Crocetta non appare molto diverso da quello dell’MPA (partito dei Siciliani) il quale ha tra l’altro dei vantaggi complementari di non poco conto. Innanzitutto una risorsa umana come l’Assessore Massimo Russo, della stessa formazione professionale di Crocetta, determinato anche lui a lottare le illegalità e le ingiustizie e con dei concreti risultati invidiabili di gestione regionale ben apprezzati a livello nazionale ed europeo nel settore della sanità e non solo. I due personaggi sono altrettanto validi e alternativi. Se Russo fosse anche lui un candidato indipendente non sarebbe meno capace di Crocetta nell’assicurare i risultati attesi. L’MPA ha un’altra risorsa umana non meno importante rappresentata dall’Assessore Gaetano Armao, molto noto e apprezzato all’interno della conferenza Stato-Regioni; protagonista di importanti interventi giuridici e politici in difesa della autonomia siciliana e determinato a rivedere il patto di stabilità e a garantire un bilancio siciliano e un piano di sviluppo realista ed efficace. Piano la cui attuazione dipende in grandissima parte dell’appoggio che i nostri corregionali sapranno dare in fase elettorale. Il contributo dato dall’Ass. Armao al miglioramento delle condizioni dell’Isola non è inferiore a quello dato da altri Assessori. Il PD siciliano ha preferito in questa ultima fase, l’alleanza con Rosario Crocetta abbandonando in parte l’MPA. Si può capire con il sopravvento assunto dalla politica gridata sui problemi reali. In realtà il progetto PD potrebbe essere realizzato sia con Crocetta che con l’MPA. Una parola sul PDL e Miccichè: Mi appaiono come degli alieni approdati in terra di Sicilia. Attendono il beneplacito del Capo e non sono generati dalla costola della Madre Padre Sicilia. E’ il retaggio di quel 61 a zero che si è rivelato per l’Isola un autentico disastro. Naturalmente si potrebbe continuare con altre annotazioni che comunque appiono marginali allo stato attuale nel nostro panorama siciliano. In conclusione, esaminando i dati drammatici dell’economia e della occupazione e le alternative emerse fino ad ora, sembra emergere molto poco di nuovo a tal punto da chiederci se valesse proprio la pena realizzare delle elezioni anticipate. Con l’augurio che alle ciancie si sotituisca un alto senso etico e di responsabilità e che alle opposizioni personali gravemente dannose si sostituisca l’elaborazione di progetti operativi di prima grandezza.   Enzo Coniglio Da SiciliaInformazioni.com del 19/8/2012
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Ago 15

Banche dello scandalo Libor: “Banditi in doppiopetto gessato”

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Di Enzo Coniglio

 Non volevo credere ai miei occhi, ieri mattina alle sette, quando sfogliando il Sole 24 ore, mi sono imbattuto in un editoriale di prima pagina sul Liborgate, dal titolo: “Basta segreti sul mercato dei tassi”, firmato da Marco Onado, docente alla Bocconi, ordinario di Economia degli intermediari finanziari.

Mi sarei aspettato una disamina compassata su un tema di grande attualità come si conviene ad un docente bocconiano secondo lo stereotipo più accreditato. E invece cosa mi tocca di leggere in apertura di articolo? “Coloro che hanno piegato a proprio vantaggio il processo di formazione di un tasso [Libor] che riguarda oltre 500 mila miliardi di derivati, meritano ampiamente la qualifica di “banditi in doppiopetto gessato” o più semplicemente di “banksters” usata dal Commissario europeo Viviane Reding, ma anche da giornali che non possono essere considerati inclini al giustizialismo populista, come l’Economist”.

Come dire, che il Sole 24 ore si associa responsabilmente ai maggiori media internazionali per denunciare e mettere al bando quella finanza internazionale che opera impunemente ormai da troppi anni al di fuori delle pìù elementari regole dell’etica e della convivenza civile, adottando le regole della giungla e, pertanto, da autentici gangsters del settore bancario (da cui banksters), non solo in ambito Libor, come abbiamo costantemente denunciato anche in questo organo di stampa.

Esagerato? Nulla affatto se pensiamo sia ai sacrifici disumani che tale comportamento ha imposto a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, primi tra tutti, ai cugini Greci, sia ai guadagni stratosferici a vantaggio di gruppi speculativi. Basti pensare, ricorda Marco Onado che : “La spinta a truccare il meccanismo [del Libor e Euribor] era fortissima… Bastava modificare il livello del tasso di un basis point (un misero centesimo di punto percentuale) per ottenere un profitto di 2 milioni di sterline….Le pratiche manipolative risultavano tanto diffuse da far parte della cultura comune delle trading room… e sembrano basate sulla certezza di impunità non solo ai controlli interni ma anche a quelli delle autorità di vigilanza”.

Come dire, un sistema strutturalmente marcio in cui non è più sufficiente eliminare la classica singola pera maarcia per andare avanti: occorre cambiare le regole del sistema perchè marcio alla radice e opaco nella gestione.

Ma non è questo il solo settore critico che richiede interventi strutturali. L’altro settore non meno critico è quello delle agenzie di rating che hanno manipolato pesantemente la concessione dei rating e che presentano al loro interno dei conflitti di interesse non più accettabili. Ma la cosa più grave, è la loro capacità di distorcere le regole del mercato bancario, penalizzando chi offre credito alle imprese e alle famiglie e premiando le banche che effettuano interventi di tipo speculativo, come rilevato da Samuele Sorato, direttore generale della Banca Pololare di Vicenza in occasione del recente downgrading di alcun banche italiane da parte di S&P (Standard & Poor’s): “Faremo ricorso contro S&P, vogliamo capire con quali modalità agisce l’agenzia. Faccio notare che il taglio è arrivato via telefono . Nessun incontro, nessuna possibilità da parte nostra di spiegare cosa stiamo facendo per tamponare l’aumento dei prestiti in sofferenza. Ma ci si dimentica che nel nostro caso abbiamo aumentato gli impieghi dal 2008 a oggi di tre volte rispetto alla media del settore. Il paradosso è proprio questo: veniamo penalizzati perchè abbiamo dato credito all’economia del territorio. E in genere le banche commerciali vengono sfavorite rispetto alle grandi banche d’affari che fanno profitti con la finanza speculativa”.

Come dire, che è la speculazione a fare la parte da padrona e a snaturare le stessa funzione delle banche, con l’aiuto non rascurabile delle stesse agenzie di rating che mantengono il loro potere malgrado le gravissime criticità riscontrate e i processi in corso.

Ma l’economia non può essere innessun caso fondata sulla finanza speculativa!

Per non parlare del differenziale Bund – Btp di alcuni punti (200 -300) al di sopra di quanto suggerito dai fondamentali economici dei due Paesi con la conseguenza di peggiorare il nostro debito pubblico e ridurre notevolmente la competitività delle imprese italiane che rischiano di essere messe fuori mercato a tutto vantaggio di quelle tedesche che attirano così enormi capitali esterni a costi addirittura negativi,se si considera l’inflazione.

E potremmo continuare. L’intervento di Marco Onado ha dato la stura alla critica severa e non rinviabile del sistema finanziario che va profondamente rivisto unitamente al sistema che sta a fondamento dell’Euro e al progetto di integrazione dei Paesi che fanno parte dell’Unione Europea.

Ma c’è un punto che ci divide dall’analisi di Marco Onado secondo cui il sistema in fondo può essere modificato anche se con diverse difficoltà. A nostro avviso, invece va prima ribaltato nelle premesse e poi ricostruito su basi nuove. E il ribaltamento consiste nel riportare la finanza al suo ruolo naturale di “strumento” della crescita e della sviluppo economico entro regole certe e democraticamente stabilite. Attualmente si comporta come se fosse il “fine” degli interventi e delle operazioni mentre la persona umana e le società sono confinate a ruolo di “strumenti operativi”. Soltanto un ritorno ad un nuovo Umanesimo classico, cristiano e rinascimentale potrà realmente riprogettare con successo il mondo intero.

Ma questo è un altro discorso che merita ben altro spazio.

Una annotazione al margine. Mario Monti e Corrado Passera continuano a ripeterci che possiamo farcela ad uscire dalla crisi da soli. Alla luce di queste considerazioni, siamo convinti che non è possibile e che, anche se fosse possibile, non sarebbe opportuno perchè il costo da pagare sarebbe troppo alto oltre ad essere illogico mantenere intatto un sistema corrotto fino al midollo e noi Italiani, eroi in un modo marcio.

Assolutamente incompresibile, Presidente Monti.

  Di Enzo Coniglio Da ItaliaInformazioni dell'8/8/2012
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Ago 13

Quando lo sport diventa un incubo

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Quando lo sport diventa un incubo - Vanessa Seffer Voleva tutto e ha perso tutto Alex Schwarzer.. Ma era solo lui che voleva tutto? Perché dopo aver visto l’intervista integrale dell’atleta, due giorni dopo l’esplosione del caso e l’averne sentite di tutti i colori su di lui, ho subito pensato che gli interessi intorno ad un campione, sono miliardari ed oltre allo stesso c’è una famiglia, una compagna, una sfilza di allenatori e preparatori, più o meno in buona fede, anche di amici (andiamo!), di sponsors che guadagnano su questo, e per anni mettono una pressione che non ha limiti, trasformando il piacere dello sport, quindi una passione, in un vero incubo. Non tutti reggono evidentemente. Non tutti gli sportivi hanno capacità imprenditoriali. Se uno qualsiasi si mettesse a dirigere l’Harry’s Bar di Via Veneto probabilmente fallirebbe nell’arco di una settimana, specie di questi tempi. Per ogni cosa ci vuole stoffa e non tutti ce l’hanno. Si può averla per correre i 50 Km, allenarsi duramente, ma non per reggere in eterno il carico di non vedere la famiglia per mesi o gli amici, la propria ragazza se non una volta al mese. Quando certi sacrifici li fai poi per 20 anni è come se avessi fatto vent’ anni di galera. Se lui, Schwazer, l’ha vissuto così ad un certo punto, non possiamo farci niente. Non si può ignorare l’SOS che un figlio ti lancia ad un certo punto e Alex dopo Pechino lo aveva fatto, aveva detto a sua madre disperatamente e più volte che non ce la faceva più.  Sicuramente lo aveva detto anche ad altri. Ma nessuno lo ha ascoltato. Questo ragazzo è felice di essersi levato un peso. L’ho visto con la testa bassa e piangere nella prima mezz’ora della sua intervista, sembrava più una deposizione. Si vergognava. Ha usato proprio questa parola con fare liberatorio. Ha distrutto consapevolmente una vita di sacrifici. Ha cancellato agli occhi del mondo anni di rinunce personali. Ha scagionato persone che non c’entravano niente, dando solo a se stesso la colpa della scelta dell’assunzione delle sostanze che sono state rilevate, poi finalmente ha alzato la testa e ha cominciato a respirare, sembrava pensasse che da quel momento poteva sopportare qualunque cosa. Era finalmente libero dai suoi aguzzini, da chi lo aveva tormentato, costretto, non compreso e convinto ogni volta lui volesse rinunciare ad aspettare ancora un po. Finalmente libero da chi se n’è fregato di fare di lui una macchina per i soldi. Mi viene in mente un articolo letto su La Repubblica di alcuni giorni fa: riguardava il più grande nuotatore della storia olimpica, Michael Phelps. 22 medaglie. Una stella che dopo aver vinto la sua ultima gara l’altro giorno, la staffetta mista, ha lasciato per sempre la carriera sportiva. Ha detto “adesso devo cominciare a vivere”. Phelps ha solo 27 anni e ha cominciato a 7 anni ad essere accompagnato dal padre e dalla madre, separatamente perché divorziati, in piscina. Ogni giorno dopo la scuola. Anche per lui, quindi, niente vita. Aveva paura di nuotare da piccolo, fino a quando non l’ha superata (iniziando con il dorso) ed è diventato il più grande di tutti. Ma esserlo diventato è stata una condanna, perché i coetanei lo trovavano antipatico, pertanto Michael non aveva amici. Uno che vince non sempre ha amici. Aveva i brufoli sulla faccia quando ha cominciato a vincere medaglie pesanti, quindi lo prendevano anche in giro. Quante invidie e quanti sospetti su di lui, sui suoi allenatori, sui preparatori. Adesso tutti tengono gli occhi puntati sui cinesi e sull’altra stella nascente, l’americana Katie Ledecky. Non abbiamo più molto per cui sognare noi comuni mortali, ci stanno rubando ogni cosa, il futuro, il lavoro, abbiamo solo incubi. Ogni nazione ha i suoi, quindi lo sport e questi giovani dei dell’olimpo ci aiutano a superare qualche tensione, a sciogliere i turbamenti della quotidianità di questa estate così lunga e calda. Ma quanto costa a questi ragazzi! Come ha detto Alex, ci si prepara tutto l’anno, ogni giorno per ore, ripetendo sempre le stesse azioni, per fare una sola gara. Se questa va bene allora il merito è di tutta la squadra. Se questa va male allora il problema è dell’atleta che è “debole di testa”. E tutti i sacrifici di una persona che si dedica e mette in gioco la sua vita non sono serviti a niente. Quanto vale la vita di una persona? Alex spera di avere una vita e un lavoro normale, di essere giudicato senza sconti di pena e di liberarsi di un “peso” terribile. Sa di aver commesso un errore fatale che ha rovinato tutta la sua carriera. Vanessa Seffer Da Palermomania.it del 9/8/2012
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Ago 12

La distribuzione

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La distribuzione

La distribuzione

 

 

Ogni essere umano è sempre psicologicamente legato a quello che crea, specialmente quando crede che un particolare prodotto sia il risultato di una propria autonoma realizzazione.

Anzi, direi che nella maggioranza dei casi si crede di essere noi, nella nostra solitudine intellettiva, gli artefici di qualcosa di straordinario, anche quando questa sensazione è fortemente smentita dai fatti concreti. Siamo spesso convinti di agire ad un livello tale di originalità nelle nostre azioni e pensieri da percepire la nostra esistenza come frutto di una intoccabile esclusività, andando così incontro all’idea di essere soli, persino incompresi.

In realtà, ogni forma di sapere, evoluzione ed insegnamento è tale solo nel momento in cui si presenta alto, per non dire altissimo, il suo livello di distribuzione, di diffusione culturale, dunque di partecipazione sociale al contenuto espresso.

Senza questa dimensione, il sapere e la conoscenza restano una semplice presunzione autoerotica con la quale l’individuo alfabetizzato si provoca sentimenti onanistici che allontano dal suo ragionamento tutti i lettori che, sia pur armati di buone intenzioni, abbandonano il compito della lettura.

Dire che in questa Nazione non si legge, con la presenza di molti più libri che lettori, addossando la colpa a coloro che sembra non vogliano leggere, è semplicistico e, secondo me, decisamente lontano da una coscienza culturale onesta.

In altri termini, voglio dire che la mente umana fonda il proprio pensiero e la sua relativa evoluzione proprio in quelle azioni socio-culturali che si traducono in costante e continua solidarietà umana, rivolta a tutti e per tutti.

Il primo atto di solidarietà fra esseri umani, ancora prima di occuparsi del significato che sta dietro tale atto, è appunto quello della vicinanza empatica, che è il risultato di un insieme di sensazioni positive o negative che tale rapporto può suscitare. Questo tipo di relazione è presente anche durante la lettura, quando l’autore riesce ad entrare in contatto con la dimensione più intima e profonda dei lettori e più tale dimensione si fonda su elementi universali e compartecipati, tanto più il proprio scrivere giungerà ad un maggior numero di menti.

Proprio in questa relazione empatica risiede il concetto di distribuzione del sapere, che non ha nulla a che vedere con la distribuzione dei testi nelle librerie o negli autogrill da parte delle agenzie specializzate in questo mestiere. In effetti, parlo di un altro tipo di distribuzione, molto più vincolante per gli esseri umani, perché possiede la capacità, a lungo andare, di cambiare molti atteggiamenti mentali e comportamentali.

Per raggiungere quest’ultimo obiettivo è però necessaria la presenza di autori che siano consapevoli di un fattore primario della comunicazione: l’umiltà, ossia la presenza in chi scrive di uno stile di vita secondo cui è possibile imparare da tutti e in qualsiasi situazione, senza sentirsi mai giunti alla meta finale del sapere universale. Solo in questo caso penso si possa affermare di essere in presenza di un autore serio intellettualmente ed eticamente, altrimenti qualsiasi altra motivazione sottesa allo scrivere non risulterebbe funzionale allo scopo: il cambiamento delle cose, dello status quo.

Questo non accade sempre, anzi, mi sembra che accada molto di rado. E faccio riferimento alle molte discussioni presenti in internet, nei social forum, oppure su fb. In molti dialoghi intellettualmente interessanti, resto fuori dalla discussione perché ho la sensazione di scrivere per persone che hanno già deciso di non ascoltare, nonostante il mio tentativo di essere il più chiaro possibile.

In sostanza, non possiamo lamentarci troppo di questo dilagante analfabetismo di ritorno perché siamo stati noi che abbiamo abituato i nostri lettori a mantenere un rapporto con le idee scritte sui testi, oppure saggiamente ripetute al bar, assai lontano dallo stile di vita dell’autore. In effetti, sono gli interlocutori che stabiliscono quanto un individuo possa essere esperto in quello che afferma e scrive, attribuendogli “il diritto di cittadinanza” presso la loro mente.

Ma se non cambiano le menti del lettore e dell’autore, perché quest’ultimo diventi il primo ed il secondo il primo, le cose sono destinate, sempre secondo la mia opinione, a non trovare una via d’uscita educativa che sia soddisfacente.

Purtroppo, lo stesso problema si pone a scuola, specialmente all’Università, all’interno della quale sono molti i colleghi e i giovani che si fanno la guerra con lo scopo di affermare, un giorno e se accadrà, di essere loro i vincitori di questa ridicola guerra di parole e comprensione.

 

 

Fonte foto: www.italian.alibaba.com

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Ago 04

Addio Renato Nicolini inventore dell’Estate Romana

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Fu assessore al Comune di Roma e a quello di Napoli e il suo nome resta legato alla "rinascita" culturale della capitale dopo il terrorismo e gli anni di piombo. Fu architetto, professore e intellettuale scapigliato. Lo soprannominarono il "re dell'Effimero" ma il suo modello culturale reinventò le città estive

Addio Renato Nicolini inventore dell'Estate Romana Renato Nicolini
E' morto Renato Nicolini, ex assessore del Comune di Roma, celebre per aver inventato l'Estate romana. Architetto, intellettuale e professore scapigliato, era nato a Roma il 1 marzo del 1942. Era malato da tempo, stamani ha avuto problemi respiratori. Dopo gli anni bui degli anni di piombo, riportò in piazza la Cultura. A darne notizia, su Twitter, è stato Stefano Di Traglia, portavoce del segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Una delle sue ultime  battaglie civili, il no al progetto di discarica accanto a Villa Adriana. Se n'è andato proprio nei giorni caldi della sua Roma d'estate, quella che fece riscoprire allegra, luminosa e amica ai suoi concittadini dopo gli anni di piombo. Dal 1976 al 1985, s'inventò la leggerezza di tornare in piazza, l'effimero per uscire dal clima buio. Negli anni in cui erano sindaci a Roma Carlo Giulio Argan ( e disse "Senza un Argan non sarei mai diventato assessore dell'effimero"), Luigi Petroselli e Ugo Vetere. Dieci anni di Cultura e di estro, con lui, l'assessore comunista poco più che trentenne che si presentava sui palcoscenici col cappello di carta da muratore e i riccioli vaudeville. Dal 1983 fu anche deputato per tre legislature prima del Pci e poi del Pds. Raccontò di aver stracciato a un certo punto la tessera del Pd, poi però si riscrisse e provò a candidarsi, sostenuto dai tanti amici
di sempre, alla carica di sindaco.
DAL SUO LIBRO I RICORDI DELL'ESTATE ROMANA E' morto nella sua casa romana a Trastevere e, nonostante la malattia, era attivo fino alla settimana scorsa nel suo lavoro di docente ordinario presso l'università di Reggio Calabria, e curatore del Teatro dell'Università, e nei suoi molti impegni culturali e politici. La sua città d'estate, oltre 35 anni fa? Era come una tavolozza d'estate: qui il cinema, là il teatro, lì accanto la rassegna solo per bambini, e i poeti a Castel Porziano, e il cinema di Massenzio col Napoleon applaudito da Jack Lang, e i Balli intorno al laghetto di Villa Ada e la riapertura agli spettacoli pubblici dello stadio dei Marmi, e la "riscoperta" degli spazi di Cinecittà, e concerti, e balletti e festival di luci e le feste di ferragosto. La "sua" Roma da assessore come mai se ne erano visti nella Capitale, città  che usciva dalle giunte democristiane degli scandali e dei sacchi urbanistici, era un gran contenitore di "cose colorate e allegre", un po' come venne descritta da uno dei manifesti ufficiali, un variopinto e surreale Colosseo che strabuzza di oggetti buffi, che chiama al sorriso. Su quelle Estati, Nicolini ci scherzava anche sopra. Scadenzando le nascite dei suoi figli. "Ottavia nata nell'anno di Massenzio, Cecilia nel '93 in piena campagna elettorale, Giovanni nel '97 ancora elezioni e anno del ritorno a Roma e poi l'altro, Simone che è come un quinto figlio... ognuno ha una sua collocazione". Lui, l'inventore dell'Effimero romano che fece scuola in tutte le altre città d'Italia - e anche del breve rinascimento napoletano col sindaco Bassolino, quando gli venne in mente di offrire dei baci Perugina "comunali" per San Valentino e intitolare una rassegna da ridere o da piangere "Secondigliano? Fegato sano"?, spiegava semplicemente il perchè. "In fondo sono stati anni di gioco. Mi piaceva far sentire i giovani e gli abitanti delle periferie più degradate parti integranti della città. Così entravano nella Basilica di Massenzio da protagonisti e non da esclusi come accadeva per l'Auditoriun di Santa Cecilia". A Roma ancora ci si perdeva. "Non guido la macchina, giro molto a piedi ed è una città che solletica il mio lato surrealista. Arrivo sempre tardi agli appuntamenti perchè lungo il cammino trovo sempre qualcosa che mi incuriosisce". Nella parentesi napoletana portò anche lì una ventata di freschezza: scrisse "Napoli, angelica Babebe" e a voce diceva che la città era come "un inferno abitato da angeli". Trasformò in trash art la spazzatura per le strade, raccontò come avvenne l'investitura di Bassolino. "Me ne stavo tranquillo all'università di Reggio Calabria quando arrivò la sua telefonata: "Senti, io sono un pò pazzo...ma so che tu lo sei più di me...". Si convinse, spiegò Nicolini, soprattutto per una frase del programma del sindaco: "Ricostruire come dopo una guerra...Ricominciare dall'infanzia". Lunedì  la camera ardente sarà ospitata in Campidoglio.     Simona Casalini Da Repubblica.it
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Lug 29

Il trionfante

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Il trionfoUn trionfo… che termina
Ho avuto già occasione di scrivere in passato che stiamo vivendo un periodo storico interessante, anche se decisamente complesso, e sotto diversi punti di vista. Uno di questi riguarda certamente le considerazioni che attualmente i mass-media sembrano volerci proporre circa gli scopi per cui varrebbe la fatica di vivere. Non mi sto riferendo a particolari format televisivi o ai banali programmi di intrattenimento serale (anche se questi ultimi manifestano altrettanti spunti di riflessione generale…), ma alla parte, secondo me più significativa, della programmazione televisiva contemporanea: gli spot pubblicitari. In effetti, per essere sincero, accendo raramente la televisione e solo per vedere poche cose e fra queste la pubblicità, nella speranza che di settimana in settimana vi sia qualcosa di nuovo e per rendermi conto dei cambiamenti che avvengono e in quale direzione ci spingono gli esperti della comunicazione occulta. Detto questo, mi sembra di notare che in tutti i canali televisivi, compresi quelli della TV digitale, emerga un dato inequivocabile e cioè che esiste in questo mondo Occidentale uno scopo comune, quasi oggettivo, cui dobbiamo mirare con tenacia: la conquista del successo, secondo tempi che non siano troppo lunghi, e l’affermazione della propria identità attraverso l’ostentazione del denaro. Il denaro ed il successo sono gli elementi fondanti la nostra contemporanea vita occidentale, e penso purtroppo che lo siano anche per quella parte di Oriente che ha rinunciato a proporsi come il luogo di antica e rigeneratrice saggezza di vita. E non solo questi due “fatti” della vita quotidiana sono tra loro indissolubilmente legati, ma per poterli raggiungere, almeno così come mi sembra di intuire, devono essere tra loro in un rapporto di reciproca veicolazione, ossia l’uno prepara all’altro e viceversa. In sostanza, chi ha successo ha anche denaro e tutti coloro che hanno denaro sono persone di successo. Non voglio entrare in questa sede nel tema del successo, ossia ragionare su quello che possiamo intendere per successo, singolarmente e secondo prospettive anche diverse, perché non è questa la questione che vorrei porre. Quello che qui mi interessa è invece richiamare la vostra attenzione sul risultato che tale associazione produce nelle nostre menti, e sui comportamenti che da tale risultato derivano, perché è proprio nelle nostre azioni quotidiane che si manifestano con maggiore forza i condizionamenti subliminali della pubblicità. Ho la sensazione che il comportamento manifestato dalle persone “arrivate a questo tipo di successo” sia quello delle persone trionfanti, ossia quelle che dimostrano in loro il trionfo di uno stile di vita preciso, trionfo che non è da confondersi con quello che Bert Hellinger ritiene essere il successo. Quest’ultimo possiede una dimensione sociale evidente, perché sono gli altri che attribuiscono una serie di meriti ad una persona che, proprio per questo, giunge al successo. Sono gli altri che riconoscono in lui oppure in lei una serie di qualità esistenziali tali da rendere la persona un punto di riferimento generale, un cosiddetto modello da imitare. Il trionfatore ha invece fatto terra bruciata attorno a sé, proprio perché per poter affermare la propria assoluta individualità crede di non aver bisogno di nessuno e che tutti, tranne lui, possono essere sostituiti oppure comprati. In questa situazione, coloro che sottostanno al trionfatore sono privi di volontà esistenziale, incapaci persino di reagire di fronte a manifestazioni di prepotenza, perché sono talmente annichiliti dalla personalità trionfante che non riescono più a trovare valide motivazioni per ribellarsi. Ma il trionfatore, la figura che oggi rappresenta meglio gli individui che stanno dietro questa premeditata ed organizzata Terza Guerra Mondiale, quella economica che stiamo tutti vivendo, è quasi sempre solo, oppure si ritrova alla fine ad esserlo. Non potrebbe essere altrimenti, visto che la sua dinamica esistenziale è quella di sottomettere gli altri in nome del successo e del denaro! E se, a forza di riprodurre questo atteggiamento, i soccombenti non riuscissero più ad essere tali, ossia si trovassero nelle condizioni di sentirsi degli zombi (quello che praticamente la crisi finanziaria intende produrre nelle nostre menti), senza volontà ma con un forte e crescente sentimento di aggressività, come potrebbero sopravvivere i trionfatori? Non potrebbero più trionfare su nessuno e dovrebbero cercare di ritornare ad essere uomini di successo, ossia uomini che mettono al servizio degli altri il proprio talento. Bene, allora sta a noi togliere la spina a questi signori, ritrovando, nella semplice e normalissima vita quotidiana, i motivi per cui valga la pena faticare, scegliere e decidere circa il proprio destino, oltre il binomio successo-denaro. Sarebbe sufficiente cominciare a dire (dunque a dimostrare facendo…) che vi sono alcune cose che non potranno mai essere ricompensate con il denaro, azioni e professioni che, pur pagate, non avranno mai un reale prezzo quantificabile, anche se retribuito in parte. Vogliamo forse credere che sia possibile realizzare il binomio successo-denaro in un genitore, quando un giorno dovesse presentarci il conto del proprio impegno educativo? Pensiamoci allora, e cominciamo a trattare la nostra vita e la nostra mente con la serietà che entrambe si meritano.  
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Lug 02

La coscienza

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La coscienza

Noi in vita
La nostra specie è l’unica ad essere dotata di coscienza, anche se non siamo del tutto certi che altri esseri animali siano dotati di manifestazioni mentali che si avvicinino alla funzione che essa assolve. Se questo è possibile, diventa necessario per noi proporre una definizione precisa di cosa sia la coscienza. La coscienza è la funzione principale della mente, grazie alla quale ogni individuo è presente agli stimoli esterni e interni della realtà in cui vive, che determina la formazione di un “sentire e credere” (convincimenti) qualche cosa circa la propria identità. In quest’ottica, la coscienza diventa necessariamente la dimensione più importante della nostra esistenza in quanto esseri umani, perché è grazie ad essa che riusciamo a collegare fra di loro il passato, il presente e il futuro all’interno di una architettura che preserva in noi il sentimento di identità personale con il cambiamento che lo scorrere del tempo prevede. In altri termini ancora, la coscienza ottiene il risultato, nel suo funzionamento, di farci percepire il nostro permanere uguali a noi stessi pur nel cambiamento delle circostanze, e viceversa, di farci percepire i nostri cambiamenti interiori ed esteriori in circostanze identiche. La prova di questo importantissimo funzionamento della mente, grazie alla presenza della corteccia cerebrale, è nella comune percezione secondo cui ogni individuo afferma costantemente di essere se stesso anche cambiando qualche cosa di se stesso. Si tratta di permanere cambiando e cambiare permanendo, secondo una relazione dinamica fra ciò che ogni individuo crede di essere e fare e ciò che cambia intorno a lui stesso e dentro se stesso. Appare chiaro come questa funzione mentale sia pre-ordinata geneticamente, si sviluppi assai lentamente durante l’evoluzione ontogenetica (ossia a partire dallo sviluppo del bambino sino al decesso) e giunga al suo funzionamento relativamente costante e continuo solo dopo i diciotto anni. Abbiamo parlato di funzionamento relativamente costante della coscienza, perché in alcune circostanze, esclusa la notte quando si dorme e si sogna, la coscienza può alterarsi, ossia funzionare sottotono oppure sopratono. Per esempio, durante un periodo di depressione esistenziale, il funzionamento della coscienza è decisamente compromesso, perché anch’esso è influenzato dal tono generale dell’umore. Inoltre, sempre in questo caso, interviene la stessa coscienza a determinare la percezione di una identità depressa in quel preciso periodo di vita. In sostanza, il ruolo della coscienza è quello di ricevere informazioni interne ed esterne a se stessa integrandole all’interno del sentimento della propria identità, ma nello stesso tempo è essa stessa che invia messaggi al cervello circa lo stato di se stessa. Siamo in presenza di una relazione biunivoca fra la coscienza, le sensazioni fisiologiche e le percezioni elaborate che la raggiungono, e il suo rispondere a tali stimoli con la produzione di un pensiero che permette la formulazione di questa frase: “io sono in questa situazione”. Ed ecco che nasce l’idea di presente e di essere presenti a se stessi e ad una situazione. Senza coscienza non esisterebbe dunque nemmeno la percezione del tempo, del cambiamento e della propria identità. Quando essa viene minata, attraverso una serie di informazioni volutamente contraddittorie dall’ambiente esterno con cui si tende a indebolire la capacità di comprendere il presente (come accade in questo periodo), è evidente che la coscienza non riesce a pensare al futuro, ossia a “lavorare” affinché l’individuo sia in grado di immaginarsi in qualche modo in un tempo a venire. Se il presente non viene compreso, ossia le persone non riescono ad intendere verso quale direzione approderanno i cambiamenti sociali ed economici in atto, il sentimento di identità personale sarà lungamente limitato ad un presente senza futuro, creando uno “sbandamento” cognitivo nella persona che non riesce ad individuare gli scopi per cui valga la pena faticare, lavorare ed operare scelte precise. Tutto questo discorso vuole evidenziare una situazione globale nella quale ci troviamo che reputiamo decisamente grave: la presenza di una “comunicazione mediatica” completamente falsata rispetto alle esigenze delle coscienze umane (sapere perché nel presente “siamo in un certo modo” in vista del futuro) comporta quello sbandamento di cui abbiamo parlato. Non avere chiaro il perché di quello che la coscienza percepisce come presente, significa produrre un “decesso in differita” della popolazione mondiale…
Da Controcampus
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Lug 01

Appello urgente di una petrosilena alla sua cittadinanza e a tutta l’Amministrazione

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Carissimi cittadini, Amministrazione petrosilena e Istituzioni varie quali ASL e Ufficio Igiene, siamo alle solite, anzi peggio. Abbiamo il territorio petrosileno e il lungomare Biscione invaso da spazzatura ratti e topi. Non abbiamo acqua se non centellinata durante la giornata. Vogliamo arrivare ad un epidemia derivante dalla spazzatura adeguatamente distribuita dai "civilissimi cittadini", su tutto il territorio?Prego chi di dovere di provvedere con solerzia e far si che tutto ciò non venga reso pubblico sul...territorio nazionale. In questo periodo e fino a settembre Petrosino e tutta la provincia di Trapani avranno il piacere (??) di ospitare turisti italiani e non. Mi chiedo e vi chiedo che ricordo dovranno portarsi insieme alla dorata abbronzatura? Chiedo URGENTEMENTE di provvedere a disinfestare tutto il territorio e monitorare il servizio di smaltimento rifiuti. Impensabile e intollerante nel 2012 un comportamento così vergognoso e una non risposta dell'Amministrazione di fronte a tanto scempio... Non attribuisco né colpe ne ”responsabilità”, desidero soltanto una normalità. Desidero soltanto poter percorrere le strade e fotografare gli spettacolari tramonti. Desidero soltanto farmi una doccia e poter cucinare un piatto di pasta. Desidero soltanto una Petrosino della quale, per l'ennesima volta, non dovermi vergognare per aver portato i miei amici a trascorrere qualche giorno al mare. Desidero soltanto respirare il profumo dell'aria pulita e della salsedine. Sono desideri impossibili secondo voi carissimi amministratori e cittadini?   Rosanna Mineo da "Marsala c'è" quotidiano di Marsala e Petrosino
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Lug 01

E’ molto elementare…

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A lezione
Abbiamo affrontato in alcuni articoli precedenti i diversi modelli di famiglia che esistono secondo il punto di vista della Psicoterapia Strategica Breve di Giorgio Nardone, e ci siamo resi conto di quanto la relazione che esiste tra i genitori e i figli costituisca il fondamento di qualsiasi definizione di famiglia. Ora, ci preme invece affrontare in linea generale il significato psicologico ed antropologico sotteso a questa relazione, evidenziando il nostro accordo con Bert Hellinger, noto psicoterapeuta tedesco, già da molti anni famoso in Germania per il suo costante ed importante lavoro svolto sulle costellazioni famigliari. Questo autore, nel suo Riconoscere ciò che è (2004) afferma che esiste una netta differenza fra il concetto di legame e quello di relazione (Hellinger B., 1996, Anerkennen, was ist. Ges präche über verstrickung und lösung, Kösel-Verlag GmbH & Co., München, trad. it., 2004, Riconoscere ciò che è. La forza rivelatrice delle costellazioni familiari, Feltrinelli Edizioni, Milano). Il legame è qualcosa di molto più vincolante rispetto alla relazione, come può accadere vivendo un legame che non contempli la relazione, come nel caso delle violenze personali o di una vita vissuta all’insegna della coercizione. Per esempio, si considerino i legami che si stabiliscono all’interno del carcere, i quali non necessariamente possono definirsi relazioni, specialmente nel caso dei legami tra carcerati e polizia giudiziaria. Secondo questa differenziazione, che giudichiamo importante nel definire la qualità della vita umana, una relazione che non preveda un legame è destinata a terminare entro un breve lasso di tempo, mentre una legame che contenga una relazione può durare molto più a lungo. Inoltre, in questo ultimo caso, intervenendo la dimensione dell’intimità sentimentale, i membri di una coppia sono in grado di sopportare meglio anche una lontananza geografica, che a volte si impone per contingenze varie. Detto questo, all’interno di un rapporto di coppia, la formula vincente di legame da comunicare ai figli, è quello basato su di una relazione positiva all’interno della quale i figli siano in grado di vedere i genitori per quello che sono, ossia tendenti a fare di tutto per tramandarela vita, con i suoi significati. Considerare e valutare i propri genitori, processo cognitivo che acquista la sua forza durante l’adolescenza, significa essere in grado di allontanarsi da azioni di disprezzo oppure di adulazione, che falserebbero il legame genitori-figli. Infatti, quando siamo in presenza di questa mistificazione, i figli non sono nelle condizioni di valutare i propri genitori nel loro insieme, ossia come fossero una fusione di positivo e negativo, arrivando in futuro a rappresentare nella loro vita futura proprio ciò che dei genitori disprezzano. Sembra che si verifichi qualcosa di strano, ossia che “quanto più uno rifiuta i propri genitori, tanto più tende ad imitarli” (Hellinger B., 2004:120). Nel caso dell’adulazione, i figli non riusciranno quasi mai a raggiungere il livello a cui hanno posto i genitori e si sentiranno costantemente inadeguati, con la formazione di un sentimento dell’autostima particolarmente basso, debole e fragile. Si prenda ora come esempio, il fatto che nella vita politica di una nazione ogni personaggio pubblico diventa un modello di riferimento, particolarmente efficace per l’esercizio del ruolo che egli occupa. Se in passato, uno degli atteggiamenti prevalenti della popolazione di una nazione ha supervalutato i comportamenti di un leader politico, oppure religioso, in modo tale da costruirsi l’idea che in lui abitasse una perfezione quasi raggiunta, la scoperta oggi di modelli che tradiscono questa illusione, in modo sempre più evidente, comporta un risultato quasi devastante nella mente umana: la sensazione di essere completamente orfani e soli. Ritengo che noi si stia vivendo questo tipo di situazione mentale generalizzata, all’interno della crisi dell’eurozona, e che dunque i fenomeni movimentistici attuali che tendono a disprezzare, come pure ad ipervalutare, saranno esattamente quelli che fra qualche anno rappresenteranno la nostra prossima delusione… Ecco perché il ruolo della famiglia e della scuola, nel formare menti relativamente equilibrate, diventa sempre più importante e molto di più di qualsiasi carriera possibile ed immaginabile. Il tutto è molto elementare, eppure sembra utile ribadirlo…  
Da Controcampus.it
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Giu 19

Crescere sul dito

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Crescere sul dito

Crescere…
Nessuno di noi mette in dubbio che sia del tutto naturale, all’interno di una famiglia con figli, che questi ultimi debbano crescere. Ogni individuo che viene al mondo attraversa una serie continua e complessa di cambiamenti. Siamo in questo mondo per cambiare e diventare quello che crediamo di poter essere in futuro. La nostra vita, la nostra mente sono proiettate in quello che potremmo essere in un domani, basandoci inevitabilmente su quello che crediamo di essere ora. In questo raffinato e semplice rapporto tra presente e futuro, ogni persona di questo mondo cresce, ossia si discosta lentamente da una serie di comportamenti precedenti per assumerne di nuovi, anche dal punto di vista della conoscenza. Se quando vado alle elementari, come primo approccio alla geografia, comincio a studiare la mia città, quando sarò alle superiori sarò in grado di studiare il mondo, pur facendo la stessa cosa, ossia continuando a studiare geografia. In questo senso, cambiano i contenuti della conoscenza, ma l’atto del conoscere resta uguale per tutta la vita, ed imparo, durante la mia crescita, quali sono le condotte migliori per poter avere atti del conoscere utili ai miei cambiamenti. Ci comportiamo allo stesso modo anche quando ci innamoriamo, perché le tecniche che utilizziamo per capire se siamo innamorati, oppure se l’altra persona ci ama, sono identiche a quelle della conoscenza in generale. Giunge a noi così spontanea, la domanda del titolo di questo articolo e anche la sua risposta: Come cresciamo? Attraverso una serie di trasgressioni delle regole imposte dalla famiglia e dalla società, ossia attraverso una serie di atti del conoscere quanto possiamo essere forti nel rifiutare le imposizioni. In altri termini, ogni persona cresce, e dunque sarà in grado di pensare a se stessa e al futuro in modo diverso rispetto al presente, misurando il proprio grado di cambiamento. E si tratta di modificare tanto l’interno quanto l’esterno di se stessi, perché non esiste nella mente umana un cambiamento che non coinvolga tanto la parte interiore della propria identità quanto il comportamento con cui ci rapportiamo col mondo, all’esterno di noi stessi. Non a caso i figli, crescendo, si sentono spesso in colpa per le loro scelte, ed i genitori, almeno inizialmente, faranno pesare ai propri figli quelle scelte. In realtà, un genitore educativamente serio, si augura che il figlio sia in grado di trasgredire le regole, altrimenti sarebbe di fronte ad una persona per la quale si presenta un futuro privo di autonomia ed intenzionalità. Ogni genitore, se riesce a fare un sincero esame di coscienza, ammetterà di aver dovuto superare alcuni importanti divieti della propria famiglia di origine, per conquistare l’autonomia di quella presente. Ecco perché è deleterio avere dei genitori che permettono tutto ai propri figli: perché non permettono loro di trasgredire e di rinforzare, in questo atto della conoscenza, il proprio io, la propria identità di giovani adulti in crescita, legandosi ai genitori non per dipendenza, ma per scelta cognitiva. Quando si è giovani, direi infanti, si dipende molto dai propri genitori, o da coloro che svolgono con noi questa funzione, ma si diventa adulti quando, nella nostra autonomia, decidiamo di continuare a mantenere la dipendenza iniziale dai genitori sotto forma di dipendenza razionale, voluta e scelta. Quando diventiamo capaci di riconoscere l’importanza delle regole e dei divieti genitoriali, così come il nostro tentativo di trasgredire ad essi, e finiamo poi da adulti col scegliere di nuovo le stesse regole, magari anche migliorate in qualche loro elemento, in quel momento siamo cresciuti e siamo in grado di affrontare costruttivamente il concetto di trasgressione. Ecco perché invito spesso, durante i miei incontri con i genitori, gli adulti a fornire ai figli modelli di comportamento specifici per il raggiungimento di uno scopo. Sono sempre più convinto che la condotta sia un fenomeno educativo primario, senza del quale non siamo in grado di fornire la visione di un possibile percorso per il raggiungimento dello scopo per il quale è nata quella precisa condotta. Molto semplicemente, si tratta, da parte dei genitori, di dare buoni esempi più che fare lunghi discorsi impositivi. Che poi il figlio debba batterci di naso, questo fa parte della trasgressione e deve farlo da solo, provando quella dose necessaria di sofferenza che gli permette di capire fino a quanto è in grado di sopportare la conseguenza dell’errore e la fatica perduta dietro un’azione che si è rivelata fallace. Noi saremo lì, accanto, a tendergli la mano perché il figlio si rialzi con il naso rotto… che guarirà certamente.
Da Controcampus.it
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