Ott 31

Bimbo di 10 anni si impicca dai nonni I suoi genitori si stavano separando

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Si è chiuso in bagno a casa dei nonni. E si è impiccato con una sciarpa. È morto così ieri pomeriggio un bambino di dieci anni, prima media. In silenzio, senza che i nonni si accorgessero per tempo. La tragedia è avvenuta in via Verbania, zona San Giovanni, a Roma. Il bimbo, che abitava con la madre nello stesso palazzo dei nonni, passava con loro la maggior parte del tempo. I genitori infatti sono separati e forse potrebbe essere proprio il divorzio il motivo del suicidio, anche se gli investigatori non escludono altre possibilità. La giornata sembrava identica a tante altre dall'inizio della scuola a questa parte. Il pranzo, un po' di televisione, il pomeriggio trascorso a fare i compiti. E, a detta dei nonni, il ragazzino era tranquillo, non sembrava né agitato né particolarmente angosciato. I voti a scuola erano al di sopra della sufficienza e con i compagni tutto sembrava normale.
Dalla ricostruzione dell'accaduto, il bambino sarebbe andato in bagno. Dopo un po', non vendendolo tornare, il nonno si è preoccupato ed è andato a controllare. Ha bussato alla porta: «Hai bisogno?», nessuna risposta. E poi la scena tragica, che mai avrebbe pensato di vedere: lo ha trovato impiccato con la sciarpa, legata attorno al sifone dello scarico. Troppo tardi per poterlo salvare. Sul posto, assieme alla polizia, è intervenuta l'ambulanza del 118 ma per il piccolo non c'è stato nulla da fare.
Si presume che il bambino abbia voluto compiere un gesto estremo a causa del malessere per la separazione dei genitori. Tuttavia i nonni dicono di averlo sempre visto sereno. Inizialmente non è stata esclusa l'ipotesi del gioco finito male, ma dalle ricostruzioni il gesto sembra essere stato compiuto volontariamente. L'altro giorno a Roma è anche stato trovato il corpo di una giovane, impiccata ad un albero in un campo vicino a Fiumicino e si sta cercando di capire chi sia la donna, fra i 30 e i 40 anni.
Tragedia sfiorata a Crema, in provincia di Cremona. Una donna incinta al nono mese ha tentato il suicidio impiccandosi in casa, ma è stata salvata insieme al bambino. Protagonista della vicenda una casalinga 31enne. Il convivente, un negoziante di 47 anni, si è precipitato in casa dopo alcuni messaggi preoccupanti ricevuti dalla compagna. Ha rotto la finestra, ha tagliato la corda a cui si era appesa la donna e ha chiamato i soccorsi. In ospedale, la donna è stata sottoposta a parto cesareo: il bimbo è in buone condizioni, la madre è in prognosi riservata, ma non in pericolo di vita.

Di Maria Sorbi

Da IlGiornale.it del 30/10/2012

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Ott 11

L’Antropologia della mente ridisegna le possibilità cognitive: il nostro cervello è davvero nostro?

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Il periodo storico che il mondo sta vivendo è decisamente interessante, conturbante e per molti versi stimolante. Non ci si riferisce alla problematica terroristica che, oltre a minacciare l’intero pianeta, costituisce l’espressione forse finale di una esistenza tragica.
Si fa invece riferimento alla perdita costante e continua (oltre che progressiva) di un antico e biologicamente importante sentimento umano: il senso di appartenenza. Quel senso che sembra ruotare attorno all’inchiostro, come quando si scrive una lettera d’amore e nulla ci può dividere da quel foglio, o da quel “messaggio” incubato nella mente, che non si distoglie dal suo colore, perché è la stessa mente che scrive. E diviene inchiostro la mente di ogni individuo, proprio perché la mente necessita non solo di se stessa, ma di essere inchiostro. L’individuo non può permettersi di vivere isolato, sebbene molte siano le persone che hanno la netta sensazione di essere sole. La nostra umanità, nascosta ma presente in ognuno di noi, necessita di comunica-zione con ciò che è apparentemente diverso da noi, altro e persino a volte irraggiungibile. Prima dell’avvento di Internet, una sorta di noosfera tecnologica, i singoli individui potevano vantare la pretesa di sentirsi originali ed unici nei loro pensieri. Si poteva anche sostenere, fino ad arrivare a crederci con una certa convinzione, che il nostro microcosmo potesse coincidere con un macrocosmo più generale. Oggi, tutto questo non è più possibile perché Internet ci permette (oserei dire ci impone) una dimensione cognitiva necessariamente antropologica, ossia evolutiva e globocentrica. Con il termine cervello ci riferiamo ad una parte precisa del corpo umano, come accade quando parliamo di un qualsiasi altro organo. Il cervello è collocato nella scatola cranica dalla quale parte l’intero sistema nervoso, sia centrale che periferico. Tutte le funzioni, ossia le azioni, che gli organi umani svolgono permettono di vivere, anche se non le vediamo direttamente, mentre ci accorgiamo quasi sempre del risultato di queste funzioni. Stabilire una distinzione fra azioni e risultati fisiologici è importante quando si vuole, come nel nostro caso, fon-dare il paradigma teorico di una nuova disciplina. In effetti, solo comprendendo a fondo quanto i risultati siano le conseguenze di una azione fisiologicamente determinata, saremo in grado di ragionare sulle conseguenze delle azioni cerebrali, ossia sulla mente. In questa ottica, l’Antropologia della Mente, disciplina che si inserisce nel solco più generale delle neuroscienze, si occupa dell’evoluzione della mente umana, intesa come l’insieme delle conseguenze filogenetiche ed ontogenetiche delle azioni cerebrali. Eppure, se la disciplina si limitasse a considerare la mente come il mero risultato del funzionamento cerebrale sarebbe assimilabile ad una sorta di neurologia applicata. Il cervello è in effetti un organo del tutto speciale, perché le sue azioni subiscono continue modifiche in rela-zione alle azioni degli altri cervelli umani con i quali viene ad incontrarsi e dell’ambiente esterno nel quale opera. Per fare un esempio, mentre il fegato agisce come fegato, indipendentemente dal suo trovarsi in una geografia diversa rispetto a quella nella quale è cresciuto, ogni volta che “portiamo” il cervello in altri luoghi, anche se la funzionalità rimane identica dal punto di vista neurologico, il risultato cognitivo di questo suo agire è decisamente diverso, proprio perché legato alle condizioni esterne nelle quali viene a trovarsi. Il cervello è dunque un organo altamente reattivo e la sua funzionalità dipende sia da fattori endogeno-fisici che da fattori esogeno-culturali. Come possiamo definire l’incontro di queste due funzionalità? Con il termine mente e mentalità. La mentalità diventa così il risultato storico e congiunto delle azioni cerebrali interne all’individuo, durante l’incontro con l’ambiente esterno, abitato da storie personali altrui e geografie sotto forma di cultura. Tale incontro è talmente insito nella vita quotidiana del nostro cervello che non è possibile tracciare una linea di demarcazione netta e precisa che separi la funzionalità cerebrale individuale dalla modificazione di tale funzionalità, in seguito all’incontro con altri cervelli ed ambienti. In sostanza, non è possibile individuare con certezza dove inizia la mente altrui e termina quella propria. La nostra vita si esplica all’interno di un continuum mentale, nel quale perdiamo di vista l’inizio delle nostre azioni e le conseguenze che esse comportano negli altri. In questa prospettiva si colloca l’Antropologia della Mente, grazie alla quale si studia la formazione, all’interno del sistema della cultura, della cosiddetta mentalità, che appunto possiamo definire come il risultato di azioni e conseguenze (ad esse?) compartecipate da parte di un gruppo di individui all’interno di un preciso ambiente.
Di Alessandro Bertirotti del 9/10/2012 foto di Stefano Cracco
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Ott 05

Il femminicidio visto dall’antropologo della mente

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In Italia, secondo il rapporto Istat, le donne uccise nel 2011 sono state 127 (di queste, 114 sono state uccise da membri della famiglia, 68 dal partner e 29 dall'ex-partner), con l'aumento del 6,7% , rispetto all'anno precedente e nei primi mesi del 2012 sono più di 63 le donne uccise da maschi umani, che sono spesso mariti, oppure compagni o ex-partner...

Siamo di fronte ad una situazione che testimonia come nel nostro paese, che comunque possiede un sistema di valori democratici che ancora sanno far fronte alle tempeste dell'individualismo esasperato, si sia lontani da una vera educazione alla differenza di genere...
Nell'articolo 3 della nostra Costituzione si legge: "(…) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (…)". La IV Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite definisce nel 1995 la violenza di genere come  il mantenimento di una relazione di potere storicamente determinata tra l'uomo e la donna, favorendo, di fatto, la successiva formulazione di leggi che disciplinino il problema. Viviamo in un mondo nel quale i fondamentali diritti delle persone sono calpestati quasi quotidianamente. Tanto che le parole che si leggono nella Bibbia circa il comportamento degli empi non sembrano essere datate come possiamo credere. Si ha la sensazione, in sostanza, che certe manifestazioni dell'umana convivenza siano persistenti da sempre e che nulla di effettivamente importante sia cambiato, rispetto alla violenza del passato. In Italia, secondo il rapporto Istat, le donne uccise nel 2011 sono state 127 (di queste, 114 sono state uccise da membri della famiglia, 68  dal partner e 29 dall'ex-partner), con l'aumento del 6,7% , rispetto all'anno precedente e nei primi mesi del 2012 sono più di 63 le donne uccise da maschi umani, che sono spesso mariti, oppure compagni o ex-partner. La maggior parte di queste vittime sono italiane (78%), come, del resto, sono italiani anche i maschi assassini (79%). E' inutile ricordare inoltre che il 1999 è stato l'Anno Europeo della lotta contro la violenza nei confronti delle donne, perché, in genere, queste dichiarazioni pubblicitarie europee restano lettera morta, senza contribuire di fatto alla costruzione di atteggiamenti e comportamenti concretamente visibili nella vita quotidiana. Si tratta, di dichiarazioni di intenti che rimangono tali, tranne nei casi in cui l'Unione Europea debba decidere di questioni economiche per il benessere di pochi e il malessere di molti. In questa situazione la nostra cara Italia non ha ancora firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione ed il contrasto della violenza di genere, firmata invece ad Istanbul nel 2010 dai 10 stati europei. Per fortuna in Toscana accade qualche cosa di significativo, sia sul piano politico che su quello civile. Infatti, Marina Staccioli, Consigliere della Regione Toscana e Vice Presidente della Commissione Istituzionale per l'emergenza occupazionale, ha presentato l'11 Settembre 2012, una importante mozione nella quale impegna la Giunta Regionale Toscana a farsi portavoce, presso il Governo italiano, per la modifica della materia in questione, soprattutto per quanto riguarda la semplificazione dell'iter in sede di indagini e l'eventuale condanna dei violentatori. A parte questa fortuna toscana (decisamente rara nel panorama politico della Regione…), quello che ci interessa evidenziare è l'aspetto antropologico dell'iniziativa, e cioè la rilevanza della mozione in se stessa, grazie alla quale si chiede un impegno civile ben preciso. Siamo di fronte ad una situazione che testimonia come nel nostro paese, che comunque possiede un sistema di valori democratici che ancora sanno far fronte alle tempeste dell'individualismo esasperato, si sia lontani da una vera educazione alla differenza di genere. È in questi ambiti che possiamo valutare la sensibilità di un popolo rispetto all'idea che con la forza si impone una superiorità che il cervello dimostra di non possedere. Eppure, femmine e bambini continuano ad essere le vittime naturalmente privilegiate per esercitare su di esse quel potere che il mondo nega ad alcuni maschi umani, i quali, consapevoli spesso della loro inferiorità culturale, esprimono tanto la loro rabbia quanto il loro dolore in questo turpe modo. Per giungere al rispetto delle differenze dobbiamo cominciare a produrre pensieri adatti allo scopo nei bambini che frequentano l'asilo e dunque la scuola primaria, con temi, e giochi che mettano in luce le funzioni e le azioni che raggiungono obiettivi utili a tutti, proprio in nome di questa differenza. E sono le donne che possono insegnare a tutti noi che l'amore non ha sesso, dal momento che sono loro nelle condizioni di far crescere tanto un maschio quanto una femmina, prima ancora che questi incontrino il mondo dei maschi. Ma per fortuna, e molte donne lo sanno, il mondo dei maschi possiede anche quel rispetto e dolcezza nei riguardi della donna che convive assai bene nel dialogo e nell'affetto che un vero uomo sa esprimere nella propria vita.   Alessandro Bertirotti Da Affari "E l’antropologo della mente?" del 5/10/2012  
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Ott 05

Non se ne può più di “unti del Signore”, di “illuminati”, di “leader”.

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Non se ne può più di "unti del Signore", di "illuminati", di "leader". In questa fase servirebbe solo un "partito", nell'accezione leninista del termine, un'elìte di persone coraggiose, cioè, che coaguli intorno a sè altre persone realmente determinate a cacciare gli attuali "papponi" che hanno sporcato la politica. Insomma, in questa fase storica di post-democrazia, le regole democratiche rischia
no di essere un abominio, perchè finora hanno generato solo dei mostri, che non intendono - perchè non sanno fare altro - abbandonare il tavolo apparecchiato dal quale continuano a prendere a più non posso (Fiorito e gli altri, come i Lusi, i Penati, i Papa, ecc. continuano a percepire i loro compensi, anche stando in galera). Per questo bisogna intervenire con urgenza. Le elezioni, quindi, saranno di sicuro una farsa, quale che sia il sistema elettorale adottato e non serviranno ad altro che a riproporre i soliti noti (vedi in Sicilia) o qualche loro simulacro. Le soluzioni della crisi attuale (che non è solo economica), invero, sono di lungo periodo e coerenti con scelte internazionali: in breve c'è solo da salvare la pagnotta alle ns famiglie, pretendere il lavoro per i giovani e chi lo ha perso nel cuore della sua vita produttiva, e mandare in galera i corrotti (e i corruttori), gettando la chiave a tempo indeterminato. Attualmente questa "elìte" cui affidare il compito della "salvezza della Patria" sembra coincidere con i "tecnici", o con i "magistrati", o con la c.d. "società civile": quest'ultima, però, è soggiogata dal populismo di quattro pagliacci e non basta certo l'autodefinizione di "società civile" per far recuperare una verginità a dei cialtroni che vedono solo e soltanto nell'attività "politica" la scorciatoia per il raggiungimento dei loro interessi. Gli altri soggetti, i tecnici e i magistrati, sono però "etero-diretti" (cioè rispondono a soggetti esterni) e, probabilmente, non sempre veramente trasparenti (Passera, ha "ammollato" i guai dell'Alitalia alla collettività , salvando il bilancio di BancaIntesa e, dall'alto dei suoi compensi, pontifica su "sacrifici" che lui e i suoi non hanno mai fatto). Purtroppo tutto questo serve a poco, se non a indirizzare la rabbia (o l'indignazione) verso obiettivi minori e, soprattutto a servire da massa di manovra per qualche avventuriero senza arte nè parte. Quindi delle due l'una, o si ritorna al "Papa Re" (a me Benedetto XVI piace più di GP2°), affidando le sorti dell'Italia alla "compassione di Dio"; ovvero, non resta che impugnare le armi, quelle della "ragione" e della "cultura" ovviamente, e promuovere una campagna di disprezzo verso la classe politica attuale. Sogno, quindi, una maggioranza silenziosa, senza sentimentalismi e moralmente ineccepibile, che invada le piazze italiane con liste di proscrizione pubbliche, nelle quali inserire i "pennivendoli" di regime e che pretenda una sola cosa: "andatevene a casa" e non rompeteci più i c... Ovviamente è solo un sogno, al momento, la realtà è di un lunghissimo periodo oscuro di rinunce e di fatica. Ma chissà!
Vanessa Seffer
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Set 23

Elezioni. La crisi regionale alla luce del vuoto programmatico

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di Enzo Coniglio

 

Fra un mese andremo alle elezioni e dovremo selezionare 90 rappresentanti tra i candidati di 47 liste oltre naturalmente il nuovo Presidente tra pochi Kapò ben noti ai più, almeno di nome (in ordine alfabetico): Giancarlo Cancelleri del Movimento 5 stelle; Rosario Crocetta sostenuto dal PD e dall’UDC; Cateno De Luca di Rivoluzione siciliana; Giacomo Di Leo del PC dei lavoratori; Claudio Fava sostenuto da IDV, SEL, Federazione della Sinistra e Verdi; Mariano Ferro leader storico del Movimento dei Forconi; Davide Giacalone per Ali alla Sicilia; Giancarlo Miccichè in rappresentanza di Grande Sud e del Partito dei Siciliani; Nello Musumeci sostenuto da PDL, PID e La Destra; Roberto Saureborn vincolato alla Unione democratica per i consumatori e Noi Sicilia – Movimento anti Equitalia e infine Gaspare Sturzo con il nuovo movimento Italiani Liberi e forti.

 

Si tratta sostanzialmente delle forze politiche presenti sul territorio prima della crisi costretti a coalizzarsi per poter più facilmente superare la sfida elettorale; coalizioni che hanno un senso in termini di vecchie ideologie ma che non hanno molto senso alla luce della complessa e tragica realtà siciliana attuale.

 

A noi Siciliani quello che dovrebbe interessare realmente è analizzare a fondo il programma effettivo che questa destra intende realizzare per la Sicilia nei singoli settori. Certamente abbiamo una grande fiducia in Nello Musumeci, nella sua etica e nella sua lunga esperienza politica ma nonbasta. Avremmo voluto esaminare un programma che purtroppo non esiste ad eccezione di alcune indicazioni generiche.

 

Le cose vanno un poco meglio nella cosiddetta Sinistra dove Rosario Crocetta ha presentato delle linee guida  interessanti anche se ancora troppo generiche per potersi chiamare “programmi effettivi,strutturati in obiettivi, risorse e impieghi”. In quest’area, la criticità maggiore risiede nell’alleanza tra il PD che occupa certamente l’area di centro-sinistra e un UDC che giura e spergiura che non andrà mai a sinistra e che la sua vocazione è l’area del centro. Ma allora perchè si allea con con il PD in Sicilia mentre rigetta la stessa alleanza a livello nazionale? Si ha l’impressione che si tratti di un “matrimonio di convenienza” che potrebbe non reggere alla luce delle alleanze decise fuori dai confini siciliani e da noi molto spesso subiti.

 

Ma le cose non vanno meglio nell’area del centro rappresentato dal Grande Sud e dall’ex MPA, oggi denominato Partito dei siciliani. Si tratta di un’area di centro dimezzata e azzoppata che non ha certo brillato fino ad ora per le proposte programmatiche. Ha tutta l’area di essere un centro – destra e allora in questo caso non si capisce perchè non si è alleata con Nello Musumeci. O meglio, si capisce fin troppo bene!

 

La sinistra coagulata attorno alla personalità di Claudio Fava non è più omogenea delle altre aree se si considerano le notevoli tensioni esistenti e non risolte tra SEL e IDV.  E potremmo continuare ma ci fermiamo qui perchè appare ormai evidente che in questi mesi non si è proceduto a realizzare un confronto duro se volete ma a tutto campo che interessasse i diversi settori con il preciso impegno di superare le numerose criticità incontrate.

 

Troppa area trita e ritrita!  Cosa c’è da aspettarsi da questa situazione? il persistere e il rafforzarsi dell’errore fatto nel passato e che consiste non nel confrontarsi sui programmi e sull' elaborare dei progetti.

 

Al contrario. Si continua a unirsi o a scontrarsi sulle personalità, sui polli presenti nel grande pollaio siciliano e non sulle cose da fare.

 

E questo i Siciliani di destra, di sinistra o di centro, non lo possono più tollerare perchè significherebbe condannare definitvamente alla miseria i propri figli e rimanere subalterni di un Nord che non ha cambiato affatto il proprio atteggiamento verso il Sud.  Facciamo uno sforzo quindi per mantenere la coerenza politica delle nostre idee ma nello stesso tempo smussiamo il più possibile gli angoli; ampliamo le nostre alleanze e soprattutto confrontiamoci non all’interno dei partiti morti e sepolti, ma nelle istituzioni vive e vibranti della nostra società civile sulle proposte concrete da adottare tutti insieme nell’interesse dei nostri figli che non sono nè di destra, nè di centro, nè di sinistra; che non sono i figli di Musumeci, di Miccichè, di Bersani, di Casini o di Crocetta. Sono i nostri figli luminosi come tutti i colori dell’arcobaleno.  Questo ci impone la durissima realtà di oggi, il nostro senso etico e morale e il buon senso del padre di famiglia.

 

Purtroppo si tratta soltanto di un sogno che non potrà diventare realtà nel breve e medio periodo a causa di una supponenza ed ignoranza che non si fermano neppure di fronte alla tragedia che stiamo riservando ai nostri figli.

 

E questa è la vera tragedia che caratterizza la nostra Isola da troppo tempo: vivere nel nulla e per il nulla. E così sia!

Da SiciliaInformazioni del21/9/2012

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Set 23

E l’antropologo della mente? La storia del frigorifero senza elettricità. Torna la rubrica di Affari

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"E l’antropologo della mente?",  di Alessandro Bertirotti

Si parla di Caterina Falleni, 24 anni, livornese, vincitrice di un concorso indetto dalla NASA, dove ha presentato lo stesso progetto che aveva già sottoposto alla Provincia di Livorno e successivamente alla Regione Toscana. Inutile dire che entrambi questi Enti non le avevano creduto. Ecco la storia del un frigorifero che funzionava senza elettricità...
Caterina Falleni
L'università italiana forma spesso anche giovani di grande talento, e tutti coloro che hanno l'onore di lavorare in università come il sottoscritto lo sanno. Non è questo il problema. Il vero problema è che, una volta formati, i nostri giovani migliori scappano, e non dall'università, ma dalla Nazione Italia, e sempre più col sano desiderio di non tornare. Caterina Falleni, 24 anni, livornese, è la vincitrice di un concorso indetto dalla NASA, dove ha presentato lo stesso progetto che aveva già sottoposto alla Provincia di Livorno e successivamente alla Regione Toscana. Inutile dire che entrambi questi Enti, o meglio i funzionari ed i politici che la dottoranda Falleni ha avuto la sfortuna di incontrare, non le avevano creduto. Sarebbe stato per loro veramente assurdo che una semplice cittadina italiana, per di più livornese, proveniente dalla provincia, inoltre donna, avesse inventato un frigorifero che funzionava senza elettricità. Eppure Caterina era già conosciuta all'estero, perché aveva partecipato al programma Erasmus dell'Unione Europea che permette ai giovani studenti dell'Unione di frequentare corsi universitari esteri riconosciuti come equipollenti dai corsi di laurea italiani. Era stata in Finlandia e poi a Rotterdam presso uno studio di design. Ora si trova invece in California, presso il Centro di Ricerca dell'Università. Dovrà ritornare in Italia per terminare l'Università (eh, sì... perché Caterina non si è ancora laureata!), anche se conta di ritornare subito dopo negli Stati Uniti, dove occupa un posto decisamente prestigioso. Lei stessa sa che rimanere in questo nostro paese significherebbe trascorrere anni nella più completa frustrazione intellettuale e morale, con tutti i problemi che i funzionari ed i politici sono in grado di creare ai giovani, specialmente quanto essi si presentano forniti di capacità decisamente superiori alla massa, ma non imparentati con qualche noto personaggio. La sua invenzione è il risultato di 4 anni di studio, presso l'Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Firenze e che ora le ha permesso di lavorare alla Silicon Valley. La sua idea nasce in Africa, quando Caterina si sofferma a riflettere sul processo evaporativo definito cooling, lo stesso per cui la temperatura del nostro corpo si abbassa quando sudiamo. Ha associato questo processo all'utilizzo di materiali PCM ed è nato Freijis: il frigorifero senza elettricità. A Livorno, prima di recarsi in California, Caterina ha cercato, senza successo, di coinvolgere nella sua avventura americana la Provincia e la Regione, senza ottenere nulla, e recandosi così da sola in California si è trovata all'interno di una equipe di ricerca con studiosi provenienti da tutto il modo. Ecco come vanno le cose in questa pur splendida nazione: formiamo individui che ci contraccambiano con la loro genialità e, poiché non abbiamo l'umiltà di riconoscere che il mondo migliora senza di noi (alcune volte persino, il mondo riesce meravigliosamente a fare a meno di noi…), sminuiamo tutto ciò che effettivamente capiamo esserci superiore. Di questo passo, e ne abbiamo le prove soffermandoci a riflettere su quello che sta accadendo nella nostra nazione, altro che un’Italia commissionariata dall'Unione Europea! Avremo sempre più un'Italia di depressi ignoranti ed imprenditori frustrati.   L'AUTORE - Alessandro Bertirotti è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Genova e Visiting Professor di Antropologia della mente presso la Scuola di specializzazione in Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, dell'Università Campus Bio-Medico di Roma. Il suo sito è www.bertirotti.com   da affaritaliani.it del 21/9/2012  
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Set 19

I PROCESSI DI CAMBIAMENTO LUNGHI E ACCIDENTATI Le provocazioni occidentali, le violenze islamiche e le strumentalizzazioni

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Di Enzo Coniglio   L'uccisione di Christopher Stevens, ambasciatore americano a Bengasi, costituisce un duro colpo al processo di riappacificazione tra Stati Uniti e mondo arabo - islamico, iniziato dal Presidente Barack Obama con il suo famoso discorso del Cairo del giugno del 2009, durante il quale aveva promesso un dialogo aperto e costruttivo con tutto il mondo arabo e islamico. Una uccisione che, a prima vista,  lascia sbalorditi per la scelta della vittima: un diplomatico di grande levatura morale e professionale che si era fatto paladino convinto delle nuove istanze rappresentate dalle "Primavere mediterranee", che conosceva la lingua e la cultura araba come pochi diplomatici presenti nell'area, leggeva e meditava costantemente sul Corano , aperto al dialogo e al confronto a tal punto da non avere voluto dotare l'ambasciata americana con le imponenti misure di sicurezza di cui sono normalmente dotati. Eppure è stato scelto lui come vittima sacrificale in questo 11 settembre 2012 e non a caso. Certamente la causa, o sarebbe meglio dire, il pretesto che sta incendiando il mondo arabo è il film scriteriato di un signore che diceva di essere ebreo e di chiamarsi Sam Bacile e che invece risulta essere un cristiano di tradizione copta, Nakoula Basseley che vive con la moglie e tre figli nella località di Cerritos in California, prelevato dalla polizia durante la notte dalla sua residenza per essere interrogato con tutte le precauzioni del caso. Sembra abbia commesso in passato numerose truffe finanziarie e contraffatto dei farmaci; sarebbe stato condannato in passato a 21 mesi di prigione e al rimborso di 790 mila dollari. Si tratta di un film che il Presidente Obama e il Segretario di Stato Hillary Clinton hanno ritenuto "ripugnante e riprovevole" nei contenuti, senza mezzi termini, lontano anni luce dalle loro convinzioni e dalla loro politica estera e per il quale non hanno esitato a chiedere scusa al mondo arabo e islamico trattandosi di un film comunque girato in due set di Hollywood, in California, ingannando sia la troupe che gli attori ai quali era stato fatto credere che il titolo del film fosse: "Il guerriero del deserto"  invece di “The Innocence of Muslims”, distruttore dell'imagine del profeta Maometto e del suo popolo. Il manager responsabile del finanziamento del film per 5 milioni di Euro, viene indicato in Steve Klein, un veterano della guerra del Viet-Nam, molto vicino a gruppi estremisti cristiani come "Christian Guardians" che aveva suggerito di arruolare il reverendo Terry Jones, noto tristemente in tutto il mondo per aver preteso di organizzare un grande rogo con le copie del Corano. La domanda che viene spontanea porsi in questo caso è come sia possibile che l'azione sconsiderata e scriteriata di un gruppo sparuto di persone dalla morale e dalla professionalità di bassissimo livello, possa dar vita ad una rivolta brutale e sanguinaria che ha già fatto 8 morti e centinaia di feriti in Paesi importanti come la Libia, la Tunisia, il Libano, l'Arabia Saudita, lo Yemen,il Sudan, l'Iraq, l'Iran, l'Afghanistan, il Bangladesh e nello stesso Egitto a tal punto da mettere in forse il radicale processo di cambiamento avviato dalle Primavere arabe durante il 2011. L'effetto appare a prima vista del tutto sproporzionato alla causa scatenante e lo è. Vale quindi la pena cercare di andare a fondo nell'analisi dell'intricata vicenda che rassomiglia molto alla mitica apertura del millenario "vaso di Pandora"nato appunto in quelle coste mediterranee e medio orientali. La prima considerazione riguarda il diritto di un privato cittadino americano o assimilato di poter esprimere in ogni caso il proprio pensiero, indipendentemente dalla qualità dello stesso e dagli effetti che possa produrre anche se di dimensioni devastanti, nel rispetto del famoso "first emendment" della costituzione americana radicata nella cultura americana che assicura la libertà illimitata di opinione, di espressione e di pubblicazione (free speech). Ed è grazie a questa profonda convinzione e a questa norma costituzionale che non è stato ancora possibile eliminare dal mercato mediatico tale film, prodotto-mostruoso,  e non sarà facile. Le implicazioni macroscopiche di questo "principio assoluto" lo si sono comprese nel botta e risposta tra il Presidente Barack Obama che ha chiesto al Presidente dell'Egitto, Mohamed Morsi di difendere le sedi diplomatiche, il personale e gli interessi americani. Si è sentito rispondere che era sua intenzione di farlo come lo farebbe per qualunque Paese accreditato ma che nello stesso tempo chiedeva a Barack Obama di impedire gli oltraggi gratuiti e le falsità chiaramente mistificanti e strumentali contro il Profeta Maometto e la grande cultura di un popolo: quello arabo e islamico. Il Presidente Mohamed Morsi ha assolutamente ragione a ricordare agli Stati Uniti e all'Occidente che accanto alla libertà di espressione esiste il dovere alla responsabilità per quanto si dice e si fa: tra pensiero, azione e gli effetti devastanti verso terzi; esiste un rapporto essenziale tra libertà e responsabilità: responsabilità che non è altrettanto protetta e statuita nei suoi confini naturali dalla legislazione americana e occidentale. In nome della libertà di espressione non posso in alcun caso calunniare, falsare l'immagine di una persona o peggio ancora infangare gratuitamente un popolo, la sua cultura e la sua religione. Un assurdo ancora più evidente in un Paese come gli Stati Uniti che protegge con leggi rigorose e con multe salatissime la violazione di un prodotto commerciale materiale quando ha dei risvolti finanziari. Ma non si può certo ridurre tutto alla difesa della finanza e lasciar fuori, del tutto indifeso, il grande patrimonio millenario di interi popoli dalla ignoranza brutale e strumentale di inqualificabili personaggi e gruppi politici o religiosi. La libertà di espressione e il dovere della responsabilità verso le singole persone e i popoli sono due principi che devono essere affermate, salvaguardate, protette e armonizzate. La seconda considerazione riguarda il rapporto tra la furia scatenata in questi giorni e le Primavere mediterranee e medio orientali ricordando che nei fenomeni che hanno caratterizzato la nascita di quei movimenti non c'era alcuna traccia di antiamericanismo, neppure in piazza Tahrir; nè quelle espressioni sono state caratterizzate come "fenomeni religiosi" o ispirate al Corano o ad altri movimenti religiosi o ideologici. Si sono caratterizzate come movimenti popolari a maggioranza giovanile che chiedevano l'allontanamento dei "dittatori" e una maggiore partecipazione alla gestione della cosa pubblica prescindendo dal credo religioso o ideologico. In una parola mai banale, si trattava di una richiesta di partecipazione democratica in Paesi che non hanno quasi mai goduto di tale status, espressa in maniera quasi sempre pacifica che ha imboccato l'arma di internet invece di un potente bazooka. A distanza di un anno,la musica sembra cambiata con l'affiorare di movimenti rivoluzionari ad ispirazione religiosa che pretendono di diventare egemoni e che potrebbero mettere in forse alcuni obiettivi qualificanti di quelle Primavere. E in un certo senso era da aspettarsi qualcosa del genere come è successo in fondo nel nostro occidente: dopo la rivoluzione francese, è seguito l'impero napoleonico e la restaurazione. Solo dopo 30 anni è stato possibile riprendere con forza ma con tanto spargimento di sangue,  gli ideali della rivoluzione francese e cambiare l'organizzazione politica statuale in oltre due secoli di battaglie e di guerre nazionali e mondiali. I processi di cambiamento sono lunghi e accidentati e non possono certo ignorare il substrato culturale e religioso dominante.Non c'è quindi da meravigliarsi se in questo ultimo anno i movimenti e i partiti islamici si siano riorganizzati, pronti a scendere in campo e a conquistare il potere: dai Fratelli Musulmani ormai al potere nel nuovo Egitto; ai movimenti Salafiti sempre più presenti in tutta la regione; alle diverse frazioni del gruppo storico di Al Qaeda che ormai opera nei singoli Paesi con piccoli gruppi, ben addestrati e determinati ad imporsi. Ma c'è una terza considerazione da fare altrettanto inquietante. Ma perchè una esplosione così vasta e generalizzata contro gli Stati Uniti risparmiati dalle Primavere mediterranee? Possiamo immaginare due ordini di risposte. La prima è connessa al fatto che dopo il discorso di Barack Obama del giugno del 2009 che prometteva un dialogo costruttivo con il mondo arabo, si è fatto ben poco e soprattutto il problema degli insediamenti ebraici in territorio palestinese  e la creazione di uno stato palestinese accanto ad uno stato ebraico che mettesse fine ad una delle pagine più tristi della nostra storia, non hanno trovato alcun seguito positivo malgrado le precise promesse di Obama in tal senso. La seconda riguarda un ulteriore peggioramento della situazione finanziaria ed economica dei Paesi dell'area del Mediterraneo e Medio oriente a causa della persistenza della crisi che ha tratto origine proprio negli Stati Uniti ed è poi dilagata in un mondo globalizzante e asservito agli interessi economici e di sviluppo sociale sotenibile che non sono certo quelli dei popoli arabi, se si escludono le loro élites che invece continuano a trarne enormi profitti. E' quindi comprensibile che nell'immaginario collettivo, più o meno cosapevolmente, si sviluppi un certo risentimento verso gli Stati Uniti anche se non necessariamente contro l'attuale amministrazione, particolarmente apprezzata in ambienti qualificati, almeno per gli sforzi che ha saputo fare per invertire la rotta e di cui Chris Stevens era un protagonista di primo piano e quindi doveva essere "punito" per ritornare alla vecchia logica della contrapposizione voluta dai gruppi radicali islamici. Ma, ultima considerazione, andava punito in casa lo stesso Barack Obama che aveva fatto della politica estera il proprio "fiore all'occhiello" e che appoggiava le primavere arabe e il difficile processo verso una democrazia condivisa? Non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se si venisse a scoprire, andando a fondo, che dietro a questa produzione cinematografica e a questo incendio si nascondano interessi di casa americana relazionati alle prossime elezioni americane. Ci auguriamo di no. Sarebbe una delusione troppo forte e insopportabile per chi ha vissuto con l'deale di una America che, malgrado tutto, costituisce ancora un faro di libertà e di speranza, attraverso i suoi figli migliori come Barack Obama e Chris Stevens”.   Enzo Coniglio   Da SiciliaInformazioni del 16/9/2012
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Set 17

IL PREMIER TRA POPULISMO E INTELLETTUALISMO DIRIGISTA – Monti come la luna: ha una faccia che tiene sempre nascosta; di Enzo Coniglio

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  Il momento che stiamo vivendo merita di essere vissuto intensamente e con un profondo senso di responsabilità perchè dalle decisioni che verranno prese in questi mesi, dipenderà il futuro nostro e dei nostri figli. Viverlo da spettatori e non da protagonisti, significa rinunciare definitivamente al nostro potere politico conquistato  dai nostri padri con il sangue e condannare in ultima analisi al suicidio politico noi stessi, i nostri figli e la nostra comunità. Seguire quindi le discussioni sullo scacchiere e capire la tessitura della tela, diventa l’impegno primario di un serio analista. Ma non basta, bisogna poi passare alle proposte e all’impegno diretto per realizzarle. In altre parole, l’impegno politico sul campo, unitamente all’impegno di tradurre nei fatti le proprie idee, diventa il mestiere più importante dei prossimi mesi. Siamo grati a Siciliainformazioni.com e a Italiainformazioni.com per gli stimoli offerti in questa direzione e per lo spazio qualificato di dibattito democratico offerto. Chiarito quindi l’approccio, passiamo ora ad analizzare alcuni fatti del giorno. Quello più importante e che troviamo su tutti i media del mondo, è la decisione della Banca Centrale Europea (BCE) di intervenire contro la speculazione che condiziona il differenziale dello spread tra i bond italiani e i bund tedeschi. Non si tratta certo di una partita di calcio: Germania contro Italia ma di qualche cosa di molto grave: stiamo pagando in Italia come governo e come imprese, dal 2 al 3% di interessi in più rispetto a quello che avremmo dovuto pagare se avessimo potuto considerare esclusivamente i fondamentali della nostra economia, come ben ricordato questa settimana dalla Banca d’Italia. Circostanza questa che impedisce al sistema Italia di destinare dai 40 ai 60 miliardi di Euro alle attività produttive invece di destinarle alla speculazione internazionale. E questo, caro Mario Monti, dobbiamo dirlo in maniera chiara, così come dobbiamo dire con altrettanta chiarezza, che tale differenziale rende non competitiva una grande azienda italiana che ha lo stesso valore economico di una azienda tedesca, in quanto quella tedesca può ottenere un credito ad un interesse del 2-3% in meno sul libero mercato dei capitali. Per non citare il fatto che, in queste condizioni, molti capitali del Sud Europa si trasferiscono al nord permettendo così a quei Paesi di ottenere molta liquidità a costo zero o addirittura a valore negativo mentre nel sud Europa manca la liquidità e, quando la si ottiene, si è costretti a pagare interessi proibitivi. Tutto questo distrugge oggettivamente l’idea di Europa! Il Sud povero finanzia il Nord ricco! Quel buon senso che Iddio ha dato in gran quantità a ciascuno dei suoi figli, denominati persone umane – secondo quanto ci ricorda Cartesio – vorrebbe che noi fossimo in grado di condannare e impedire tout court la speculazione e riportassimo i valori alla normalità. Purtroppo questa elementare operazione non viene effettuata ed è per questo che Mario Draghi è stato costretto ad utilizzare il suo potere di Presidente della Banca Centrale Europea e mettere in azione delle misure anti speculative che non risolvono il problema ma lo limitano. Naturalmente i colleghi tedeschi della Bundesbank – il cui obiettivo istituzionale primario è quello di non perdere il vantaggio accumulato e che non hanno certo come “missione” la solidarietà europea – si sono coerentemente opposti alle misure anti spread proposti, ma non poteva essere diversamente all’interno di quella logica. Non condividiamo ma comprendiamo. Mario Draghi, da parte sua, ha fatto benissimo a far adottare le misure anti spread all’interno delle finalità istituzionali della Banca Centrale Europea (BCE) che sono quelle di promuovere l’Euro e la stabilità monetaria europea. Si tratta di un potere non sufficientemente esteso se paragonato a quello della Federal Reserve o della Bank of England e che certamente va esteso nei prossimi mesi. E’ stata comunque una decisione coraggiosa e non scontata che ha ricevuto  giustamente il plauso dei maggiori capi di stato e di governo del mondo. Ha confermato di essere quell’autentico “superMario” di cui l’Unione europea ha bisogno. Grazie e complimenti a Mario il Dragoncello. In questo contesto, la preoccupazione espressa da Mario Monti di un sentimento anti tedesco che serpeggia in Italia, appare del tutto illogica e fuor di luogo: riportiamo lo spread al 2%; evitiamo gli effetti negativi sulle imprese italiane e sull’economia reale; chiediamo alla stampa tedesca di evitare di fomentare i sentimenti anti italiani con degli elementi del tutto pretestuosi e tutto ritornerà normale. Monti sembra preoccuparsi dell’effetto invece di ricordare e di proporre soluzioni alle cause, ben note e circostanziate. Non si tratta affatto di populismo ma di pura e semplice constatazione di fatti! Ma c’è di più e di più preoccupante che cerchiamo di esporre con altrettanza semplicità e chiarezza. Gli interventi anti spread proposti da Mario Draghi - che consistono sostanzialmente nell’acquisto potenzialmente illimitato di titoli a breve (massimo tre anni), non vengono effettuati in maniera automatica ma devono essere richiesti dai singoli Stati che ne hanno bisogno e che sono disposti a sottoscrivere un accordo con il qualesi impegnano ad adottare “rigorose misure” di politica finanziaria. Questa condizione ci appare “normale” se vuole essere un deterrente per quegli Stati che non intendessero mettersi sulla strada del risanamento e continuare a dilapidare le risorse. Ci appare invece anormale, perniciosa e inaccettabile, qualora tale ricetta riproponesse quella fallimentare e criminale del Fondo Monetario Internazionale (FMI) denominata “ricetta del rigore” che assicura a chi la adotta un totale fallimento e un suicidio collettivo, come dimostra il caso Grecia il cui PIL si è ridotto di oltre il 6% e adesso la popolazione di quel Paese non ha neppure i fondi per pagare le spese sanitarie e i farmaci di prima necessità. Ma chi sono questi sapientoni del disastro? Tale politica va contrastata perchè favorisce ulteriormente la speculazione che dice di combattere, come sa benissimo la Signora Presidente Lagarde, responsabile in prima fila. Si tratta della ricetta “lacrime e sangue” adottata nella prima fase del governo Monti. Ed è per questi timori che il governo spagnolo non vorrebbe chiedere l’intervento della BCE ed ha assolutamente ragione. Adesso bisogna continuare ad adottare tutta una lunga serie di interventi contro la speculazione finanziaria internazionale responsabile del disastro prodotto alla nostra società. Soprattutto dobbiamo ridimensionare drasticamente il ruolo della finanza in rapporto alla economia reale e soprattutto in rapporto alla persona umana che deve assolutamente riassumere il ruolo di fine e non certo di strumento. Basti pensare alle criminali azioni compiute per anni dalle società di rating, dalle banche internazionali che riciclavano denaro delle centrali terroristiche e della droga mondiale, dalle grandi banche che regolavano il Libor e l’Euribor; ai titoli tossici; a l’uso improprio dei derivati, agli effetti negativi e devastanti degli Otc, ai puri giochi speculativi delle borse, allo scandalo inverosimile dei paradisi fiscali… e potremmo continuare. Si tratta di distorsioni oggettive, gravissime, fuori di ogni controllo che hanno preso il posto di una sovranità nazionale perduta e di una sovranità europea non ancora realizzata. Mario Monti è assolutamente bravo a far fare i compiti a casa da buon professore ma è come la luna: ha una faccia che tiene sempre nascosta. E questa faccia è la finanza internazionale capace di annullare e di fagocitare i sacrifici di milioni di persone. Avremmo gradito che fosse Mario Monti e non soltanto la Merkel ad accusare i mercati di agire contro le nostre popolazioni. Che si organizzassero degli incontri durante i quali si affrontassero con grande coraggio e determinazione tali distorsioni oggettive e se ne indicassero le soluzioni. E invece, senti, senti, l’ultima proposta di Mario Monti: organizzare un seminario sul pericolo rappresentato dai populismi e dai sentimenti anti tedeschi. E no! Qui non ci siamo affatto. I populismi sono certamente un pericolo: lo sono sempre stati nella storia. al pari del pericolo anche maggiore rappresentato da un intellettualismo dirigista di chi si pone come “salvatore della patria” mentre nasconde le cause vere e profonde del disastro: una mezza luna, per intenderci. Purtroppo le persone amano i dirigisti che possono controllare le masse e temono il populismo che scatena le masse. La soluzione, come sempre è nel mezzo che è rappresentato appunto dalla partecipazione attiva e responsabile di tutte le componenti culturali, sociali, economiche, finanziarie e religiose nel processo di gestione della ”res publica”. Il popolismo nasce dalle distorsioni degli opinion leaders e dei decision makers. Il popolo intuisce che qualcosa non va perchè vive tale disagio sulla sua pelle; ne ignora talvolta le cause profonde e i meccanismi che producono il disagio ma la loro reazione è comprensibile. Spetta al coro delle voci qualificate nei vari settori, analizzare, chiarire, proporre e attuare.  E’ questa una possibilità democratica e partecipata e competente. Una seconda è affidarsi ad un “uomo della Provvidenza”. Ma questa soluzione storicamente è stata un fallimento al pari dei populismi. Se lo ricordino coloro che propongono i seminari contro il populismo e un Monti bis o un “superMarioMonti”.   Da SiciliaInformazioni del 9/9/2012
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Set 17

“Stare al mondo” di Alessandro Bertirotti

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Stare al mondo

Noi al mondo… Nell’articolo precedente ci siamo brevemente dedicati ad evidenziare l’importanza del passaggio, durante l’adolescenza, dalla famiglia al gruppo. Vediamo ora più da vicino il ruolo che il gruppo svolge nel favorire oppure inibire le potenzialità individuali e perché questa potenza di più persone su di una sola è, in effetti, tanto nel bene quanto nel male un elemento importante per la crescita individuale. Sulla base delle interessanti analisi di Kurt Lewin, il gruppo è un insieme di individui che dinamicamente stanno assieme per la condivisioni di obiettivi comuni, decidendo di autoregolarsi secondo comportamenti approvati dalla maggioranza dei suoi membri. Proprio per questi motivi, emerge subito la considerazione mentale di cui gode il gruppo per l’adolescente: un modello globale di ruoli e funzioni, dotato di una maggiore autorità globale, decisamente maggiore rispetto a quella dei singoli membri. Questa ultima considerazione è decisamente importante oggi, nel periodo che il mondo intero sta vivendo, ma, oseremo dire, specialmente in riferimento alla crisi esistenziale (e non certo solo economica…) che sta vivendo l’intero Occidente industrializzato. In altre parole, visto che per gli adolescenti il gruppo è considerato nel suo insieme, come fosse un tutto unico individuale, anche se allargato, possiamo comprendere il dramma che i nostri giovani vivono nella valutazione delle istituzioni, recepite dai giovani come gruppi, e specialmente della loro rappresentanza sociale. Le istituzioni di uno stato, di una società civile, infatti, sono gruppi di persone che vengono valutate e viste dai nostri giovani esattamente come loro stessi giudicano la compagnia con la quale vanno il sabato sera in discoteca, oppure escono per andare a fare un giro in centro città. Il procedimento psicologico che investe il gruppo di appartenenza di autorevolezza ed autorità è identico a quello che da adulti utilizziamo per la valutazione delle istituzioni. Se i giovani, che valutano sempre attentamente i comportamenti degli adulti, specialmente con un silenzio assordante ed imbarazzante mano a mano che crescono in età e sensibilità, osservano con attenzione il nostro livello di gradimento ed affezione verso le istituzioni, non possono fare altro che chiedersi se valga la pena, alla loro età, ascoltare gli adulti quando dicono di fidarsi degli amici! In effetti, l’aspetto primario e psicologico che porta un adolescente a credere nel gruppo è quanto investimento affettivo il gruppo stesso garantisce e salvaguarda. Altrimenti, egli pensa (e noi tutti adulti pensiamo assieme a lui…) che non valga nessuna pena e fatica mettersi in relazione con un gruppo che fa sentire a disagio, oppure non tiene in giusta considerazione le esigenze personali di ciascuno. Affidarsi ad una istituzione sociale e politica significa accettarne le regole che essa impone, ma questa accettazione è la conseguenza di una affiliazione, ossia di un sentirsi consigliati ad operare nella propria vita secondo un affetto positivo. È chiaro che quanto più i giovani ripongono fiducia in una figura e la avvertono come ben disposta ad aiutarli, tanto più ne accetteranno i consigli e la guida, confidando in essa. Maggiore sarà anche il grado di identificazione, maggiore sarà la percezione di questa figura come fonte d’autorità. In ordine di importanza cronologica ed evolutiva, dovremmo avere sempre i genitori e gli amici al primo posto, anche se, con il procedere dell’adolescenza, l’atteggiamento dei figli verso il padre e la madre si farà più critico e meno passivo. Seguiranno, poi, i docenti, il magistrato ed il sindaco. Il sacerdote (o qualsiasi altro rappresentante religioso-confessionale) è invece una figura particolare, perché può avere estrema rilevanza se il giovane adolescente è religioso e praticante, oppure non averne affatto. Nello stesso tempo, queste considerazioni scientifiche ci fanno riflettere sul fatto che quanto più una figura è investita d’autorità, tanto maggiore sarà il disagio avvertito dai giovani quando ne trasgrediscono le regole. I sentimenti di colpa e le azioni di autopunizione si manifestano nei riguardi di quelle figure, prima di tutti i genitori e in secondo luogo il gruppo, con i quali gli adolescenti hanno stabilito rapporto affettivo valido, cioè significativo e forte Non si deve, infatti, dimenticare che il senso di colpa per la trasgressione (non scoperta…) alle regole dell’autorità, assieme all’autopunizione per la disobbedienza alle varie figure, sono fortemente legati al grado di identificazione degli adolescenti (e degli adulti in seguito) ad esse. Se le figure di autorità manifestano atteggiamenti protettivi e godono di un buon livello di prestigio agli occhi dei ragazzi adolescenti, maggiore sarà la possibilità che questi ultimi si identifichino con queste figure. In effetti, l’intensità dei sentimenti di colpa è maggiore nei riguardi di queste figure Quando, invece, il ragazzo vive il gruppo in assenza quasi totale di sensi di colpa in caso di trasgressione a regole, significa che ha stretto con gli amici un rapporto troppo paritario, cioè vissuto come non strettamente vincolante dal punto di vista normativo. Per gli stessi motivi, non dovrebbe esseremolto elevato il potere punitivo degli amici e di conseguenza della futura istituzione. E’ così che si diventa adulti: con amore, gerarchia e con i sensi di colpa funzionali allo stare in società.   Da ControCampus Foto:http://donneviola.wordpress.com/
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Set 17

“Ragionare con il cuore” evento con il prof. Alessandro Bertirotti

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